L'angelo sterminatore
eBook - ePub

L'angelo sterminatore

Come l'Italia ha intrappolato se stessa

  1. 152 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'angelo sterminatore

Come l'Italia ha intrappolato se stessa

Informazioni su questo libro

Una cronaca di fantapolitica sull'Italia e i suoi vizi, un pamphlet illuminante sui meccanismi che bloccano il nostro paese.

«Sulla burocrazia in molti hanno scritto pagine ironiche e dolenti, pochi però con il realismo e la ricchezza di analisi di Marco Ruffolo che in questo libro racconta con humour i mali dello Stato italiano.»Sabino Cassese

Una mattina di primavera del 2022, al termine di una lunga riunione del Consiglio dei ministri, i giornalisti vengono convocati a Palazzo Chigi per una conferenza stampa. Li attende un primo ministro tecnico che ha finalmente avviato il Recovery Plan, ha delineato le riforme necessarie, ha tamponato in parte la grave crisi economica e sociale, ma che si rende conto che, malgrado gli sforzi, l'Italia riesce a spendere solo una piccolissima parte dei fondi Ue. In apertura il primo ministro mostra ai giornalisti stupiti una scena del film di Buñuel, L'angelo sterminatore, in cui un gruppo di borghesi, ospiti in una villa per cena, per qualche misterioso motivo non riescono più a uscirne. Comincia così questo libro, dallo stile narrativo e surreale, in cui Marco Ruffolo spiega come (non) funzionano organismi pubblici come la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza di servizi, la Corte dei Conti, i Tar, l'Anac. Sovrapposizioni di poteri, controlli asfissianti e inutili, scarsa competenza, leggi farraginose, gare d'appalto complicate: alla fine una grande tenaglia impedisce allo Stato di funzionare. L'immaginario premier ha molto più di qualche idea su come uscire dallo stallo. Ma la sua strada è disseminata di trappole.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858144893
Argomento
Economia

La Grande Diagnosi

Anestesia di primavera

Prima un quadro allegorico sui continenti, poi quella discutibile riproduzione della Verità del Tiepolo voluta da Silvio Berlusconi, che in seguito, in nome di uno stile più sobrio, Mario Monti aveva fatto sostituire con un semplice fondale azzurro, e al lato solo la bandiera italiana e quella europea. Era cambiato non poche volte nel corso degli anni il look della sala stampa di Palazzo Chigi. Ma quell’aspetto imperial-trash da Caesar Palace che le aveva dato il Cavaliere grazie al tocco del suo art director Mario Catalano (lo scenografo di Carramba! Che sorpresa), con i due specchi laterali che davano l’illusione di tre navate divise da due file di colonne corinzie tutte di un abbagliante bianco lucido, era in gran parte rimasto.
Quel giorno di inizio primavera 2022, proprio a ridosso del fondale, era stato srotolato un enorme telo bianco tra lo stupore di giornalisti, operatori tv e fotografi, già sorpresi non poco per essere stati convocati alle otto del mattino. Nel paese si respirava un’aria di speranzosa attesa: la pandemia non era ancora completamente alle spalle ma dosi crescenti di vaccino avevano sicuramente accorciato la strada verso la sospirata immunità di gregge. Il governo, presieduto da un premier «tecnico» e appoggiato da una maggioranza che sembrava saper tenere a bada la propria litigiosità, era finalmente riuscito a costruire e ad avviare un «piano di recupero» (meglio conosciuto come Recovery Plan) all’altezza della situazione, non disperdendo le risorse in migliaia di micro-interventi localistici e assistenziali, ma concentrandole razionalmente nei settori con maggiori potenzialità di sviluppo. Quote crescenti di finanziamenti, a cominciare da quelli a fondo perduto, erano state «prenotate» dalla cassa comune europea grazie ad una paziente, faticosa e alla fine fruttuosa trattativa con Bruxelles. Tutte le migliori arti diplomatiche erano state abilmente sfoderate dai nostri ministri tecnici per convincere la Commissione europea a destinare all’Italia la prima tranche dei sussidi previsti: 45 miliardi, da impegnare entro la fine di quell’anno e da spendere entro quello successivo. Le più importanti riforme, a partire da quelle del lavoro, della sanità e della giustizia, erano state delineate. Il terremoto sociale era stato in qualche modo tamponato. Insomma, sembravano esserci tutte le condizioni perché l’Italia potesse uscire allo stesso tempo dall’emergenza sanitaria e da quella socio-economica.
Sembravano esserci: già, perché quello che l’opinione pubblica tardava a comprendere, ma che il premier aveva ben chiaro davanti a sé, era che, in realtà, di tutta quella valanga di euro «prenotati» si riusciva a spendere solo una piccolissima parte. A tanti bei programmi di investimento corrispondevano ben pochi cantieri aperti. Eppure il governo ce l’aveva messa tutta. Il problema, ovviamente, era ben noto a Bruxelles, ma la linea che si erano volute dare le istituzioni comunitarie era quella di aspettare, di accordare ancora una buona dose di fiducia al nostro paese, di dar credito alla nostra capacità di saper tradurre pochi grandi programmi in tante iniziative concrete a favore di imprese e famiglie. La stampa nostrana, dal canto suo, accreditava la convinzione che si fosse già a metà dell’opera nel grande piano di rilancio, e che bastasse assestare qualche benefico scossone alla nostra pigra e lenta burocrazia per farci fare l’ultimo tratto, per sbloccare il mare di risorse promesse nel quale – primi in Europa – ci trovavamo a sguazzare.
Forse era stato proprio per questo atteggiamento di serena attesa che non si era dato tanto peso a quell’episodio inverosimile avvenuto appena poche settimane prima. Nessuno di noi riusciva a ricordarlo senza riderci su. In una luminosa mattina di gennaio, un Robinson R22 – il modello di elicottero leggero più usato al mondo dalle scuole di volo – era arrivato indisturbato sopra il centro di Roma e, sceso di quota in prossimità di via Nazionale (non a caso), aveva cominciato a lanciare banconote da cento euro. Si scoprì poi che ne aveva sganciate un centinaio, subito raccolte frettolosamente dai passanti in una ressa sempre più caotica. Il pilota, arrestato poi dagli esterrefatti agenti, era un raider di Borsa piuttosto noto, conosciuto più per le sue avventure amorose che per le scorrerie finanziarie.
La vera sorpresa arrivò dalle motivazioni che lo avevano spinto a un gesto così stravagante. Il finanziere voleva semplicemente mettere in pratica il suggerimento che cinquantatré anni prima il padre del monetarismo, Milton Friedman, aveva proposto per far arrivare direttamente il denaro nelle tasche dei cittadini. Un’idea – quella dell’Helicopter Money – che lo accomunava curiosamente a economisti agli antipodi del neoliberismo, come il marxista Yanis Varoufakis. Lo Stato italiano non riusciva a spendere i soldi messi a disposizione dall’Europa? Ebbene – aveva pensato il raider playboy – io vi dimostro nei fatti come si possa consegnare quel denaro direttamente alla gente, facendolo piovere dal cielo ed evitando così di lasciarlo incagliare nei meandri della burocrazia pubblica, o intercettare dalle avide strategie delle banche. Regalando ad una ristretta e anonima umanità quei 10 mila euro, il tanto generoso quanto esibizionista pilota aveva spogliato il progetto dell’Helicopter Money della sua veste metaforica, e prendendolo alla lettera lo aveva realizzato con un gesto di indiscutibile stile dannunziano. Quel gesto aveva sbalordito e fatto sorridere l’Italia. Il demenziale omaggio aveva suscitato solo una gran simpatia; nessuno o quasi aveva cercato di capire il problema che quel gesto aveva tentato di porre: l’incapacità italiana di spendere, nonostante tutti gli sforzi compiuti dal governo.
Nella stragrande maggioranza, gli italiani non sembravano accorgersene o curarsene: usciti esausti dal massacrante biennio della pandemia, grazie a dosi via via crescenti di vaccino, non volevano pensare a nient’altro che non fosse l’attesa spasmodica di poter uscire di casa, toccarsi, riabbracciarsi, organizzare gigantesche scampagnate, cercare compagnia, affollare pub, ristoranti e discoteche. Insomma, l’euforia per il progressivo esaurirsi del contagio si era accompagnata ad una comprensibile forma di anestesia per i problemi, qualunque fosse quello che si presentava all’orizzonte. Scansare e non pensarci: era scattata una specie di rimozione da dopoguerra, non accompagnata tuttavia dalla consapevolezza di doversi rimboccare le maniche e ripartire, ma al contrario dalla convinzione di aver maturato il diritto a un’infinita e passiva spensieratezza.
Il premier, da solo, senza i suoi ministri, se ne stava in piedi leggermente appoggiato al grande tavolo bianco lucido bordato di azzurro, nascondendo parzialmente il simbolo della Repubblica italiana: stella, ruota dentata e rami di ulivo e quercia.

Un trailer surrealista

I commessi di Palazzo Chigi avevano dunque finito di srotolare sul fondo della sala quel misterioso telo bianco.
«Non temete,» disse il presidente del Consiglio, mentre le luci si abbassavano, «non vi costringerò a vedere tutto il film».
Risatine imbarazzate si incrociarono a sguardi interrogativi su quella insolita trovata cinematografica. E le immagini di un trailer ruppero il crescente brusio.
Quando, dopo una manciata di minuti, terminò la presentazione del capolavoro di Luis Buñuel L’angelo sterminatore, il presidente dovette dare un surplus di spiegazioni sulla trama del film alla maggior parte dei convocati, tutti sotto i quarant’anni e soprattutto poco ferrati in cinema d’autore di stile surrealista. Un film tutto imperniato intorno a un’unica idea di fondo: misteriosamente, alcuni inviati ad una cena fra amici alla fine della serata non riescono più a uscire dalla villa che li ospita.
«Le stesse scene di questo capolavoro» disse alla fine, senza però fare minimamente breccia nella comprensività dei presenti, «le ho fatte proiettare ieri durante il nostro lunghissimo Consiglio dei ministri».
Dodici ore di Consiglio. Soltanto la riunione del 7 marzo 1993 sulla depenalizzazione del reato di finanziamento illecito dei partiti era durata di più – un giorno e mezzo –, ma almeno aveva concesso ai partecipanti un lungo intervallo. Questa volta niente interruzioni: dodici ore filate di presentazione e discussione del progetto. La mente di gran parte dei giornalisti presenti fu improvvisamente attraversata da un lampo sinistro, un dubbio atroce: il discorso che il premier si accingeva a pronunciare sarebbe durato lo stesso numero di ore dell’interminabile Consiglio dei ministri del giorno prima?
Il presidente si schiarì la voce mentre le luci tornavano a illuminare la sala. Nel frattempo, lungo i locali adiacenti era un via vai di fotografi, operatori tv, e qualche giornalista era già incollato al cellulare per informare l’ufficio centrale del proprio quotidiano o della propria tv. «Il presidente ci ha appena fatto vedere un film... sì, un film... non tutto, alcune scene... Come si chiama? Boh, dicono che sia di un certo Bùnnuel. Vabbè, adesso fammi rientrare che sta cominciando a parlare».
«Bene» esordì il premier, circondato da una selva di sguardi increduli. «Credo sia arrivato il momento di dire la verità. Vedete: il quadro politico è finalmente stabile, abbiamo pazientemente costruito e avviato grandi progetti per rilanciare l’Italia, siamo riusciti ad ottenere il consenso della Commissione europea. Abbiamo prenotato molti fondi. Ma non basta: c’è qualcosa che ci impedisce di spiccare l’ultimo salto, il più importante, il salto decisivo. Perché mi guardate tutti con quell’aria interrogativa? Cosa vi aspettate da me in questo momento? Che vi dica che il tasso di utilizzo del Recovery Fund salirà, che raddoppierà, che triplicherà? Potrei tentare l’ennesimo imbroglio. Del resto, in passato ne sono stati fatti tanti di trucchetti con i fondi strutturali europei, tutti formalmente leciti, attribuendo le nuove risorse a vecchi progetti terminati da anni, perché quelli nuovi tardavano a vedere la luce. Ma questa volta neppure escamotage del genere funzionerebbero. Vi aspettate che vi spieghi almeno una delle riforme che due anni fa ci siamo impegnati a realizzare? Non farò né una cosa né l’altra».

«Oggi non annuncio proprio nulla»

Nuovo brusio tra i giornalisti.
«Oggi non vi parlerò di nessuna nuova legge, nessun nuovo decreto, nessuna nuova riforma».
«Scusi, ma allora per quale ragione ci ha chiamati, e per giunta quasi all’alba?» chiese una giovane giornalista in prima fila. «Ci viene il sospetto che l’interminabile Consiglio dei ministri di ieri non abbia concluso nulla. Ci dica la verità, presidente».
Ripetuti e insistiti cenni di assenso arrivarono dai colleghi.
«Sulla riunione di ieri vi dirò più tardi, abbiamo tutto il tempo» rispose il premier cercando di evitare una polemica che avrebbe complicato un discorso già prevedibilmente complesso. «Qui e ora vi ho chiamati per cercare di dire la verità agli italiani, che dopo i sacrifici e i lutti di questi due anni non si meritano certo di essere tenuti all’oscuro...».
«All’oscuro di che, presidente?» lo interruppe uno dei presenti. «Che cosa ci avete nascosto? Qualche nuovo dato negativo sull’economia? Sul debito pubblico, che già è salito fin quasi al 170%? Sulla ripresa del Pil che non riesce a tornare ai livelli pre-pandemici?».
«Forse mi sono espresso male. Non c’è nessun nuovo dato segreto. C’è una verità profonda da spiegare con tutta la calma necessaria, e spero che voi mi aiuterete in questa impresa titanica. Oggi non annuncerò nessuna decisione per un semplice motivo. Ho prima il dovere di spiegare perché sono puntualmente naufragate tutte le riforme, le leggi, i progetti, le opere pubbliche approvate finora da tutti i governi che si sono succeduti. Nessuno escluso. Rispondetemi: quante volte si è deciso di semplificare gli adempimenti burocratici? Quante volte è stata decisa una corsia veloce per le opere pubbliche con i consueti sblocca-cantieri, e si è annunciato un uso meno scandalosamente inefficiente dei fondi strutturali europei? Quante volte si sono persi anni o decenni prima di ricostruire almeno parzialmente i paesi distrutti dai terremoti, e ancora più spesso non si sono neppure ricostruiti? Quante volte si sono disposti mega-progetti di sistemazione idrogeologica del territorio per poi assistere ogni anno, e non solo in autunno, a inondazioni e frane devastanti? Quante volte si è cercato di avvicinare l’offerta e la domanda di lavoro senza alcun risultato, e si è promesso di avviare una seria formazione professionale creando invece solo innumerevoli carrozzoni? Quante volte si è deciso di valutare l’operato degli amministratori pubblici, regolando in base a q...

Indice dei contenuti

  1. La Grande Diagnosi
  2. Il Grande Progetto
  3. Epilogo