Psiche
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Culto delle anime e fede nell'immortalità presso i Greci

  1. 656 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Culto delle anime e fede nell'immortalità presso i Greci

Informazioni su questo libro

Dagli incunaboli pre-omerici al tramonto della civiltà ellenica, attraverso i misteri di Eleusi, la religione 'dionisiaca' e 'apollinea', l'orfismo, Platone e il neoplatonismo, Erwin Rohde scardina la ricorrente tesi della Grecia 'olimpica' terra di pacata razionalità e riconduce l'origine della fede greca nell'immortalità dell'anima all'estasi dionisiaca, un'esperienza religiosa antichissima, devota a potenze infere e permeata dal senso tragico dell'esistenza.

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Informazioni

Origini della credenza nell’immortalità

Il culto tracico di Dioniso

1. Le credenze popolari intorno al perdurare dell’anime dei defunti, credenze basate sul culto dell’anime e concresciute con alcune accezioni della dottrina omerica dell’anime, che contraddicono in fondo al culto di queste ma senza che la contraddizione sia avvertita, rimangono sostanzialmente immutate di forza in tutti i secoli della vita greca. Esse non contenevano in sé nessun germe di sviluppo ulteriore, nessuna esigenza d’una ricerca più profonda intorno all’esistenza ed agli stati dell’anima divenuta indipendente dopo la sua separazione dal corpo; e, soprattutto, non contenevano nulla che potesse elevare la credenza nella sopravvivenza dell’anime fino al concetto d’una vita immortale, eterna, senza fine. Il perdurare della vita dell’anima che il culto di questa presuppone e garantisce, è strettamente legato alla memoria dei sopravvissuti, alla cura, al culto ch’essi dedicano all’anima degli antenati. Se la memoria svanisce, se la pietosa cura dei vivi diminuisce, all’anima del defunto viene a mancare l’ultimo elemento che le dava ancora una parvenza di vita.
Non si poteva certamente sviluppare dal culto dell’anime il pensiero d’una vera immortalità di esse, della loro vita indipendente, imperitura, fondata sulle loro proprie forze. La religione greca, quale fioriva nel popolo d’Omero, non poteva produrre tali pensieri, né, se le fossero stati offerti dal di fuori, li poteva far suoi. Per farlo, avrebbe dovuto sagrificare la sua più intima natura.
Se l’anima è immortale, essa è, nella sua qualità più essenziale, uguale al dio; è essa stessa un essere divino. Chi, in Grecia, dice immortale, dice dio: sono idee equivalenti. Ed è questo, nella religione del popolo greco, il vero principio in forza del quale, nell’ordinamento divino del mondo, umanità e divinità sono e devono rimanere separate e distinte di luogo e di natura. Un profondo abisso divide i due mondi del divino e dell’umano. I rapporti religiosi tra l’uomo e la divinità si fondano essenzialmente su questa distinzione; l’etica della coscienza popolare greca ha le sue radici nella sommissione alle limitazioni e condizioni poste alle facoltà umane, alle umane aspirazioni alla felicità e alla libertà, tanto diverse dalla vita e dalla sorte degli dèi. Favole poetiche di rapimenti di singoli mortali a divina vita eterna dell’anima non divisa dal corpo, poterono bene insinuarsi nelle credenze popolari: ma rimasero sempre miracoli in cui l’onnipotenza divina, per speciali ragioni, aveva spezzato le barriere dell’ordine naturale delle cose. Ed era pure un miracolo se, dopo morte, le anime di singoli mortali erano elevate alla dignità eroica e, con ciò, a vita imperitura. L’abisso tra l’uomo e dio non era perciò meno immoto e profondo. Le vaste conseguenze dell’idea che quest’abisso in realtà non esiste affatto, che proprio secondo l’ordine naturale l’«anima» dell’uomo appartiene al regno degli dèi e, come creatura divina, ha vita immortale, si vedono facilmente: avrebbe rovesciato tutti i canoni religiosi delle comunità greche; mai essa avrebbe potuto diventare fede diffusa nel popolo greco.
Tuttavia in un certo momento sorge in Grecia, e in nessun luogo così presto ed esplicitamente come in Grecia, il pensiero della divinità dell’anima umana e dell’immortalità di questa come conseguen­za della sua natura divina. Tale pensiero appartenne tutto al misticismo, una seconda religione, che, poco curata dalla religione popolare e dai suoi fedeli, si fece una solida base in singole sette, esercitò la sua azione su singole scuole filosofiche e, partendo da queste, poté insegnare ancora alla lontana posterità, in Occidente e in Oriente, il concetto fondamentale d’ogni vero misticismo: quello dell’unità essenziale, dell’unione dello spirito divino con l’umano da ottenersi per mezzo della religione, della natura divina dell’anima e della sua eternità.
Il misticismo crebbe come dottrina e teoria sul terreno d’altro culto più antico. Esso fece una fiamma duratura di quella luce che guizzava momentanea in faville sprizzanti nelle cerimonie d’un culto divino profondamente ispirato, tale da suscitare presaghe esaltazioni, culto che la Grecia aveva appreso dagli stranieri. La credenza nell’immortale vita eterna dell’anima ci appare per la prima volta, ma già chiara attraverso il suo rivestimento mistico, nelle dottrine d’una setta mistica che si univa nel culto di Dioniso. Il culto di Dioniso deve aver posto il primo germe della credenza nell’immortalità dell’anima. Renderne concepibile la possibilità, dimostrare chiaramente che l’essenza e l’intima natura di questo culto si fondavano sull’eccitazione che dà la previsione della vita immortale: ecco il primo compito che ci spetta.
2. Ciò che l’intelligenza analizzatrice e ricercatrice conosce più difficilmente nella vita dello spirito degli uomini e dei popoli, non è precisamente ciò che eccede i limiti o ch’è, in qualche senso, anormale. Chiusi in una concezione tradizionale e troppo ristretta della grecità non si vede sempre chiaro, ma, dopo averci ben riflettuto, s’intende in fondo senza gran fatica come nella religione greca, al tempo del suo più pieno sviluppo, potesse avere grandissima importanza come fenomeno religioso la «pazzia» (μανία), un temporaneo turbamento dell’equilibrio psichico, uno stato di soggiogamento dello spirito conscio di sé, di «ossessione» da parte di forze esterne. Una manifestazione molto efficace ebbe nella mantica e nella telestica questa pazzia «che non nasce per malattie umane, ma in seguito a un divino uscire dallo stato normale»1. I suoi effetti erano tanto abbondanti e riconosciuti che della verità ed efficacia di questa pazzia religiosa che andava nettamente distinta dalle malattie del corpo, fu trattato come di cosa provata dell’esperienza, non solo da filosofi ma perfino da medici2. Enigmatica, veramente, ci rimane soltanto l’intrusione di questa «mania divina» nel regolare flusso della vita religiosa; i sentimenti e l’esperienze che stanno a base di questo particolare modo di essere ci sono chiari abbastanza per numerosi casi analoghi. A dire il vero, più che questo traboccare di sentimento con tutto ciò che l’accompagna, ci riesce difficile intendere il lato opposto della vita religiosa greca, quella calma rassegnazione con cui cuore e sguardo si sollevano verso gli archetipi d’ogni vita, gli dèi, e la loro letizia splendente immobile come l’etere...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione di Sergio Givone
  2. Prefazione alla prima edizione tedesca
  3. Prefazione alla seconda edizione tedesca
  4. I. Culto delle anime presso i Greci
  5. Fede nelle anime e culto delle anime nei poemi omerici
  6. Rapimento. Isole dei beati
  7. Divinità delle caverne. Rapimento sui monti
  8. Gli eroi
  9. Il culto delle anime
  10. I misteri di Eleusi
  11. Idee intorno alla vita nell’al di là
  12. Appendice
  13. II. Fede nell’immortalità presso i Greci
  14. Origini della credenza nell’immortalità
  15. La tarda grecità
  16. Appendice