Croce e lo spirito del suo tempo
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Croce e lo spirito del suo tempo

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Croce e lo spirito del suo tempo

Informazioni su questo libro

Confrontarsi con i momenti e gli aspetti di una personalità così molteplice e feconda come quella di Benedetto Croce può comportare il rischio di rappresentarla come un blocco di idee e di atteggiamenti immobili nel tempo, una statua composta nella sua coerenza, ma olimpicamente lontana dai travagli degli uomini e della sua epoca. Non è tale il Croce di cui Giuseppe Galasso ha ricostruito il lungo itinerario nella vita intellettuale e civile del suo tempo. Passa in queste pagine la storia italiana ed europea del Novecento, con tutta la vivacità del vissuto di uno dei grandi spiriti che quella storia ha contribuito a costruire. Un protagonista che ha interpretato e, insieme, promosso lo spirito e l'identità di una cultura, di un mondo civile e sociale, di una tradizione e di uno spazio etico-politico. Un Croce molto al di là delle polemiche che ne hanno alterato o falsato la figura e il ruolo. Non il soffocante dittatore di mezzo secolo di cultura italiana, ma una grande voce dell'Europa in Italia e dell'Italia in Europa. Non l'olimpico celebratore di una marcia trionfale dello Spirito o del bene e del meglio nella storia, ma un appassionato testimone dei drammi del suo tempo e della perenne dialettica propria dello spirito e della storia, a partire dall'esperienza di un'angoscia diventata in lui «mite e domestica» grazie a una straordinaria autodisciplina intellettuale e morale. Un grande educatore al rigore logico nel segno delle distinzioni che danno autonomia a tutte le manifestazioni della vita. Un grande filosofo della libertà e della civiltà liberale. Un grande 'classico' della maggiore tradizione umanistica europea, reso molto più vicino a noi e che avvicina a noi la storia di cui fu così gran parte.

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Informazioni

Capitolo primo
Tra due rivoluzioni culturali: positivismo e antipositivismo

1. 1848, un nodo cruciale: le idee e gli ideali

È convinzione diffusa che con il 1870 una grande frattura si sia prodotta nella storia morale e politica, sociale e intellettuale d’Europa. E vedremo come gli elementi per nutrire una tale convinzione siano tutt’altro che assenti nel panorama storico dell’epoca. Ma è proprio questo panorama a imporre, peraltro, l’esigenza di una linea di frattura meno semplice fra due periodi della storia europea così chiaramente diversi tra loro come quelli denominati del romanticismo e del positivismo; a evocare un passaggio dall’uno all’altro più complesso di quello costituito da un conflitto di un anno, e sia pure del rilievo storico di quello franco-prussiano. In altri termini, se una rivoluzione culturale si produsse nell’Europa del secolo XIX, essa si realizzò attraverso un processo, di cui occorre cogliere l’intero spessore, anche cronologico.
Gli studiosi di dottrine politiche fanno assai spesso riferimento alla «svolta» segnata in tutta Europa dalle vicende del 1848. Una delle migliori puntualizzazioni al riguardo è certamente quella data da Hans Kohn.
L’anno 1848 – egli scrive1 – segnò un punto cruciale nella storia moderna dell’Europa e segnò pure il vero inizio del secolo decimonono. Durante i primi decenni dopo il 1815, la vita continuò a svolgersi in Europa secondo gli stessi schemi lenti e agricoli del ’700; entro il 1848 l’industrializzazione e la tecnica, le ferrovie e i telegrafi, fecero la loro apparizione e modificarono tutto il ritmo di vita. I mutamenti spirituali e morali fra il 1815 e il 1848 non furono però molto profondi, perché le personalità dirigenti e la gente conservarono lo spirito del ’700: Metternich, come i liberali e i radicali, fu un buon europeo; come Condorcet e Herder, i liberali nutrirono una fede ottimistica nell’armonia e nella solidarietà internazionale, nell’uomo e nel popolo. Alla Santa Alleanza dei monarchi, per salvaguardare la pace europea, caldeggiata da Metternich, i liberali opposero una Santa Alleanza dei popoli, per mantenere la solidarietà europea; questo spirito settecentesco animò i rivoluzionari al principio del 1848 e la primavera di quell’anno promise di realizzare i sogni accarezzati e lungamente differiti dei filosofi e degli oratori del 1789.
Dopo gli eventi di quell’annus mirabilis il panorama europeo fu, invece, caratterizzato sempre più da elementi di segno del tutto diverso. Lo schiudersi di un nuovo, radioso giorno della storia europea, atteso raramente «con aspettativa così unanime», fu «soltanto una breve alba».
I sogni del ’700 – scrive ancora Kohn2 – non riuscirono a maturare sul Continente; le promesse e le speranze si conclusero rapidamente in amare delusioni; la causa del popolo sembrò ovunque sconfitta. È vero che le istanze così disperatamente difese e così miseramente sconfitte nel 1848 furono riprese alcuni decenni più tardi e che molte di esse furono condotte avanti con evidente successo; ma questa realizzazione si effettuò in un clima morale e sociale interamente diverso, difficilmente familiare a Robert Blum o Herwegh, a Mazzini o Michelet. Una nuova èra era cominciata; e gli avvenimenti del 1848 rivelarono per la prima volta, nel loro corso sorprendente e contraddittorio, la prospettiva del secolo successivo, che fu dominato dal sorgere e dall’urtarsi di due nuove forze di massa, il socialismo e il nazionalismo.
Idee-forza il socialismo e il nazionalismo furono, infatti, in misura non inferiore a quella del liberalismo, della democrazia, delle idee repubblicane, dei primi movimenti nazionali fra il 1815 e il 1848. Anzi, sia le idee socialiste che quelle nazionalistiche
erano anteriori al 1848, essendo nate nell’Europa occidentale del tardo ’700, in un’atmosfera di individualismo umanitario e di razionalismo critico, e nella loro giovinezza erano state animate dalla visione prevalentemente ottimistica dell’armonia generale che caratterizzò il socialismo di un Lamartine o di un Mazzini. La libertà individuale e la pace universale furono proclamate non solamente come finalità immediate, ma anche come gli unici metodi ammissibili del socialismo e del nazionalismo. Senonché, le speranze di pace e d’amore fraterno arretrarono davanti ai nuovi messaggi di una lotta per sopravvivere e davanti al fiero realismo del sangue e del ferro. La primavera dei popoli appassì senza riuscire a portare i suoi fiori fino al frutto tanto sospirato; il miracolo si mutò in un miraggio. Il repubblicanesimo non dimostrò di essere il rimedio che si attendeva. Nel 1848, la repubblica era stata accolta con fervore mistico... La repubblica fu considerata non solo come l’adempimento della speranza dei tempi, ma come un messaggio universale destinato a tutti i popoli per garantire la pace del genere umano. I repubblicani d’Europa nella primavera del 1848 sembravano un ordine fraterno superiore alle classi o alle nazioni.3
Invece, il mondo che risultò dai moti del 1848 si rivelò subito molto diverso da quello a cui il repubblicanesimo europeo intendeva mettere capo. Il punto essenziale fu che
si giunse a una nuova Europa, in cui l’Occidente non indicò più la strada. Nel 1848, il socialismo e il nazionalismo furono trapiantati dall’Europa occidentale all’Europa centrale e orientale, che avevano condizioni sociali e tradizioni politiche interamente diverse: laggiù, con una struttura precapitalistica della società, il socialismo mutò metodi e accenti; la previsione di Marx che la rivoluzione socialista sarebbe avvenuta nei paesi a forte sviluppo capitalistico si dimostrò errata; essa non avvenne in Gran Bretagna o nei Paesi Bassi, in Scandinavia o negli Stati Uniti, dove le riforme presero il posto della rivoluzione e il marxismo non divenne mai una fede combattiva, una Weltanschauung; questi paesi dell’Occidente mantennero anche nell’800 il loro clima morale conservatore e solo nei paesi precapitalistici o arretrati la rivoluzione poté essere imposta sotto la bandiera del marxismo, concepito come una nuova Bibbia. Analogamente, lo Stato nazionale non significò in Europa centrale e orientale ciò che significò nell’Occidente, e cioè una comunità di liberi cittadini fondata su una legge conquistata nella lotta per la libertà costituzionale dell’individuo e per la tolleranza verso l’opposizione. Il nuovo nazionalismo rivendicò il potere collettivo e l’unità molto più delle libertà civili dell’Occidente: nell’incrocio fra i gruppi etnici, il nazionalismo tese a significare indipendenza dall’esterno molto più che libertà all’interno; spesso, non resistette alla tentazione di affermare il proprio dominio su territori e popolazioni etnicamente contesi. Il nazionalismo e il socialismo si trasformarono nel secolo decimonono da umanitarismo liberale in esclusivismo aggressivo, e l’accento già posto sulla dignità dell’individuo si spostò sul potere delle collettività. Ciò che era vero per il gruppo etnico, fu anche vero per il gruppo economico; entrambi si rivestirono di un’emotività combattiva; l’era nascente delle guerre di classe contro classe e di nazione contro nazione frustrò le speranze del 1848.4
Da questo punto di vista ebbero importanza soprattutto gli avvenimenti francesi del 1848 per quanto riguardava la questione sociale e quelli tedeschi per quanto riguardava la questione nazionale. Ma non solo di questi problemi si trattava. A metà degli anni Quaranta Renan ne L’avenir de la science delineava la sostituzione della scienza alla filosofia e alla religione «come luce che guida l’umanità». E anche se quel testo non fu pubblicato che nel 1890, esso esprimeva una fiducia che maturava già mezzo secolo prima e che per altro verso ispirava ai saintsimonisti «il primo sogno di una società pianificata guidata dai tecnici»,5 mentre il Cours de philosophie positive di Comte era già completato nel 1842. Con Marx non si trattò più di lotta alla miseria o di giustizia sociale, ma di una dialettica storica fatale, che avrebbe fatto della rivoluzione proletaria il momento risolutivo di un processo storico altrettanto fatale per cui si sarebbe passati dal capitalismo al socialismo, così come da precedenti regimi si era passati al capitalismo. Le conseguenze dottrinarie ed etico-politiche non furono da poco. Nella considerazione ideologica e politica
l’umanità, unita prima del 1848, fu... divisa nell’800 in due opposti campi di battaglia. Il nuovo Vangelo, incredibile eresia per il ’700, affermò che la verità e il bene dipendevano dal campo al quale si apparteneva. L’uomo importò meno della classe, i valori e le misure su cui poggiava la società divennero relativi, la realtà individuale fu sacrificata ad una collettività fittizia. Le nuove forze sociali distrussero le speranze del 1848 in Francia.6
Se questo accadeva per quanto riguardava la questione sociale in Francia, per quanto riguardava, a sua volta, la questione nazionale
«divenne presto chiaro che le rivoluzioni del 1848 in Europa centrale avevano espresso non tanto un anelito fraterno per la libertà umana quanto un nazionalismo scissionista. Benché i loro esponenti chiedessero la libertà individuale e le garanzie costituzionali secondo il modello occidentale, essi desideravano soprattutto l’attuazione delle loro aspirazioni nazionali alla unità collettiva e alla creazione di una potenza nazionale; nessun richiamo aveva più forza del richiamo alle emozioni etniche e ai diritti storici; il fervore rivoluzionario era rivolto verso finalità nazionali anziché liberali; dovunque queste due finalità cozzassero, prevaleva il nazionalismo». Nelle vicende del Parlamento tedesco di Francoforte non solo fu evidente l’importanza subito assunta dal pangermanesimo, ma «una nuova fede nella potenza fu proclamata e la decisione venne acclamata come una manifestazione di patriottismo. La maggioranza dell’Assemblea Nazionale preferì il nazionalismo al liberalismo. All’inizio del 1848, la teoria più giusnaturalistica dell’uguaglianza, della fratellanza dei popoli in un ordine universale di giustizia era ancora viva; ma verso la fine del 1848 aveva ceduto il posto agli appelli fondati sui diritti storici, alla “realtà” della potenza e alle pretese necessità vitali e strategiche della nazione».7
E quel che si poteva osservare in Germania, si poteva più o meno osservare anche nelle altre parti dell’Europa centrale, orientale e meridionale, dove gli eventi del 1848 impressero una nuova spinta ai movimenti nazionali.
Tutte le altre nazionalità non si rivelarono affatto inferiori nell’afferrare e sviluppare il nuovo vangelo dei diritti della nazione. Le nazionalità oppresse, mentre facevano appello al mondo contro la propria oppressione, trovavano legittimo di opprimere gli altri, quando i loro pretesi interessi nazionali sembravano richiederlo. Non mancavano mai i professori e gli scrittori pronti a presentare ragioni storiche e morali per difendere le ambizioni della propria nazione e per dimostrare che la loro nazione e le sue esigenze rappresentavano un caso unico al quale le regole generali non si applicavano. Il successo in guerra fu acclamato come la prova migliore del coraggio morale e della validità storica. E accadde perciò che al di fuori dell’Europa occidentale il nazionalismo significasse anzitutto, e principalmente dopo il 1848, potenza nazionale e indipendenza collettiva, e sempre meno il richiamo alla libertà individuale e all’uguaglianza etnica.8
Su questa strada il panslavismo avrebbe finito con l’opporsi al pangermanesimo. Su questa stessa strada il panslavismo liberaleggiante delle prime fasi, antitedesco e antirusso e fiducioso negli Asburgo per la loro funzione in tal senso, sarebbe diventato il panslavismo esclusivistico e imperialistico delle fasi successive, che avrebbe avuto varie espressioni nei vari paesi slavi e che a suo tempo sarebbe entrato per molti versi anche nell’esperienza della Russia comunista. E sempre sulla stessa strada sarebbero maturate – ancor più del nazionalismo francese (approdato in ultimo, in una delle sue espressioni, a Vichy) e dello chauvinisme (che divenne nella cultura europea del secolo XIX, il topos pubblicistico più comune nella raffigurazione convenzionale della mentalità nazionale francese) – le varie deviazioni nazionalistiche e fascistiche dell’idea nazionale italiana dagli inconfondibili tr...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Capitolo primo Tra due rivoluzioni culturali: positivismo e antipositivismo
  3. Capitolo secondo Il caso italiano
  4. Capitolo terzo La prima filosofia crociana
  5. Capitolo quarto L’incontro con Marx
  6. Capitolo quinto La prima filosofia dello spirito
  7. Capitolo sesto I conti con Gentile
  8. Capitolo settimo La teoria della storiografia: approfondimento o revisione?
  9. Capitolo ottavo Il momento autobiografico
  10. Capitolo nono Storiografia e politica fino alla «guerra europea»
  11. Capitolo decimo Il trauma della guerra
  12. Capitolo undicesimo Nella crisi della coscienza e delle scienze europee
  13. Capitolo dodicesimo Ancora sul caso italiano
  14. Capitolo tredicesimo La svolta del 1924 e i «tempi imperiali»
  15. Capitolo quattordicesimo Il momento storiografico
  16. Capitolo quindicesimo La seconda filosofia dello spirito
  17. Capitolo sedicesimo Il tempo della vitalità
  18. Capitolo diciassettesimo L’ultima sistemazione
  19. Capitolo diciottesimo Nello specchio della storia: spirito del tempo e classicità
  20. Postfazione Croce e il suo pensiero Interpretazioni a confronto