I segreti delle madri
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I segreti delle madri

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I segreti delle madri

Informazioni su questo libro

Dodici storie familiari, vere e appassionate, che hanno al cuore una verità non detta e custodita nel silenzio di una madre.

Le persone mentono con grande disinvoltura e spesso in maniera molto convincente. Lo fanno perché ritengono che coprire la verità produca un vantaggio. Questo probabilmente è vero, nel breve periodo. Ma custodire a lungo la menzogna – in particolar modo se ha trovato spazio nella dimensione più intima, che è quella dei rapporti familiari – è faticoso, e a volte impossibile.Quando, per i motivi più disparati, il velo di menzogne si squarcia, le conseguenze rischiano di essere irreparabili.Custode della verità nella famiglia è spesso la madre. A volte per paura, a volte per debolezza, spesso con le migliori intenzioni e in buona fede, è la donna che più di frequente si illude di poter salvaguardare l'integrità della propria famiglia continuando a mantenere un segreto. Ma quasi sempre questo si rivela un errore.

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Informazioni

1.
La madre bambina

Napoli, fine anni Settanta

L’usciere bussò alla porta, come al solito rumorosamente, facendo sobbalzare la piccola che stavo ascoltando. Entrò senza attendere il mio “avanti” e si precipitò a dire, perché io non potessi bloccarlo facendogli cenno di richiudere la porta, che fuori c’era un uomo che chiedeva urgentemente di me per una “cosa molto grave”. Gli risposi di controllare che fosse residente nella mia zona di competenza, e di dirgli che doveva, comunque, attendere la fine dell’udienza che stavo trattando.
L’uomo, o meglio l’ometto, entrò con il basco in mano, rigirandoselo nervosamente tra le dita. Mi guardò dritto negli occhi e mi disse: «Non vi ricordate di me?»; io non risposi, fissandolo per cercare di ricordare...; e lui aggiunse: «Venni con mia moglie per chiedervi aiuto per un nipote disabile, Ulisse, e voi vi sorprendeste del nome, e poi gli regalaste un aeroplanino giocattolo, e gli diceste che, guardandolo attentamente, poteva immaginare di volare...; vi ricordate? Si tratta del figlio di una cugina di mia moglie che morì di parto, e perciò mia moglie volle prendere il bambino appena nato con noi, che eravamo da poco sposati. Ulisse non ha padre se non sulla carta: prima ancora che nascesse, se ne era andato in America e non è più tornato, forse perché aveva saputo delle condizioni di salute del figlio, colpito da un problema neurologico alla nascita. Quando io e mia moglie venimmo da voi, un paio di anni fa, voi metteste a posto le carte e lo affidaste a noi, “togliendo il padre di mezzo”». Ricordai che avevo dichiarato la decadenza del padre che mai si era interessato al bambino, disponendo l’affidamento agli zii, nominati poi tutrice e protutore dal giudice tutelare. «Oggi Ulisse ha quattordici anni», riprese l’uomo. «Di anni ne sono passati da quando Ulisse entrò a far parte della nostra famiglia. Ma ciò che è successo ora, il motivo per cui sono qui, mi ha fatto invecchiare di colpo; vedete, ho fatto i capelli bianchi in una notte».
«Ditemi cosa è successo, tutto per ordine. Mi pare di ricordare che voi avevate una piccola falegnameria e molti figli, e speravate di avere in vostro nipote un aiuto; invece avete poi dovuto constatare che Ulisse non sarebbe mai stato in grado di darvelo, mentre i vostri figli maschi erano ancora alle scuole elementari...». «Vi ricordate tutto, signor giudice. Ma adesso è successo che Adelina, la nostra bambina che ha solo dodici anni, è incinta; io l’ho portata all’ospedale per farla abortire, ma lì mi hanno detto che solo se c’è il vostro ordine lo possono fare perché è all’incirca al quarto mese, secondo il medico che l’ha visitata. Eppure finora nessuno si era accorto che la bambina era in questo stato, né mia moglie, né io, né lei stessa, e siccome le sue regole le sono venute verso la fine dello scorso anno abbiamo pensato che il ritardo era normale, che si dovevano stabilizzare..., e solo qualche giorno fa si è cominciato a vedere qualcosa...».
Ricordavo che quel padre si era definito “un uomo di Dio” quando aveva dichiarato la piena accettazione nella propria famiglia del nipote disabile ed il rifiuto al suo allontanamento. Gli avevo infatti proposto il collocamento del bambino in una struttura con rientro in famiglia il fine settimana per consentirgli di apprendere e assimilare comportamenti ai quali gli zii non riuscivano ad educarlo. Rimasi perciò sorpresa nel sentire che quello stesso padre chiedeva ora l’aborto per sua figlia.
Gli domandai come era avvenuta questa gravidanza, chi mai aveva abusato della bambina, se avesse già fatto la denunzia quando la figlia glielo aveva rivelato; e poi, perché l’aborto? Come padre di quattro figli, non poteva aprire le braccia anche al quinto bambino, come fosse figlio suo? Lui mi disse: «Mettetemi in fila le domande, e vi rispondo piano piano perché sono distrutto».
L’uomo girava intorno al discorso dicendo che il suo appartamento era piccolo per i suoi cinque figli (considerava figlio anche il nipote), che soltanto Ulisse, il più grande, aveva un letto tutto per sé, mentre gli altri quattro, Adelina, Salvatore, Carmine e Filomena, dormivano insieme in un letto matrimoniale nella stessa stanza di Ulisse. Non vi era altra soluzione perché l’appartamento aveva solo due grandi stanze e un’ampia cucina con un grande tavolo per il pranzo, dove quando non c’erano i piatti c’erano i quaderni e i libri dei figli che andavano a scuola. Purtroppo un letto nella cucina non ci poteva proprio stare, altrimenti alcune cose brutte forse non sarebbero mai accadute... Lasciando quella frase incompiuta posò per un attimo la fronte sulla mia scrivania, come a voler lasciare riposare il cervello in ebollizione per il troppo pensare. Poi riprese con voce accorata: «Io il bambino me lo sarei pure tenuto, perché un’altra bocca da sfamare non mi fa paura, con il mio lavoro me lo posso permettere, ma ora, così come stanno le cose, non posso proprio... Anzi mi sono deciso pure a mettere Ulisse in un istituto, prendendolo, come avevate detto voi, per il fine settimana».
Seguì una lunga pausa che io non interruppi, pensando che volesse aggiungere qualcosa, a mo’ di chiarimento; infatti dopo qualche minuto esclamò, finalmente con voce decisa: «Insomma, avete capito che è stato Ulisse, il quale manco lui ha capito niente. Mia figlia si ricorda solo che a gennaio, la notte precedente la festa della Befana, poiché faceva molto freddo e le battevano i denti, se n’è andata a dormire vicino al cugino che aveva una coperta in più, anche perché temeva che la Befana non l’avrebbe vista se restava con gli altri tre fratelli. Così, per non farle sentire tanto freddo, lui l’aveva riscaldata, e lei pensa che è successo mentre la riscaldava, perché era quella l’unica cosa strana che le era accaduta, così come aveva già riferito in ospedale. La dottoressa le aveva appunto chiesto se alcuni mesi prima, verso l’inizio dell’anno, mentre era vicina, vicina a qualcuno, aveva sentito giù verso la pancia qualcosa di strano, che non aveva mai sentito prima. La creatura è sempre stata sincera e per lei la verità è questa. Non sapevamo né cosa dire né cosa fare, perciò l’abbiamo portata subito, il giorno dopo, cioè ieri, in ospedale, ma ci hanno rimandato qua, e io e mia moglie siamo stati contenti perché già vi conosciamo. Questi i fatti, signor giudice, e adesso stiamo nelle vostre mani, e ci dovete aiutare, soprattutto dovete aiutare Adelina».
Cercai di spiegare che la competenza ad autorizzare l’aborto era del giudice tutelare e che, comunque, per una gravidanza così avanzata sarebbe stato necessario provare una situazione di rischio per la ragazzina, che solo un medico avrebbe potuto accertare. Aggiunsi che forse la dottoressa che aveva visitato Adelina in ospedale aveva consigliato di venire da me in Tribunale perché spiegassi loro che si poteva far nascere il bambino: «Poi Adelina può dichiarare al medico dell’ospedale che non lo può tenere per la sua giovanissima età e le tante responsabilità che conseguono alla crescita di un bambino, e se voi direte che non ve la sentite di crescere questo neonato perché avete già quattro figli e un nipote in affidamento, il bambino può essere dichiarato adottabile. Voi che avete fatto quattro figli sapete bene che un feto verso i cinque mesi è già formato, vuole quindi nascere, e Adelina può dargli la vita, e poi chiedere al Tribunale che per lui si provveda ad individuare la migliore famiglia possibile. Ciò significa che Adelina renderà felice una coppia che da anni aspetta un bambino e che non riesce ad averlo naturalmente. È opportuno, dunque, che io parli con vostra figlia: domani mattina alle 8,30 non c’è ancora folla nei corridoi e la situazione è tranquilla, conducetela da me con assoluta serenità, ditele che avrà anche lei un bellissimo regalo. Se la bambina non si rende bene conto che c’è un’alternativa all’aborto sarà necessaria la nomina di un curatore, ma può darsi che ne potremo fare a meno». L’uomo mi chiese se doveva condurre anche Ulisse; gli dissi di no, scuotendo la testa in modo deciso; ed egli si spaventò: «Ma perché, può succedergli qualcosa di brutto?». «Adesso no, state tranquillo», fu la mia risposta evasiva.
Passai ad ascoltare le persone convocate per l’udienza successiva; si trattava di un ragazzo fuggito da una comunità, ma avevo sempre nella mente la situazione di quella bambina. Avevo avuto, naturalmente, altri casi di minorenni giovanissime rese gravide da adulti sconosciuti, o all’opposto da persone molto vicine alla famiglia, e anche da parenti molto stretti, ma mai così giovani di età: una bambina di prima media appena dodicenne..., davvero impensabile... E anche le modalità, assolutamente inimmaginabili... Sapevo che, scrivendo quanto dichiaratomi dal padre della minore, si sarebbe instaurato un procedimento penale a carico del nipote. Pur non avendo ancora raggiunto il quattordicesimo anno di età all’epoca dei fatti ed essendo, quindi, non imputabile, Ulisse avrebbe comunque subìto l’attività investigativa del pubblico ministero, anche se il procedimento si sarebbe inevitabilmente concluso con una sentenza di incapacità per minore età. La famiglia ne sarebbe comunque uscita distrutta.
La decisione di collocare Ulisse in una struttura mi sembrò una misura adeguata anche per tutelare l’altra bambina, la piccola Mena. Ricordavo molto bene il ragazzo; aveva fin dalla nascita accusato un notevole ritardo cognitivo perché al momento del parto era stato preso con il forcipe: colpevole forse il medico che non aveva saputo utilizzare uno strumento produttivo di possibile rischio sanitario ove non manovrato alla perfezione.
Tornata a casa, continuavo a pensare a una soluzione per non far trovare Ulisse nel bel mezzo di una esplosione mediatica insieme a sua sorella, e spezzare così il cuore di quei poveri genitori che si facevano in quattro per provvedere al meglio ai loro figli. Decisi che l’indomani, dopo aver ascoltato la ragazza, mi sarei recata dal Procuratore capo per rappresentargli la questione che di lì a poco sarebbe arrivata sul suo tavolo.
***
Il giorno dopo, alle 8,30 in punto, i genitori e Adelina erano nella sala di attesa. Dissi loro di entrare di là a qualche minuto. Entrò prima la madre, per dirmi che Adelina non aveva chiuso occhio per tutta la notte anche se l’avevano tenuta nel loro letto, come avveniva da quando avevano saputo; non erano bastate due tazze di camomilla, e neppure tutte le rassicurazioni sulla mia bontà e comprensione. Le dissi di non preoccuparsi e di far entrare la bambina.
Adelina appariva una bambina tra i dieci e gli undici anni, diafana, magrolina, con lunghi capelli biondi e lisci, e occhi scuri da agnellino condotto al macello. Somigliava alla madre, sembrava molto timida e remissiva; ma pensai che era probabilmente l’occasione a farla sentire e apparire tale. Si intravvedeva appena la rotondità del pancino, che però poteva essere anche del tutto connaturale alla sua figurina. Restava lì, vicino alla porta che aveva solo socchiuso, quasi pronta ad un immediato commiato. Era sicuramente in difficoltà e non accennava a sedersi nonostante il mio cenno. Allora le dissi: «Siediti pure, Adelina, se resti vicino alla porta non possiamo parlare, anzi chiudila bene. Se vuoi che entri la mamma o il papà possiamo farli entrare, però io vorrei prima parlare un po’ con te. C’è qualcosa che mi vuoi chiedere? I tuoi genitori ti hanno spiegato cosa è questo luogo e perché ti hanno condotto da me?». La bambina rispose: «È stata la dottoressa dell’ospedale a dire a mamma che dovevo venire da voi, in Tribunale, perché per me ci vuole un’autorizzazione per...». «Per cosa?». «Per togliermi questa cosa che mi cresce nella pancia». «Ma tu, Adelina, tu lo sai cosa è quella cosa che ti cresce nella pancia?». «Sì, è una cosa che se continua a crescere può diventare un bambino, ma io non so chi me l’ha messa dentro...», e scoppiò a piangere, singhiozzando.
Mi alzai e le andai vicino dicendole: «Ma questo adesso a me non importa, infatti hai visto che non te l’ho chiesto; però ti voglio spiegare che quella cosa che hai dentro il tuo pancino è già un bambino, che ha gli occhietti, il nasino e la boccuccia, già c’è e ti chiede di farlo vivere, di farlo nascere e poi di lasciarlo andare dove questo Tribunale stabilirà, e cioè da un papà e una mamma che aspettano un bambino da molti anni; ma quel bambino non è mai andato da loro, nella pancia di quella donna, e perciò lo chiedono a noi perché qui vengono le ragazze che devono dare alla luce un bambino ma non possono tenerlo con loro. Quindi io ti ho chiamato per farti capire bene che potresti fare felice una coppia in attesa accudendo nel tuo pancino questo piccolino per ancora quattro mesi. Pensa, ora siamo a fine maggio e la scuola è finita, ad ottobre potrai riprendere la scuola perché il pancino non ci sarà più; quando il pancino diventerà evidente andrai in una grande casa, anzi una bella villa, dove troverai altre ragazze che hanno il pancino, o il pancione se sono grassottelle, e, come molte di loro, lascerai il tuo bambino e tornerai a casa dai tuoi genitori, e dimenticherai ciò che ti è accaduto quando sarai tra le tue compagne di banco e le tue insegnanti, che ti vogliono bene, e avrai le altre mille faccende da fare in casa per aiutare la mamma. Pensa per un solo momento a quanta felicità puoi dare a questo bambino lasciandolo ad una famiglia che lo desidera; non farlo nascere significa non volergli bene, togliergli la possibilità di vedere gli alberi, i fiori, le stelle e tante altre cose che tu oggi ami e potrebbe anche lui amare vivendo».
La bambina continuava in un pianto silenzioso, intervallandolo con respiri profondi e guardandomi di tanto in tanto di sottecchi. Dopo un lungo silenzio, Adelina disse: «Io adesso mi sento tanto infelice, ma voglio che qualcuno sia felice per la mia infelicità, e se mi dite come fare, lo farò, sempre che i miei genitori sono d’accordo». E io di rimando: «Allora di’ a mamma e papà di entrare, e domanderemo loro se sono d’accordo». I genitori entrarono molto tesi in volto e mostrarono subito la confusione dei loro pensieri. «La potrei mandare da una mia sorella che sta a Milano», diceva la mamma; ma il padre esclamava: «Ma allora se deve andar via da Napoli perché nessuno deve sapere, starebbe meglio da mia cognata a Udine, da poco vedova, che le vuole bene come a una figlia». Varie altre proposte affioravano, e io a stento riuscii ad inserirmi per prospettare la possibilità di accoglienza in una comunità specializzata per donne in gravidanza, dove sarebbe stata psicologicamente sostenuta oltre che seguita sotto il profilo sanitario. Quando ebbero terminato di scambiarsi le varie reciproche proposte finalizzate a collocare la bambina presso parenti, si guardarono negli occhi e dissero quasi all’unisono: «Ma forse è meglio che nessuno sappia i fatti nostri e che Adelina vada in questa “Casa Fiorita” di cui parla la giudice».
Fu così che potei cominciare a verbalizzare la volontà dei genitori di far accogliere la figlia in una struttura idonea ad accompagnarla fino al momento del parto. Intanto era sopraggiunta la psicologa delegata a preparare la piccola futura mamma a quella esperienza del tutto nuova nel modo più leggero possibile. Adelina pareva aver compreso che quella era la scelta fatta per lei dai genitori e l’accoglieva come quella giusta perché era una bambina obbediente e buona, timida e riservata; tra l’altro, dava l’impressione di non essersi effettivamente resa conto dell’accaduto che l’avrebbe resa madre.
Prima di andare via mi guardò a lungo e mi chiese se avessi qualcosa per lei; io le avevo portato una bella collana di pietre di vario colore ma, proiettata come ero alla decisione sul caso, stavo per dimenticare di dargliela. Aprì il pacchetto, la prese e con grazia se la poggiò sul seno appena accennato, e mi chiese: «Me la allacci?»; sembrò così aver dimenticato tutto ciò che fino a quel momento si era detto, le sue lacrime e i suoi sospiri. Era, dunque, davvero una bambina che non si era resa conto di cosa le era successo e della avventura umana che avrebbe dovuto vivere.
Chiamai al telefono la dottoressa che me l’aveva mandata dall’ospedale e le dissi come si era conclusa la vicenda; anche lei ne fu soddisfatta, perché mi confessò che le piangeva il cuore a immaginarla sot...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. Il valore della verità
  2. Parte prima. Segreti in famiglia
  3. 1. La madre bambina
  4. 2. La dimensione dell’attesa
  5. 3. Scavalcare il destino
  6. 4. Il colore della verità
  7. 5. Oscurantismo materno
  8. 6. Storie incrociate
  9. Parte seconda. Il segreto sulle origini
  10. 7. Ritrovarsi per caso
  11. 8. Il filo mai spezzato
  12. 9. Ti ringrazio di avermi detto sì
  13. 10. Il silenzio nell’incontro
  14. 11. Così vicine così lontane
  15. 12. Rintraccio “fai da te”
  16. Appendice
  17. 1. Il diritto alla conoscenza delle origini
  18. 2. Il rintraccio della madre biologica