La guerra della memoria
eBook - ePub

La guerra della memoria

La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi

Filippo Focardi

Condividi libro
  1. 380 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La guerra della memoria

La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi

Filippo Focardi

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

In Italia l'esperienza della seconda guerra mondiale, dell'occupazione tedesca e della lotta partigiana contro la Repubblica sociale ha inciso sulle memorie individuali e collettive producendo numerose fratture. Al di sopra di un universo di memorie frammentate è esistita però anche una memoria pubblica della guerra di liberazione, impostasi come narrazione dominante. Contestata fin dall'immediato dopoguerra, questa memoria si è trovata negli ultimi anni al centro di un confronto sempre più acceso che ha toccato temi nevralgici: la resa dei conti con i fascisti dopo il 25 aprile, la riconciliazione fra 'ragazzi di Salò' e partigiani, la giornata della memoria in ricordo della Shoah, le foibe, Cefalonia.

La guerra della memoria analizza le caratteristiche del dibattito politico italiano sulla memoria della Resistenza.

Un libro che affronta, in maniera rigorosa e documentata, il tema 'caldo' della Resistenza, dalle prime celebrazioni della Liberazione al dibattito storico-politico italiano degli ultimi anni.

Domande frequenti

Come faccio ad annullare l'abbonamento?
È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
È possibile scaricare libri? Se sì, come?
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Che differenza c'è tra i piani?
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Cos'è Perlego?
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego supporta la sintesi vocale?
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
La guerra della memoria è disponibile online in formato PDF/ePub?
Sì, puoi accedere a La guerra della memoria di Filippo Focardi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Geschichte e Geschichte des 21. Jahrhunderts. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858141786

LA SFIDA ALLA MEMORIA PUBBLICA
DELLA RESISTENZA.
DALLA «GRANDE RIFORMA» DI CRAXI
ALLA PROPOSTA DI «Riconciliazione» DI FINI

Perché si è riaperto il dibattito
su fascismo e antifascismo
[Ugo Pecchioli, «Rinascita», 9 marzo 1985]
Il 40° anniversario della Resistenza – in corso di svolgimento – ha già visto un numero assai grande di manifestazioni e celebrazioni unitarie nelle quali forze antifasciste e istituzioni democratiche si sono unite nella rievocazione degli episodi più significativi del difficile cammino per riconquistare la libertà. Ciò ha un grande valore. Tuttavia questo anniversario non è ancora diventato anche l’occasione di una controffensiva ideale, culturale, politica per gettare il necessario allarme sui tentativi in atto di manipolazione della storia e persino di rivalutazione più o meno strisciante del fascismo. Tali tentativi si accompagnano a insidiose operazioni volte a colpire valori e idealità della Resistenza spesso rappresentata unicamente come «guerra civile», mettendo cioè sullo stesso piano chi si è battuto per riaprire all’Italia le vie di uno sviluppo civile e democratico e chi è stato dalla parte dei fascisti di Salò a fianco dei nazisti. Si cerca infine di accreditare la tesi che l’antifascismo apparterrebbe ad una epoca storica ormai superata senza più alcun rapporto con i problemi e le esigenze dell’Italia moderna. La stessa liberazione del criminale nazista Reder ha assunto il carattere di un segnale in questo senso.
Sono posizioni allarmanti e pericolose che attentano a principi e regole cardine su cui si regge la nostra vita democratica. Non sembra una forzatura collocare in questo contesto anche la spregiudicata utilizzazione dei voti del Msi ad opera di questo governo. La ricerca di sostegni nelle file del Msi non costituisce certo una novità. Ma ora si è passati dalle vecchie, tradizionali contrattazioni sottobanco tipiche di molti governi precedenti, alla nuova linea del presidente del Consiglio che già all’atto della costituzione di questo governo ha proclamato apertamente la fine della «ghettizzazione» del Msi. Tutto questo significa dare legittimazione ad un gruppo politico che ha sempre contestato – spesso in termini eversivi – il regime democratico rivendicando la sua continuità col passato fascista. Significa inoltre voler colpire quel fondamentale punto di riferimento politico, morale, istituzionale rappresentato dal ruolo di garanzia democratica delle forze che hanno dato vita alla Costituzione.
C’è dunque – perseguito per vie molteplici – un disegno tendente a rimettere in discussione la natura antifascista del nostro regime democratico. Occorre saperlo, valutarne significato e pericoli, reagire con la fermezza e il vigore necessari.
Si pone anzitutto un problema di battaglia culturale. È certo necessario respingere atteggiamenti di faziosità e schematismi nell’analisi storica del fascismo. Già Togliatti fin dal 1935 nelle sue «Lezioni sul fascismo» aveva dato un contributo, ancora oggi prezioso, mettendo l’accento sulle sue peculiarità come «regime reazionario di massa». Ma il giudizio sulla sostanza del fascismo non può che essere preciso. Il fatto che esso abbia portato l’Italia alla guerra, alla dipendenza, alla rovina non è stato un incidente. È stato lo sbocco della sua natura di regime fondato sulla oppressione, su una politica aggressiva e organicamente collegato agli interessi di classe di forze decisive del capitalismo italiano. Invece in questi anni ci sono stati numerosi travisamenti di certa storiografia «afascista» che, attraverso una rivalutazione delle fonti fasciste, ha fornito una visione edulcorata e giustificazionista del ventennio, corrispondente non tanto alla realtà quanto all’immagine che il fascismo intendeva dare di sé. I risultati di questo tipo di ricerca storica sono stati, in più occasioni, utilizzati dai mass media per traduzioni e divulgazioni semplificate e disorientatrici. Non si può dunque dare per scontata la conoscenza di che cosa sia stato il fascismo. Respingere i tentativi di colpire il patrimonio antifascista significa perciò anche aprire un serrato dibattito critico con le posizioni di rivalutazione e giustificazione del fascismo, anche utilizzando meglio gli apporti rigorosi di tanti storici, uomini di cultura, combattenti antifascisti.
La Resistenza non può essere archiviata o considerata alla stregua di una delle tante eredità patriottiche del passato cui richiamarsi coi soliti riti celebrativi. Essa è l’atto di nascita della nuova democrazia italiana. Ha rappresentato nella vita del nostro paese una svolta storica che ha trovato la sua sanzione nei caratteri avanzati della Costituzione nata da convergenze e apporti di forze diverse, ma in sostanziale continuità con gli ideali e le spinte rinnovatrici della Resistenza. Non solo. Quei tratti originali di permanente partecipazione e tensione democratica che caratterizzano da quarant’anni la vita del nostro paese, trovano spiegazione nel fatto che con la Resistenza si verificò un profondo mutamento nei ruoli delle classi e delle forze politiche. Una classe dirigente nuova e forze sociali nuove – attraverso un processo unitario non facile – si collocarono alla testa dell’Italia. Ed una parte determinante fu svolta dal partito comunista e dalla classe operaia.
È vero che successivamente – nel mutato quadro dei rapporti internazionali – si sono aperte aspre tensioni fra i partiti antifascisti e la Dc ha guidato una dura politica di rottura con le forze più avanzate della società per ribaltare i nuovi processi avviati dalla lotta di liberazione. Ma una fondamentale conquista della Resistenza, cioè la nuova collocazione dirigente, di governo, delle classi lavoratrici non ha potuto essere intaccata. Essa si è espressa nelle battaglie per tenere aperta la strada di un rinnovamento della società e dello Stato e per realizzare le più ampie convergenze attorno ad obiettivi di progresso civile, sociale e democratico. A queste battaglie il Pci ha dato il contributo della sua forza e della sua capacità di rinnovarsi rimuovendo «doppiezze», affermando con rigore la propria autonomia e sforzandosi di trarre in tutti i campi le necessarie conseguenze del nuovo, indissolubile rapporto fra democrazia e socialismo costruito nella Resistenza.
Sta qui l’originalità del «caso italiano». Nel fatto che l’antifascismo rappresenta sul piano politico e morale il cemento della democrazia e resta – nelle mutate condizioni di oggi – il punto di riferimento delle lotte per rinnovare la società italiana nel quadro di una politica di pace, di unità dell’Europa, di solidarietà con i popoli oppressi, di superamento del sottosviluppo in tanta parte del mondo.
Ai tentativi di considerare ormai anticaglia, anzi addirittura un impaccio il patrimonio dei valori antifascisti occorre dunque dare ferma risposta. Si vorrebbe recidere il processo politico italiano dal suo vitale retroterra rappresentato dalla Resistenza per svuotarlo di contenuti e obiettivi rinnovatori e intaccare i fondamenti stessi del nostro regime democratico. Per quanti – ovunque collocati – considerano l’antifascismo come autentica misura della loro coerenza democratica, non può che esser motivo di profonda preoccupazione il fatto che questo governo, sia pure tra lacerazioni e contrasti, tenda con vari suoi atti a collocarsi in una simile logica. Ne è esempio la prassi ormai costante di manomettere le prerogative del Parlamento, la forzatura continua delle regole parlamentari, gli attacchi al sistema delle autonomie puntando all’accentramento dei poteri nell’esecutivo. Ciò mentre insiste l’attacco al ruolo dei partiti di massa quali promotori della partecipazione democratica, ed è andata pericolosamente avanti, per quanto riguarda la Dc e poi anche il Psi, una concezione degradata della politica e del partito in funzione di manovre di potere, di mercati, di traffici oscuri.
Sono soltanto alcuni esempi. Ma indicatori di pericolosi sbocchi di una linea che in nome di una presunta modernità tende a voltare le spalle all’antifascismo. Occorre invece riproporre con forza la centralità, l’attualità delle grandi scelte della Resistenza in una situazione nella quale sono ormai maturate condizioni nuove per portare a compimento quel vitale processo di cambiamento, di avvicendamento di classi e di forze di governo per il quale la Resistenza ha posto fondamentali premesse.
È auspicabile che su questo complesso di questioni il 40° sia occasione di un confronto serrato, di una ricerca costruttiva fra le forze di sinistra e antifasciste. Il tentativo insidioso di colpire le fondamenta antifasciste della nostra democrazia può essere respinto attraverso una ferma battaglia culturale, ideale, politica ed anche col peso di una vera rivolta morale.
L’alibi dell’antifascismo
[Lucio Colletti, «Corriere della Sera», 24 marzo 1985]
Tra qualche settimana, mentre saremo nel pieno di una campagna elettorale che già ora si annuncia ai ferri corti e quando incomberà, forse, più di oggi la prospettiva di un referendum dagli effetti distruttivi, ricorrerà il 40° anniversario del 25 Aprile. C’è da scommettere sullo spettacolo a cui assisteremo anche questa volta. Messe da parte (non senza ipocrisia) le divisioni profonde che tuttora lacerano il Paese, la ricorrenza verrà presa a pretesto non solo per celebrare l’«unità antifascista», ma per inculcare e ribadire un principio che sembra ormai fuori discussione: quello dell’identità tra antifascismo e democrazia.
La tesi è, in apparenza, ovvia: in realtà, cela un equivoco. Se la democrazia infatti non può non essere antifascista, non sempre è vera l’affermazione inversa. Non tutte le forze antifasciste sono per ciò stesso democratiche. In quanto ha combattuto contro il nazifascismo, l’Unione Sovietica, ad esempio, è stata certamente una potenza antifascista. Sarebbe difficile tuttavia giudicarla uno Stato democratico.
Considerazioni analoghe valgono anche per la Resistenza italiana. Le forze che la guidarono, e che erano raccolte nel CLN, andavano dai liberali ai comunisti: includevano partiti che si ispiravano agli ideali della liberaldemocrazia e partiti che avevano, al contrario, come fine ultimo la cosiddetta «dittatura del proletariato». Nessuno può naturalmente dimenticare il grande tributo di sangue che il Pci ha offerto alla Resistenza. Ed è certo che, tra quelle forze, vi fu unità d’azione nella lotta contro il fascismo. Ma non diversamente da come, sul piano internazionale, le democrazie occidentali e l’Unione Sovietica si trovarono a combattere insieme contro la Germani...

Indice dei contenuti