Lezioni di Fantastica
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Lezioni di Fantastica

Storia di Gianni Rodari

  1. 296 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Lezioni di Fantastica

Storia di Gianni Rodari

Informazioni su questo libro

Alzi la mano chi, nella sua vita, da bambino o da adulto, non ha mai avuto tra le mani un libro di Gianni Rodari. Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono e Il libro degli errori fanno parte dei ricordi e dell'immaginario di moltissimi di noi e non soltanto in Italia, visto che Rodari è uno degli scrittori più tradotti in tutto il mondo, oggetto di culto in Russia come in Brasile. Ma Gianni Rodari non ha 'soltanto' inventato favole e filastrocche, ha fatto molto di più: ha inventato un nuovo modo di guardare il mondo e l'ha fatto rivolgendosi ai bambini e, usando gli strumenti della lingua, della parola e del gioco, ha portato l'elemento fantastico nel cuore della crescita democratica dell'Italia repubblicana.Lezioni di Fantastica ricostruisce la vita di questo grande intellettuale a partire dai grandi 'insiemi' che l'hanno riempita – la politica, il giornalismo, la passione educativa, la scrittura e la letteratura –con l'ambizione di raccontare un Gianni Rodari tutto intero, di sottrarlo allo stereotipo dello scrittore 'facile'. Un uomo il cui gioco di invenzioni e parole, come ha scritto lui stesso, «pur restando un gioco, può coinvolgere il mondo».

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Informazioni

1.
Dove si parla di un forno,
di gatti e di antifascismo

prestino s. m. [adattam. tosc. del milan. prestìn, che è il lat. pistrinum «mulino, forno»], ant. e region. – Forno, panetteria: fu stipulato il contratto coi tredici prestini di panbianco della città di Milano (Beccaria); el prestin di scansc è il nome milanese del «forno delle grucce» nella Corsia de’ Servi, di cui parla il Manzoni (Promessi Sposi, cap. XII).
Enciclopedia Treccani
Gianni Rodari è nato a Omegna (Novara), sul lago d’Orta, il 23 ottobre 1920, da genitori lombardi, della Valcuvia. Dal decimo al trentesimo anno è vissuto in Lombardia, tra il Varesotto e Milano. Questo gli permette di dichiararsi, caso per caso, piemontese o lombardo.
Gianni Rodari
Uno degli esercizi di fantasia più noti di Gianni Rodari è il gioco degli insiemi, risponde alla domanda formulata «dal bambino che vuol sapere chi è, e la mamma gli dice ‘figlio’, lo zio ‘nipote’, ma è anche un ‘fratello’, un ‘pedone’, uno ‘scolaro’ eccetera eccetera; e ogni volta fa un nodo su una corda; insomma, scopre (matematica) gli ‘insiemi’ di cui fa parte»1. Ognuno di noi, così, è figlio, amico, fratello, ma anche di Manziana o di Bolsena, ha gli occhi verdi, va in bicicletta, mangia il gelato a colazione.
Chi è, dunque, Gianni Rodari, a quale insieme, a quanti insiemi, appartiene? Partiamo da un ricordo di Antonio Faeti, studioso e amico di Rodari: «Rodari aveva quasi vent’anni più di me: giusto l’arco di un’intera generazione. Tuttavia in molti dibattiti, in convegni, in tavole rotonde a cui abbiamo entrambi partecipato, accadeva che la parte del vecchio dovessi inevitabilmente interpretarla io, come se avessimo preso in questo senso un ammiccante accordo, mai più tradito»2. È una sera romana del 1973, a Gianni Rodari è stato chiesto di presentare Guardare le figure, saggio sulle illustrazioni dei libri per l’infanzia, uscito per Einaudi l’anno precedente. «Con la grazia inimitabile, l’umorismo, l’arguta imprendibile profondità che metteva in queste cose, Rodari, per quanto fosse lì presente, davanti ai sorridenti ascoltatori, mi descrisse come un vecchio professore, forse impazzito a causa dei troppi libri letti e riletti in continuazione. Una specie di maniaco cacciatore di farfalle che rinunciava agli insetti per collezionare antiche stampine di cui si era follemente innamorato, in un’infanzia remota»3.
Quei libri di cui parla Faeti, infatti, Rodari da bambino non li ha letti, e pure se li avesse letti forse non li avrebbe amati, così come era accaduto alla grandissima maggioranza dei bambini appartenenti alla sua generazione e a quelle precedenti4. Le storie della letteratura per l’infanzia, e anche Guardare le figure, hanno sempre dimenticato di tener conto di un dato fondamentale, cioè che l’«infanzia storica» in Italia non aveva mai letto nulla, «presa com’era da altri problemi: la denutrizione, la pellagra, la fame, il lavoro minorile, il disambientamento causato dalle frequenti emigrazioni. I libri per bambini, ‘storicamente’, erano destinati ai figli della media e alta borghesia (con qualche eccezione, ridacchiava Rodari, costituita dagli incontri fortunosi e particolari, come quello dell’autore di Guardare le figure), non certo appartenente alle due classi privilegiate, con nutritissime e vecchie biblioteche»5.
Una riflessione che Rodari riprende l’anno successivo, nel 1974, invitato al primo convegno internazionale su Pinocchio, dove ricorda come, negli anni in cui il libro di Collodi viene scritto, i bambini delle classi povere non andassero a scuola, ma a zappare la terra o a badare alle pecore; e anche nelle regioni più progredite, dopo la prima o la seconda elementare, entrassero in fabbrica:
Le vecchie del mio paese, e anche quelle di famiglia, ricordavano bene come a sette, otto anni, fossero andate in cartiera o in filanda a lavorare. Le filande erano lontane. Donne e bambine partivano la domenica sera, cantando le litanie per farsi coraggio nel buio delle strade, venivano alloggiate in dormitori comuni, tornavano al paese il sabato sera con la paga avara, ma preziosa come gli zecchini d’oro di Pinocchio. Le bambine facevano il turno in cartiera dalle otto di sera alle sette di mattina. Da vecchie ci raccontavano queste cose con una strana allegria. Esisteva allora una netta e largamente accettata ‘divisione del lavoro’ tra i ragazzi, pochi, che potevano commuoversi, leggendo Pinocchio, nel punto in cui il burattino cuor d’oro lavorava giorno e notte per mantenere Geppetto malato, la fata all’ospedale e l’improduttiva lumachina per soprammercato, e gli altri ragazzi che, in più gran numero, trascorrevano faticando l’età della fiaba. Di qua, insomma, i piccoli vetrai, i piccoli vagabondi, che recitavano la loro disavventura in prima persona, senza sospetto di letteratura; di là i fortunati lettori della loro storia, o di storie simili, come se ne trovano nel Cuore6.
L’«infanzia storica», nata in un’Italia con pochi libri, figlia di analfabeti ma ricca di una tradizione orale, fatta di veglie in stalle affollate, un’infanzia a cui appartiene anche Gianni Rodari. «Non c’erano libri per bambini in casa mia, ce n’erano ancora meno in casa di mia madre. A sette anni è andata a lavorare in cartiera e non credo avessero dei libri»7. Non era lei a raccontare le favole, dirà Rodari in un’intervista a Nico Orengo del 1979, la zia, la nonna semmai; la mamma no, non aveva tempo8.
Crescere in una casa senza libri per poi diventare uno scrittore non è un’esperienza così rara nel Novecento. Indagare sul momento in cui scoppia l’amore fra il bambino e la pagina di un libro è, tuttavia, sempre, un’esperienza interessante perché getta luce su un angolo buio della storia, quello dell’infanzia di famiglie che non posseggono la parola scritta. A maggior ragione se poi il bambino, da adulto, scriverà per i ragazzi, allora «è naturale che incuriosiscano soprattutto l’infanzia e l’adolescenza: è in quelle stagioni della vita che possono infatti annidarsi le possibili motivazioni a dedicarsi più tardi a un ‘mestiere’ così singolare, e dai ricordi di quel periodo è comprensibile che lo scrittore attinga spunti da rielaborare sul piano fantastico»9.
È stato Marcello Argilli, il primo biografo di Gianni Rodari, a farsi questa domanda e raccontare al grande pubblico da dove fosse spuntato quello scrittore così noto a tanti al momento della sua morte, il 14 aprile 1980, ma così sconosciuto ancora oggi, a quarant’anni da allora. Eppure Rodari, come Pollicino, ha disseminato di indizi le sue filastrocche, i suoi articoli e anche i suoi libri per raccontarci la sua storia: tutti racchiudono un preziosissimo archivio di memorie private, sassolini bianchi che ci consentono di ripercorrere a ritroso la strada fino alla casa dove tutto ha avuto inizio.
E l’inizio non può che essere questo: c’era una volta un lago, circondato da alte montagne, e sul lago una città che si chiamava e si chiama Omegna. Una città piccola, con un fiume noto per l’andare all’insù invece che all’ingiù, da cui un proverbio buono per giustificare ogni sbaglio, ogni errore, blu o rosso: La Nigoja la va in su e la legg la fouma nu. E in italiano: La Nigoglia va all’insù e la legge la facciamo noi.
La via centrale, che portava e porta il nome di Giuseppe Mazzini, era popolata negli anni Venti da diverse botteghe, fra cui quella di un ‘prestino’, che poi sarebbe un fornaio, di proprietà di Giuseppe Rodari unito in seconde nozze, il 24 aprile 1919, con la nubile trentasettenne Maddalena Aricocchi. «Mia madre era una serva, ma di quelle istruite, che sanno il francese». Nel dire «serva» non c’era in lui né imbarazzo, né ostentazione proletaria, ma solo rispetto per sua madre che, per vivere, aveva dovuto lavorare in casa dei signori, e il desiderio di far capire quanto umili fossero le sue origini»10.
«Donna di carattere piuttosto energico, vantava ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Gli insiemi («Il Caffè», 1968)
  3. 1. Dove si parla di un forno, di gatti e di antifascismo
  4. 2. Il maestro
  5. 3. Il giornalista comunista
  6. 4. Tutto il mondo in filastrocca
  7. 5. Il lavoro culturale
  8. 6. Dalla parte delle fate
  9. 7. Quella vita (o sul mito dell’Urss)
  10. 8. Guerre fredde, inverni caldi
  11. 9. Il Movimento di cooperazione educativa
  12. 10. «Paese Sera»
  13. 11. Lo Struzzo n. 14
  14. 12. La via sbagliata al socialismo
  15. 13.La torta in cielo (capitolo breve ma necessario)
  16. 14. La grande disadattata
  17. 15. Un invito a organizzarsi
  18. 16. Un libro d’oro e d’argento
  19. 17. Senza fate né streghe
  20. 18. Dopo il Sessantotto
  21. 19. Burattinaio
  22. 20. Giochi nell’Urss
  23. 21. Chi sono io
  24. Avvertenza bibliografica
  25. Ringraziamenti