Oceano Padano
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Oceano Padano

  1. 184 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Oceano Padano

Informazioni su questo libro

L'Oceano Padano galleggia su tre elementi: acqua, letame e burro.«Il vero abitante dell'Oceano Padano non ama il mare salato, non lo capisce, se ne tiene alla larga. "Cosa me ne faccio?", pensa davanti a quella spaventosa massa dal colore estraneo, dall'odore sospetto, che al posto di scorrere, rifluisce, ripiega lamentosamente su sé stessa, innaturalmente fa avanti e indietro senza costrutto sulla riva. "Cosa ci adacquo? Ci irrighi mica i campi, con questa...", torna a ripetersi l'uomo agricolo, l'archetipo eterno della Bassa: e si allontana da sabbia e alghe e conchiglie – elementi oscenamente sterili – come covando nel cuore un segreto sgomento. Lui ama solo le rogge, i pesci di fosso, le polle d'acqua sorgiva, gli infidi canali ombreggiati dai filari di ontani, le increspature dei fili d'erba delle verdissime distese: e nella sua mente – mentre riposa al tramonto con uno stelo di fiore in bocca – vede tutto ciò tramutarsi in foraggio, concime, latte, formaggio. Lavoro. Ricchezza.»

Domande frequenti

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Informazioni

Spigolature dell’infinita estate

Nel nulla serale di questa mia estate al paese, cerco di trovare risposte adatte a domande stupide.
“Perché sei a Nosadello in agosto?”.
“Perché sono negato, per le vacanze”.
È così, non sono proprio portato per le vacanze.
Ho sempre cercato di evitarle, o di limitarle a pochi giorni, finché ho potuto. E finché ho potuto decidere ho trascorso i mesi estivi a casa mia, a Nosadello, dai miei genitori, dopo essere stato per tutto l’anno a Pavia, la città in cui vivo come un emigrante, stupendomi di non aver dovuto fare il passaporto.
Sono qui per trascorrere i non terminabili giorni seduto sotto il portichetto della nostra villetta a leggere e a sudare e soprattutto a fare quello che qui, d’estate, non puoi, non vuoi evitare: lasciare che passino le ore, cadere nel torpore, annoiarti a morte – fino a sentirti nuovamente parte di te, nuovamente in pace, nella tediosa resistenza all’aggressione dell’esterno, della modernità, di ciò che scioccamente cambia perché non ha mai avuto forma e sostanza vere, reali.
Come la noia, come a Nosadello.
Sono finalmente tornato da Pavia al paese. Sono tornato ai più teneri affetti.
“Mamma, resto qui per l’estate”.
“Basta che non rompi le balle”.
Etimologicamente vacanza significa assenza, mancanza. Ecco, io faccio assenza a Nosadello, manco al portichetto.
Che poi è la stessa cosa che è successa anche l’ultima estate. “Faccio le vacanze dell’anno scorso / così mi riconosco”.
Sono le dieci e trenta del mattino, si avvicina ormai il pranzo. Mi annoio.
A Nosadello le sciure in vista dell’estate fanno la prova grembiule.
Pur essendo in perfetta forma, vado, per distrarmi e poter dire che non starò inerte come sempre sulla cadrega, sulla seggiola, in giardino, dal medico condotto; nella sala d’aspetto, saluto con deferenza il vecchino novantenne che indossa con sprezzatura un cappellino con visiera plastificata nera e griffata “Team Daiwa”.
Sono le ventitré, ogni luce in paese va ormai spegnendosi. Nella quiete della notte friniscono i grilli, stride la civetta, rombano le moto truccate dei tamarri.
Mattina presto. Mi spingo per commissioni nel capoluogo, Pandino, tra i suoi settemila abitanti, i mela da Pandì (i “mille” di Pandino, cioè i mille lire: perché ricchi, forse solo più di noi, e di certo perché sbruffoni, usi a vantarsi). Saluto gente. Vado in banca a verificare la salute delle mie finanze. Confermata la salute della cassiera, mi interrogo sulla mia.
Pomeriggio caldo, lento. Parlo di politica col farmacista. Dopo aver deprecato la situazione attuale, rimpiangiamo quella passata, senza specificare quale. Torno più sereno a casa.
Ho passato in rassegna i bar della mia vita, i bar di Nosadello. Sono stato al Cif, che ora si chiama bar Gigi, ma che tutti hanno sempre chiamato in quell’altro modo, poi alla vecchia Sesina – davanti al cortile di mia nonna –, poi più in là, verso il cimitero, sulla banchina del Canale, da Benelli, sperando in una fetta di salame, di quello buono. Sono tornato in paese, ho lasciato Nosadello di Sotto, mi sono inoltrato per la tortuosa via Gradella, a Nosadello di Sopra, fino a via Molino, fino al Fante, ora aperto ora chiuso.
Il giro è terminato, ci voleva poco, potevo spingermi fino alle osterie di Gradella, non volevo esagerare, ingannare troppo l’attesa, la noia, il senso del mio essere qui.
Una delle grandi certezze che ti tramortiscono ad ogni ritorno al paese è questa: non te ne andrai mai davvero. Porterai sempre con te, in fondo al cuore, ovunque sarai, quella sensazione latente di rottura di balle in mezzo a cui sei nato.
Nei campi tra Nosadello e Gradella, ammiro l’esuberanza della natura in estate. Alla fine del viale alberato che porta alla Strada Bergamina, ammiro l’esuberanza di una ragazza che corre in pantaloncini e canottiera. Lei non pare annoiarsi, ma stento a capacitarmene.
Ho sostato a lungo nel vialetto di casa. Esauriti presto gli argomenti di conversazione coi vicini, di là dalla siepe. Sollievo.
Piovuto. Anzi, piove ancora. Spiovuto. Piove di nuovo. Affascinato dalla indiscutibile varietà meteorologica dell’estate nosadellese, penso alle rogge gonfie d’acqua. Poi, mi sono prodotto in dilettantesche riflessioni agronomiche, per tutta la sera.
Passeggiando da solo per i campi, trovo un amico che è appena tornato da un “bellissimo viaggio” che vorrebbe raccontarmi nel dettaglio, con tanto di sterminato supporto fotografico. Gli dico che piuttosto che ascoltarlo mi faccio pandinese e non mangio cassoeula per dieci anni. Invano. Me l’ha raccontato lo stesso.
Mi sveglio tardi, a un orario per me insolito, e penso che questo possa suggerire nuove prospettive. Scosto le tendine: fuori tutto è uguale a ieri.
Orde di monelli scalzi (ma forse si trattava solo di tre o quattro ragazzini, forse neanche scalzi: l’allucinazione dell’estate al paese mi precipita nell’Ottocento, sono il Pellizza da Volpedo di Nosadello) giocano nel terreno del vicino, rubandogli i frutti dell’orto. Dopo avergli sorriso accondiscendente, ho indicato al vicino dove si erano nascosti i monelli. Non gli nascondo poi la mia delusione per la mancata punizione corporale.
La persistente assenza di eventi degni di nota, qui in campagna, mi induce a qualcosa di eclatante. Abbandono una vacca sulla strada provinciale Rivoltana. Nessun tg ne ha parlato, nessun commentatore ha stigmatizzato. La vacca è rientrata in stalla da sola dopo un paio di ore.
Dal fruttivendolo a Pandino, osservo il pensionato in canotta che esamina, tocchicchiandole con fare da intenditore, tutte le angurie in vendita. La moglie preferisce il melone. “Tanto suonavano tutte male”, sospira lui uscendo. Approvo con un cenno del capo.
Stasera avrei potuto dedicarmi a cose entusiasmanti. Poi ho pensato che non fa bene cambiare di colpo abitudini.
Sono stato a Crema, stamani, per commissioni. Ho presto rimpianto la solitaria campagna e i silenzi agresti. Dopo aver sobriamente discusso la cosa alla fermata del bus, ho scorto in tutti una viva soddisfazione. Del resto, non ho trovato nessuna donna sotto i quarantacinque, in città.
Mi accorgo di aver fatto un po’ tardi, stasera: sotto il portichetto, mi rimbocco da solo la copertina di piquet, mi abbandono a un sonno leggero, cerco di fare sogni opalescenti e antichi, il lampeggiante del cancello elettrico mi sveglia che è quasi mezzanotte – è finito un altro giorno, a precipizio verso la rosea alba che si stenderà sui campi irrorati dall’onesto sudore dei contadini, eccetera, eccetera.
Come diversivo, vado al cimitero, utilizzando la nuova e comoda pista ciclabile. Se forse non un colloquio coi morti, al cimitero di Nosadello si può senz’altro fare un colloquio lungo e articolato sui morti. Se solo ci trovassi qualcuno di vivo.
Una volta dentro, però, il crepitìo della ghiaietta sotto i piedi mi intenerisce malinconicamente il cuore. Mi raggiungono gli insulti del sutramort, il becchino, furente per il crepitìo della ghiaietta smossa dopo la fatica fatta a sistemarla. La sciura che davanti a me striscia i piedi creando solchi rovinosi prosegue verso la tomba dei genitori come se la cosa non la riguardasse.
Dico un Requiem aeternam, leggo date, ricostruisco mentalmente famiglie e genealogie, mi accorgo che sulla lapide di una mia mai conosciuta prozia, di cognome Codazzi, il marmurin, il marmista, ha scritto Codassi. E non mi sento di dire che ha sbagliato.
Oggi ho fatto il bagno nelle rogge gonfie d’acqua, nuotando alla maniera contadina, cioè a spalletta.
Dai campi non lontani da casa nostra si leva un penetrante odore di concime bovino. A orari fissi. Generalmente, quando ci si mette a tavola. Lodo senza meno l’insondabile casualità dei fenomeni naturali di pianura.
Per vincere la noia, mi metto a guardare in televisione un documentario sulla produzione casearia lombarda, cercando di commentarlo con mia madre – che però durante le pubblicità scappa sempre di là a finire i mestieri.
Gironzolo nei campi cercando pastorelle da sedurre, alla maniera antica. Trovo solo un poco invitante donnone che spigola. Ho visto rifiuti galleggiare nelle rogge. Ho sentito i rombi di trattori ultimo modello. Mi annoio. Irreparabilmente.
Un lampo fende lo scuro orizzonte, sui campi. Si ode un tuono da lontano; a un di presso, riecheggia il rutto omerico di un villico.
Oggi, alle ore 20.15, cioè ampiamente dopo cena, abbiamo ricevuto la visita di un vecchio amico di mio padre, suo compagno di imprese ciclistiche nel Pedale Nosadellese, la società amatoriale che mio padre, appunto, fondò in paese parecchi anni fa (la maglia aveva, volutamente, il disegno e i colori di un pacchetto di Marlboro rosse), per poi lasciarla a causa di alcuni dissidi – e dopo anni di successi cicloepici di alcuni bravi corridori in giro per il Paese, tra gli allenamenti abborracciati degli altri amatori, bianchini al Fante e al Cif, zabaioni come doping, e qualche altra “bomba” più o meno lecita – e fondare subito dopo un nuovo gruppo, il G.S. Nosadello. Erano gli anni dello sport, che da noi voleva dire soltanto ciclismo, e delle organizzazioni, delle gare e delle lotterie; erano gli anni del lavoro e delle rivoluzioni, della chiamata a raccolta di un paese in cui gli uomini nati prima del bagno in casa erano nel pieno della giovinezza e dell’entusiasmo, e della rinnovata costruzione di un pezzo di Oceano Padano. Erano gli anni in cui siamo nati noi, malcerti eredi, che non sappiamo che farcene di quel testimo...

Indice dei contenuti

  1. Appartengo senza enfasi ai luoghi...
  2. I. Sui flutti color della melga
  3. A Villanterio finiscono le risaie
  4. Confini
  5. Nell’interno
  6. Hic manebimus
  7. Stagioni
  8. Acqua
  9. Spüsa
  10. Milano
  11. Amore, e altre parole che non diciamo
  12. Donne
  13. Funeral party
  14. Bestie
  15. Difendi, conserva
  16. II. Nosadello
  17. Frazione di
  18. Noia
  19. Cartoline da Nosadello
  20. Campagne per la lettura
  21. Genealogie
  22. Per li rami (del pioppo)
  23. Spigolature dell’infinita estate
  24. Sagra
  25. Ultime cartoline