
- 204 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Dai raffinati 'ingegni' quattrocenteschi di Brunelleschi alla complessità delle ricerche legate alla luce nelle Avanguardie primo novecentesche, con uno sguardo alle potenzialità messe a disposizione dalle nuove tecnologie, Cristina Grazioli ripercorre l'itinerario compiuto dalla luce a teatro mettendo a segno acquisizioni tecniche e innovazioni estetiche.
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Informazioni
Categoria
Storia e critica del teatroIII. Innovazioni e poetiche tra Settecento e Ottocento
Il ‘secolo dei Lumi’: sperimentazione, avanzamenti tecnici e loro applicazioni
Ricorre in genere l’affermazione secondo cui nel Settecento le luci in scena seguono per lo più uno schema consolidato nel secondo Seicento e che proseguirà fino all’inizio dell’Ottocento. In realtà la situazione è variegata e, a partire dalla metà del XVIII secolo, in continuo divenire.
Le necessità che si pongono sono le medesime che in ogni epoca: una luce chiara, un mezzo combustibile economico, accorgimenti efficaci per limitare il fumo. Ma ora si fa sempre più percepibile la richiesta di una luce mobile e orientabile, adatta all’interazione con gli altri fattori scenici. Oltre che ad una luce efficace e funzionale, sulla quale si sperimenta per usi pubblici e privati, si aspira ad una luce connotata artisticamente.
Dobbiamo ricordare che dalla fine del Settecento, quando si inizia ad illuminare lo spazio urbano, prende avvio un processo che modifica profondamente la percezione del rapporto buio-luce1. La Francia è il paese che più si impegna nella sperimentazione per l’illuminazione pubblica, con scoperte e invenzioni fondamentali per l’evoluzione dell’utilizzo della luce artificiale.
Se al volgere del secolo si assiste ad un perfezionamento dei sistemi illuminotecnici dell’epoca barocca, le acquisizioni fondamentali si situano nella seconda metà del Settecento; è necessario offrire un quadro dell’evoluzione tecnica2, per poterne valutare le ripercussioni sul piano artistico.
Negli anni Settanta del secolo si pongono due innovazioni determinanti per cominciare a soddisfare la richiesta di una maggior quantità di luce: le invenzioni di Quinquet, Léger, Lange, Argand, che fanno progredire le potenzialità della lampada ad olio, e la teoria della combustione elaborata da Lavoisier. Il fisico francese osserva per primo che l’ossigeno contenuto nell’aria è necessario tanto quanto il carbonio contenuto nella materia combustibile3. Per la prima volta appare un fattore, l’aria, di cui si può tenere conto e su cui si può sperimentare al fine di modificare gli strumenti di illuminazione.
In quest’epoca si attuano vari tentativi per modificare lo stoppino4: è sulle invenzioni intorno a questo importante dettaglio che sembra evolversi la storia dell’illuminazione, nel modo più elementare, ma anche più carico di conseguenze per l’epoca successiva. Nel 1773 lo scienziato Léger rende le lampade ad olio più efficaci introducendo l’uso degli stoppini ritorti, simili a nastri, che producono maggior luce. L’invenzione più rilevante è però la lampada di Argand, ‘a doppia corrente d’aria’, pietra miliare nella storia dell’illuminazione teatrale. Diversi scienziati vi lavorano nel corso del 1783: François Ami Argand, che la porta a compimento, nello stesso anno presenta al pubblico la sua invenzione, esito dell’applicazione delle scoperte di Lavoisier5. La peculiarità è appunto la conformazione dello stoppino: grosso e a sezione circolare, provvisto di un canale nel mezzo per la fornitura d’aria, consente alla fiamma di assumere una forma cilindrica. La lampada, che ha il deposito di carburante ad un livello superiore rispetto alla fiamma, viene dotata di un’ulteriore componente, il cilindro di vetro, che circonda la fiamma restringendosi verso l’alto: aumenta l’accelerazione della corrente d’aria e la protegge dai movimenti, evitando il tremolio. Un ulteriore dettaglio è il dispositivo che consente di abbassare o alzare lo stoppino, permettendo di regolare l’adduzione dell’olio e quindi l’intensità della fiamma. Se ne loda la luce bianca, «molto viva e quasi abbagliante»6, che supera di gran lunga la luminosità delle altre lampade, non produce fumo e non sprigiona odore (seppure la lucentezza dipenda anche dalla qualità dell’olio). Il flusso luminoso corrisponde a quello di non meno di dieci candele di cera.
Aver raggiunto un sistema che consente di aumentare l’intensità della luce è determinante, ma per un utilizzo più congruo si impone la necessità di poterla orientare, e a maggior ragione a teatro, dove il palcoscenico pone dei limiti alla posizione delle fonti luminose: si ricorre così al riflettore.
Nel 1744 Bourgeois de Châteaublanc presenta all’Accademia delle Scienze le lanternes à reverbères7, i primi riflettori. Nel 1764 si tiene una «gara sul modo migliore di illuminare una grande città»; uno dei concorrenti è Lavoisier, e propone il riflettore ellittico, che richiede meno lampade8.
Nella seconda metà del Settecento il riflettore diventa un elemento essenziale sia nell’illuminazione stradale che in quella teatrale. Anche precedentemente si erano escogitati sistemi di riflessione della luce (orpelli, vetri e specchi), ma la novità del riflettore settecentesco sta nella forma concava, grazie alla quale la luce viene raccolta e concentrata in un fascio. Lavoisier lo definisce
uno specchio concavo di metallo, di forma qualsiasi, disposto in modo da raccogliere una porzione di luce che, in sua assenza, andrebbe persa, e dirigerla verso la superficie, o [...] sull’oggetto da illuminare, in modo che ogni raggio [...] venga sfruttato per illuminare l’oggetto, che nessuno possa dissiparsi o deviare verso un altro oggetto9.
L’osservazione è gravida di conseguenze: a partire da questo momento si delinea la possibilità di dirigere la luce, di farne uno strumento tra gli altri nelle mani del creatore della scena. Poiché, se questa prima definizione compare in uno scritto sull’illuminazione urbana, il fisico la riprenderà nella sua proposta di perfezionamento dell’illuminazione teatrale10. La lampada è ad olio, ma il principio rimarrà lo stesso quando il riflettore verrà realizzato con il gas e poi con la luce elettrica. Questo strumento costituisce la risposta alla maggior parte delle istanze avanzate a partire dagli anni Sessanta del secolo negli scritti teorici sulla luce. Ben presto ci si accorge di come le scelte nelle soluzioni sceniche e recitative vengano ampliate da lampade di Argand e riflettori. Carl Gotthard Langhans nel 1810 offre una preziosa panoramica dei teatri europei e osserva come il centro della scena può ora cominciare ad essere illuminato, aumentando così le possibilità di movimento degli attori: la mimica ne è avvantaggiata, anche per l’uniformità della luce; è possibile illuminare con un numero ridotto di fiamme e senza fumo. Elenca una lista delle fonti disponibili in alcuni dei maggiori teatri europei: al Teatro dell’Opera e al Nationaltheater di Berlino, all’Opéra di Parigi e alla Comédie-Française erano in uso lampade di Argand. È utile il confronto tra la parigina Comédie e il Berliner Nationaltheater, rispettivamente nel 1757 e nel 1810: contro la quantità di candele del teatro francese alla metà del Settecento (che Langhans calcola tra 180 e 436, seppur non esattamente determinabile in quantità luminosa a causa del variabile numero di stoppini), a Berlino mezzo secolo dopo oltre 200 lampade di Argand producevano una luce grosso modo equivalente a 2.000 candele11.
Langhans ha anche il merito di porre un problema spesso trascurato, le dimensioni del palcoscenico: è evidente che quanto più ampio, tanto più difficile sarà illuminarne la parte centrale. Auspica che con le nuove lampade si osi ampliare la dimensione del boccascena12.
I sistemi che a partire dalla fine del secolo adottano la lampada di Argand sono molto differenziati. Alcuni esempi possono dare l’idea della sua diffusione, delle difficoltà nell’adottare il nuovo mezzo13, ma anche delle poetiche che parallelamente si vanno affermando.
Dai registri di spesa della Comédie-Française relativi al 175714 apprendiamo che la luce è notevolmente diminuita in sala rispetto ai decenni precedenti e che viene invece incrementato il flusso delle luci di ribalta15.
La differenziazione della luce incide nel rapporto tra scena e sala. Dal 1759 vengono aboliti i posti a sedere sulla scena16 e con loro perde ragion d’essere anche il lampadario che li metteva in luce: la decisione costituisce l’approdo di un lungo processo che mira alla definizione più nitida del quadro scenico.
L’Opéra era più avanzata in tema di illuminazione: negli anni Cinquanta migliora l’illuminazione dall’alto e forse le prove avvengono con illuminazione completa17.
Nel 1783, nel nuovo edificio della Comédie, la ribalta è costituita da 128 candele di cera (contro le 48 di seg...
Indice dei contenuti
- Introduzione
- I. Dagli ingegni di Brunelleschi ai primi trattati sul teatro moderno
- II. Luce e tenebra in epoca barocca: l’allegoria celebrativa
- III. Innovazioni e poetiche tra Settecento e Ottocento
- IV. La luce a gas: la ‘lampada magica’
- V. «Entr’acte» esotico-visionario: ombre, proiezioni, fantasmagorie, visioni di luce
- VI. «Fée Électricité»: la luce elettrica e i pionieri della sperimentazione. Fuller, Fortuny, Reinhardt
- VII. La riteatralizzazione alla ‘luce’ del principio di regia
- VIII. Le Avanguardie: luce della tecnica e luce dello spirito
- Per non concludere