Il mite civilizzatore delle nazioni
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Il mite civilizzatore delle nazioni

Ascesa e caduta del diritto internazionale 1870-1960

  1. 728 pagine
  2. Italian
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Il mite civilizzatore delle nazioni

Ascesa e caduta del diritto internazionale 1870-1960

Informazioni su questo libro

«Koskenniemi svela la struttura del paradigma del diritto internazionale: esso fu un disegno indiscutibilmente eurocentrico, che aspirava ad imporsi universalmente attraverso la piena realizzazione di un progetto coloniale. Emerge così il doppio volto enigmatico del liberalismo del diciannovesimo secolo: da una parte, esso si pensava come la 'coscienza giuridica del mondo civile' ma, dall'altra, fondò una storia di arroganza e crudeltà che fu legittimata dalla presunzione della superiorità dell'Occidente».Dalla Presentazione di Gustavo Gozzi, Università di BolognaA differenza di molte altre storie delle idee, questo libro si legge con piacere dall'inizio alla fine. In quest'epoca di incertezza su ruolo, situazione e funzione del diritto internazionale, il libro formula le giuste domande e indica possibili risposte."German Yearbook of International Law"Koskenniemi mette a fuoco con inconsueta nitidezza il periodo in cui il diritto internazionale è all'apogeo della tradizione europea, prima di entrare nella fase declinante della sua parabola."International Journal of Legal Information"Una pietra miliare nel campo della storia europea della scienza e un capolavoro letterario."Frankfurter Allgemeine Zeitung"

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Informazioni

Argomento
Jura

1. «La coscienza giuridica del mondo civile»

L’uomo inteso come coscienza morale non è più incatenato dai fini della particolarità, e questo è dunque un punto di vista più elevato, un punto di vista del mondo moderno, il quale mondo soltanto è giunto a questa coscienza, a questo sprofondamento entro di sé. Le epoche precedenti, più inclini agli aspetti sensibili, hanno un che di esteriore e di dato di fronte a loro, sia esso religione o diritto; ma la coscienza morale sa se stessa come il pensiero, e sa che questo mio pensiero è ciò che unicamente è per me obbligante.
G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 323, par. 136.
Negli anni Sessanta dell’Ottocento un simpatizzante del liberalismo che si dedicasse all’osservazione della politica internazionale non poteva che essere turbato dall’apparente coincidenza di due eventi. Il mezzo secolo appena trascorso, punteggiato da conflitti armati occasionali, periferici e di lieve portata, era stato nel complesso uno dei più durevoli periodi di pace che la storia europea avesse mai conosciuto. Questo lungo periodo di tranquillità aveva creato le premesse per una crescita economica senza precedenti i cui frutti, sebbene distribuiti in modo diseguale, sembravano provare in modo tangibile che la civiltà europea aveva intrapreso una marcia irreversibile di progresso economico e spirituale.
D’altro canto, la pace era stata creata e mantenuta attraverso un patto tra cinque Grandi Potenze, tre delle quali (Austria, Prussia e Russia) erano governate da monarchi assoluti il cui principale motivo di cooperazione sembrava procedere dal loro comune desiderio di contrastare qualsiasi richiesta volta a costituire un governo rappresentativo o a estendere il diritto di voto. Si erano senza dubbio ottenuti progressi sul piano economico ma la loro incidenza si limitava all’Occidente europeo mentre le restanti e più vaste aree del continente non erano ancora lambite dai benefici dell’industrializzazione e del libero commercio. Per quanto innegabile, il progresso era scaturito da una pace che da un lato appariva precaria (come la Guerra di Crimea aveva dimostrato), dall’altro si ergeva come ostacolo alla diffusione delle idee liberali23. Gli uomini che in piena epoca vittoriana esaltavano lo spirito del liberalismo erano costretti a concludere che le condizioni economiche e politiche prevalenti non garantivano affatto la realizzazione di ulteriori progressi ed erano anzi responsabili dell’incombere di un’altra formidabile nemesi: la rivoluzione.

Un manifesto

In una situazione simile molti avvertivano la necessità di agire allo scopo di assicurare la diffusione delle idee liberali. Era questo uno degli obiettivi dell’Association internationale pour le progrès des sciences sociales, fondata a Bruxelles nel settembre del 1862 sull’esempio dell’Associazione britannica costituita cinque anni prima con analoga denominazione24. Tra i partecipanti alla Conferenza di Bruxelles vi erano tre giovani giuristi, Gustave Rolin-Jaequemyns (1835-1902), un avvocato di Gand, Tobias Asser (1838-1913), ventiquattrenne di Amsterdam che all’epoca era stato appena nominato professore di diritto contemporaneo presso l’attuale Università di Amsterdam, e infine John Westlake (1828-1913), barrister presso il Lincoln’s Inn e autore di un acclamato trattato di diritto internazionale privato pubblicato nel 1858, oltre che segretario dell’Associazione britannica25. I tre ebbero occasione di riunirsi anche ai margini delle sessioni ufficiali della conferenza e divennero amici. L’anno seguente Rolin invitò Asser e Westlake a soggiornare a Gand durante la seconda conferenza dell’Associazione, di cui egli era il principale organizzatore.
L’Association internationale propugnava idee liberali, la tolleranza in campo religioso, la libertà di espressione e il libero commercio, come pure lo sviluppo di contatti tra i popoli26. Tentava di fornire una base secolare e scientifica per una politica liberale non più associata al razionalismo del primo Illuminismo o all’utilitarismo deduzionista27. Alcuni membri francesi desideravano però usare l’Associazione per scopi radicali o rivoluzionari, sicché dopo quattro conferenze il consesso si sciolse, lasciando nei tre uomini il ricordo della loro fruttuosa collaborazione nell’ambito della sezione di diritto comparato, e della loro amicizia.
Nel corso di un viaggio d’affari ad Amsterdam, nel luglio del 1867, Rolin incontrò nuovamente Asser e, durante una passeggiata nel bosco di Haarlem, emerse l’idea di fondare una rivista di scienze giuridiche di respiro internazionale28. La rivista avrebbe potuto diffondere in tutta Europa il punto di vista liberale e le esperienze maturate nell’ambito della riforma della legislazione. Più tardi, nel corso di quella stessa estate, Rolin si recò a Londra per informare Westlake della proposta; questi riconobbe che si trattava di un’idea eccellente ma declinò l’invito ad assumere un ruolo di primo piano nel progetto. Rolin e Asser misero quindi a punto un primo progetto di periodico che avrebbe affrontato questioni di diritto internazionale privato e di diritto comparato in chiave internazionale e riformista. In un prospetto preliminare mettevano a fuoco due importanti caratteristiche dell’epoca: lo spirito nazionale si stava svegliando e rafforzando ovunque in Europa; era tuttavia temperato da un esprit d’internationalité, un nuovo spirito che spingeva le nazioni e le razze a seguire certi principi comuni, non solo nella condotta delle relazioni reciproche ma anche nell’ambito delle rispettive legislazioni. Senza rinunciare alla loro autonomia gli Stati avevano preso a cooperare e a riconoscere «la superiore unità della grande società umana»29. Grazie a questo nuovo spirito le scienze esatte, l’industria e l’economia avevano di recente compiuto notevoli progressi. Era venuto il turno del diritto. Legislatori e giuristi dovevano familiarizzarsi con le normative e i progetti legislativi di altri paesi, in modo da poter meglio prevedere gli effetti delle riforme proposte sul piano interno, anche in vista della riduzione dei conflitti normativi che sarebbero potuti insorgere a causa dell’introduzione di discipline tra loro non coincidenti. Nell’epoca in corso, dichiarava il prospetto, chiunque volesse operare in vista del miglioramento delle condizioni sociali non poteva permettersi di tralasciare lo studio del diritto comparato30.
Westlake approvava il tono complessivo del prospetto; si chiedeva tuttavia se lo spirito nazionale operasse indefettibilmente a sostegno della pace e criticava la tendenza a fare appello a nozioni vaghe come quella di «coscienza dell’epoca». Il testo fu quindi emendato, sostituendo il riferimento all’esprit d’internationalité con un meno controverso cenno al fatto che le nazioni («ces grandes individualités collectives») avevano di recente cessato di considerarsi nemiche cominciando a cooperare in vista del raggiungimento di scopi comuni31. Rolin e Asser trasmisero quindi il prospetto a Pasquale Mancini (1817-1888), professore a Torino di diritto pubblico esterno e internazionale32, deputato per la Sinistra al Parlamento sardo e celebre sostenitore del principio di nazionalità, il cui prestigio ed esperienza essi volevano reclutare a sostegno della causa. Mancini appoggiò il progetto con entusiasmo e propose che la rivista trattasse anche questioni di diritto internazionale in senso proprio33. Il testo fu rivisto in modo tale da tenere conto di questa sollecitazione e il numero inaugurale della «Revue de droit international et de législation comparée» – la prima rivista di diritto internazionale – fu dato alle stampe alla fine del 1868.
Nel manifesto che apriva il primo numero Rolin inaugurava la «Revue» come foro di dibattito tra professionisti del settore propensi a promuovere riforme liberali in Europa. Lo studio comparato delle legislazioni era strumentale allo scopo, egli notava, riferendosi specificamente alle figure di Bentham e Montesquieu; quindi elencava i punti della sua agenda:
in materia di status delle persone, l’abolizione non solo della schiavitù ma anche del servaggio; in materia civile, la libertà di stabilimento; in materia penale, la definizione di una più giusta proporzione tra delitto e pena, l’applicazione di questa a profitto tanto del colpevole quanto della società, l’eliminazione delle pene contro l’usura; in materia di diritto industriale, la soppressione delle corporazioni privilegiate, la liberalizzazione del corso dell’oro e dell’argento e la libertà di formare intese34.
E così via. Si trattava di una vera e propria «lista della spesa» della riforma liberale che il nuovo periodico voleva promuovere. Ma il manifesto affrontava anche questioni di diritto internazionale in senso proprio. Rolin attirava l’attenzione sulla crescente influenza delle idee umanitarie nell’imposizione di limiti alla guerra e alla condotta delle ostilità. La Convenzione di Ginevra del 1864 conteneva disposizioni sul trattament...

Indice dei contenuti

  1. Presentazione. Diritto internazionale e storia delle idee: il «discorso» dell’egemonia occidentale
  2. Nota sulla traduzione. Questo non è un «garbato incivilitore»
  3. Prefazione all’edizione italiana
  4. Premessa
  5. Introduzione
  6. 1. «La coscienza giuridica del mondo civile»
  7. 2. La sovranità: un dono della civiltà. Gli internazionalisti e l’imperialismo (1870-1914)
  8. 3. Il diritto internazionale come filosofia: la Germania tra il 1871 e il 1933
  9. 4. Il diritto internazionale come sociologia: il «solidarismo» francese (1871-1950)
  10. 5. Lauterpacht: la tradizione vittoriana nel diritto internazionale
  11. 6. Fuori dall’Europa: Carl Schmitt, Hans Morgenthau e la svolta verso le «relazioni internazionali»
  12. Epilogo
  13. Bibliografia