Il contadino e il lavoro dei campi
Parlare del contadino e del lavoro dei campi per tutta l’Europa negli ultimi due o tre secoli del Medioevo è compito molto arduo, né facilmente risolvibile nello spazio consentito da questo breve saggio. Moltissime erano infatti le differenze nella vita agricola e nelle stesse condizioni ambientali da un capo all’altro del continente, cosicché, pur nella comune appartenenza della stragrande maggioranza dei contadini ad una classe di piccoli produttori, di produttori «primari» (che possiamo distinguere, da un lato, dai raccoglitori tribali e dai pastori nomadi, e dall’altro dai lavoratori salariati e dagli agricoltori capitalisti e collettivisti), il profilo dell’uomo dei campi mutava di connotati dall’una all’altra regione. C’è intanto da premettere che la stessa estensione geografica di quell’Europa latina a cui si limita il nostro esame, subì dei mutamenti nel tempo. Nel XIII secolo essa si allargò di nuovo alla quasi totalità della penisola iberica attraverso il forzato arretramento dell’Islam (e già in precedenza la cristianità latina aveva riconquistato la Sicilia). Al centro del continente e sul Baltico, la latinità si trovava a contatto, secondo linee non ovunque ancora nettamente definite, con la cristianità greco-ortodossa, o con popolazioni ancora pagane, forzatamente cristianizzate, proprio nel corso dei secoli da noi considerati, dai Cavalieri Teutonici. Dall’Europa quale noi la intendiamo attualmente, restano comunque fuori tutta la Russia e i territori dell’impero di Bisanzio, che furono d’altra parte legati alla latinità dall’effimero impero costituito dagli occidentali tra il 1204 e il 1261, a seguito della quarta Crociata. Precisiamo tuttavia che talvolta anche a questa Europa non latina sarà fatto qualche accenno nel corso del lavoro.
Altre difficoltà ad identificare alcuni tratti comuni del contadino europeo e delle sue attività derivano poi dalle fortissime varietà di ambienti geografici, di suoli, di clima, di popolamento, di sviluppo agrario nelle varie zone del continente, che, ai bassi livelli delle tecniche medievali, pesavano, tra l’altro, più di quanto ora non pesino, sulle attività agricole e la vita dell’uomo.
Dal punto di vista dello sfruttamento agricolo, l’Europa può essere grossolanamente divisa, per quel che riguarda il rilievo, in due parti, pur che ne venga naturalmente esclusa, per proibitive condizioni climatiche, la più gran parte della Norvegia, della Svezia, della Finlandia, della Russia europea settentrionale. La prima delle due parti sfruttabili per l’agricoltura, costituita dalla maggior parte della Spagna, dalla Francia sud-orientale, dalla maggior parte dell’Italia, dalla Grecia, dalla penisola balcanica al di sotto dei Carpazi, si colloca al di sopra dei 500 metri sul livello del mare e comprende vaste aree di vera e propria montagna (uniche eccezioni la pianura padana e il bacino danubiano); la seconda, che è collocata a nord della precedente, inizia dall’Inghilterra meridionale e dalle coste occidentali della Francia e si estende fino agli Urali e al Caucaso, racchiudendo vasti bassopiani raramente al di sopra dei 200 metri. Le precipitazioni risultano molto diversamente distribuite nel corso dell’anno, più regolari nelle parti occidentali e centrali della grande pianura europea, molto irregolari sulle terre mediterranee e concentrate soprattutto in autunno e in primavera, talvolta con acquazzoni violenti e dannosi nella tarda estate. Per ciò che riguarda l’altimetria, la produzione agricola risulta impossibile oltre un certo livello nelle montagne della prima zona. Per ciò che riguarda i suoli, quelli degli altipiani europei centrali ed occidentali e delle «terre nere» della Russia risultano naturalmente più ricchi di quelli leggeri del Mediterraneo. C’è tuttavia da precisare che alcuni suoli di pianura, potenzialmente molto produttivi, erano allora sottratti all’attività agricola perché ancora acquitrinosi, come avveniva, ad esempio, in Italia per le parti più basse della pianura padana, per la Valdichiana, per la Maremma.
Altre difficoltà ancora attengono invece alla diversa abbondanza o, se si preferisce, alla diversa povertà delle fonti per identificare le densità demografiche e le forme del popolamento o le tendenze della popolazione nel corso dei secoli.
Ruolo dell’agricoltura, presenza di foreste e di incolti, attività pastorali, stanziali, seminomadi o transumanti, non si combinavano d’altra parte in una medesima miscela in tutte le regioni. In certi casi la colonizzazione agricola era esclusivamente, o soprattutto, colonizzazione interna, in altri, viceversa, come nell’avanzata tedesca verso le terre slave o nella riconquista cristiana della parte meridionale della penisola iberica, si accompagnava alla penetrazione politica e la sosteneva, in altri ancora muoveva da regioni di più antico insediamento come le rive di certi fiordi norvegesi o i piani della Svezia meridionale per penetrare in zone più alte, spopolate e ancora coperte di foreste. Non ovunque la produzione agricola e il lavoro contadino avevano il compito di mantenere una consistente popolazione urbana. In certe regioni infine vivevano a contatto razze diverse di contadini, come in Sicilia, in Spagna, nelle terre slave germanizzate, con conseguenze non sempre chiare sul profilo degli uomini dei campi.
Una serie di ipotesi e deduzioni spesso ingegnose sui pochi dati disponibili ha indotto gli studiosi a ritenere che, nel suo complesso, l’Europa toccasse l’apogeo demografico intorno ai primi decenni del XIV secolo, dopo alcuni secoli di lento ma continuo incremento della popolazione. Già annunziata da precedenti difficoltà , la grande epidemia di peste del 1347-50, poi seguita da altre numerose esplosioni, avrebbe ridotto, verso la metà del Quattrocento, questa popolazione alla metà o ai due terzi rispetto all’inizio del Trecento. Successivamente si sarebbe registrata una lenta ripresa. In assoluto pare a qualcuno che, al momento dell’apogeo, l’Europa non annoverasse più di 73 milioni di abitanti, una cifra che molti hanno tuttavia giudicato eccessiva, almeno in molte aree, per le potenzialità produttive dell’agricoltura, e di 50 milioni verso la metà del Quattrocento. Le prove indirette dell’aumento della popolazione europea, a partire dal X o XI secolo sono, in primo luogo, l’aumento della popolazione urbana e del numero delle città , l’arretramento delle foreste, degli acquitrini e degli incolti e l’estendersi dei terreni coltivati, lo spostamento di singoli contadini, gruppi di famiglie o intere comunità su nuovi suoli, con connessa fondazione di chiese e villaggi, la crescente suddivisione di case e famiglie. Soprattutto per quello che qui più direttamente attiene alla storia delle campagne, cioè la conquista di nuovi suoli, gli studiosi hanno ormai ammassato prove abbondanti, utilizzando una documentazione generalmente molto chiara in proposito. Di questa eroica battaglia del contadino contro la natura onnipotente, in imprese isolate o coordinate dai signori, dalle abbazie, dalle città – fu quest’ultimo il caso soprattutto di quelle italiane dell’area padana –...