L'acino fuggente
eBook - ePub

L'acino fuggente

Sulle strade del vino tra Monferrato, Langhe e Roero

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'acino fuggente

Sulle strade del vino tra Monferrato, Langhe e Roero

Informazioni su questo libro

Di borghi in castelli, scapicollare da una collina all'altra, tra paesaggi struggenti, tappeti di vigne, frutteti, osti e cantinieri. Andare su e giù e poi giù e su, shakerare storie, cibi, vini, uno di qua, uno di là, eccetera.Questa è un'avventura in cui la terra natia è un'Atlantide e l'acqua che la sommerge è il mare delle cantine sociali, i fiumi delle enoteche, i laghi dei piccoli produttori, i rigagnoli delle voci di chi sosta nelle taverne e nei bar di piazza dei paesini. Un viaggio con i finestrini abbassati che racconta tutto quanto si vede, si ascolta, si beve in quella terra colta e schiva. E intanto il posto che attraversi ti fa perdere l'orientamento e trovare l'anima. Nell'arco di poche decine di chilometri incontri vitigni-corazzata in grado di conquistare il mondo, nocciole tartufi lumache agnolotti nell'ordine che si vuole e secondo la propria personale capienza, i castelli e i giardini del Monferrato, i musei degli alambicchi, dei cavatappi, i sentieri partigiani, una Banca del vino e una sarabanda di Genii Locorum da fare impallidire una astemissima enciclopedia delle patrie lettere.

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Informazioni

Langhe

Cartina delle Langhe.
Langhe
(viste da molto in alto)

La terra di mezzo

La carta numero 10 delle Strategie oblique consiglia: “Definisci l’ambito”. E noi ci atteniamo all’indicazione.
La parola Langhe (“lingue”) indica il territorio compreso tra il Tanaro a ovest e la Bormida di Spigno a est, e allude all’insieme di lunghe dorsali collinari allineate ordinatamente in direzione nord-sud e divise tra loro dalle valli scavate da fiumi e torrenti (Belbo, Bormida di Millesimo, Michelone, Uzzone e Bormida di Spigno – uno di questi l’abbiamo inventato, giusto per favorire una vostra lettura più attiva). Siamo dunque a fiumi e torrenti: acqua non è la nostra parola preferita e ci piacerebbe finire subito, invece tocca parlarne ancora. Le Langhe infatti sono nate nel Miocene a opera del mare, che a quei tempi arrivava fino qui. E allora proviamo a immaginarle come tracce di un’onda gigantesca che si ritira, lasciando dislivelli notevoli (dai 170 metri di Alba agli 896 di Mombarcaro), sedimenti e conglomerati, arenarie, argille, sabbie, marne, calci e gessi, e di qua, di là, eccetera. Insomma: questa terra di mezzo, stretta tra Liguria e Monferrato, deve tutto al mare. E quando diciamo tutto, intendiamo tutto: perché proprio quelle arenarie, quelle argille, sabbie e marne compatte si sono rivelate suolo ideale per la vite. E qui arriviamo al secondo punto fondamentale: se è vero che il mare ha reso caratteristico il paesaggio di Langa, l’uomo l’ha reso unico. Chiunque percorra i saliscendi di queste colline, come noi, non può non accorgersi di quanto il paesaggio sia modellato sul lavoro secolare dell’uomo: i versanti collinari sono tutti “pettinati” dai vigneti, che qui prosperano con eccellenti risultati di qualità e prestigio. Perché la Langa, questa terra di mezzo, è considerata in tutto il mondo uno dei cuori pulsanti del vino.
Quanto sopra si poteva anche dire diversamente. Il raffinato gustosofo Renato Eduardo Garis, che nel 1898 trascorse alcuni mesi nella zona di Barolo, lo riassume in quattro versi tra il classico e il goliardico:
Illo tempo qui c’era il mare
che Nettuno regnava divino.
Era facile all’uomo annegare
or è dolce nuotare nel vino.

Delle betulle, della primavera e dell’ingresso in Langa

Dolce, morbida, ariosa, lieve primavera di Langa! Abbiamo atteso il principiare della gentile stagione per venirti a trovare, e abbiamo fatto male. Ai primi di aprile saltiamo in macchina e infiliamo la strada indossando due giacche a vento guadagnate grazie a una lettura pubblica sulle sbronze letterarie tenuta in un negozio di vestiti sportivi, guanti da pilota (e da co-pilota), berretti di lana e doppi calzini. La temperatura esterna oscilla tra i quattro e i cinque gradi, il cielo ha un colore che si potrebbe pesare in migliaia di tonnellate di oscurità tanto appare denso e minaccioso e, all’ingresso dell’autostrada Cuneo-Alba, vale a dire là dove parte la Strada del Vino Astesana, incominciano a scorrere degli imbiancati filari di betulle. Se, proseguendo, trovassimo poi le vigne della vodka non ci stupiremmo più di tanto. Il freddo però non ci spaventa, anzi, ci rallegra. Perché con il freddo arriva la fame e con la fame la sete e così, dopo avere attraversato la Strada Valle Tanaro, scivoliamo, eleganti come un’acciuga da bagna caùda su una saponetta alla lavanda, fino a Castagnole delle Lanze.

Adozioni e terapie, con una puntatina in zona Cesare Pavese

La prima mossa è uno sconfinamento: facciamo un piccolo salto in Monferrato. A Castagnole delle Lanze si entra passando in mezzo alle vigne. In alto, in basso, a destra e a sinistra, e di qua, di là, eccetera. Procura una certa ebbrezza questo saliscendi, quasi un mal di filare, che vorremmo al più presto neutralizzare con un buon bicchiere di vino. Perfino la ferrovia è a scartamento ridotto: un treno alla volta, direzione unica, a fondo valle. Ma, niente paura, che da queste parti le farmacie sono molto ben fornite: siamo in zona di Moscato, Freisa e Grignolino. E di filari ce ne sono così tanti che, se vi piace l’idea, potete adottarne uno, compilando un apposito modulo. Funziona così: voi scegliete la vigna, il proprietario scrive il vostro cognome sul palo di testa del filare e vi tiene informati tramite newsletter e webcam su come gli va la vita (al filare, non a lui). Poi, quando arriva l’età della vendemmia, vi invita ad assistere al processo di lavorazione che parte dal raccolto e termina con la vinificazione. Alla fine diventerete genitori di dodici figli da 0,75 litri che porteranno appesa al collo l’etichetta di battesimo.
Se il mestiere di genitori non fa al caso vostro, ché non siete ancora pronti all’impresa, e avete bisogno di un po’ di tempo per voi, e sentite la necessità di coccolarvi con momenti di calma e di silenzio, allora vi conviene spostarvi in direzione Santo Stefano Belbo dove, in località San Maurizio, troverete l’omonimo Relais, un monastero del XVII secolo inginocchiato in laica preghiera sulla sommità di una delle tante colline di Langa, nel quale potrete provare ogni forma di benessere e la vinoterapia alla piemontese.
Piccola spiegazione. Che il vino faccia bene all’anima è risaputo. Che faccia bene anche al corpo è una scoperta recente. Con il termine vinoterapia, infatti, si intende una serie di speciali trattamenti di benessere basati sull’utilizzo di vino e uva in modo un po’ diverso da quello a cui siamo abituati. Come al solito, i primi ad arrivare a questa nuova pozione magica sono stati i francesi (Panoramix insegna). La vinoterapia, infatti, è nata nella zona di Bordeaux, raccogliendo il suggerimento del professor Vercauteren della Facoltà di Farmacia di Bordeaux che, vedendo buttare i vinaccioli d’uva – siamo negli anni Novanta –, esclamò: «Sapete che state sprecando dei tesori?». Già, perché i semi dell’uva, considerati materiale di scarto durante il processo di vinificazione, sono in realtà ricchi di polifenoli dalle straordinarie proprietà antiradicali. Le ricerche affermano addirittura che tali qualità sarebbero più sviluppate ed efficaci di quelle contenute all’interno della vitamina E, da sempre alleata della cosmesi e delle cure del corpo. Morale: da quel giorno vino e benessere sono diventati un binomio indissolubile e oggi la vinoterapia si è trasformata in un business mondiale, cavalcato da molte aziende e improntato sulla continua ricerca di nuovi trattamenti estetici a base di vino e uva. Tra gli altri: l’idromassaggio con vino ed estratti di bucce d’uva, la maschera viso con polvere di vinaccioli, il massaggio corpo con la grappa, lo scrub viso con polvere di bucce d’uva, il bendaggio corpo con il vino rosso, l’aromaterapia al Moscato, il trattamento corpo con schiacciata d’uva, e poi ancora impacchi, creme, tisane, e di qua, di là, eccetera. Qualcosa del genere, fino a pochi anni fa, era disponibile anche al Relais San Maurizio, ma poi deve aver trionfato la proverbiale praticità piemontese: «Vinoterapia, per salutare che tu sia, preferiamo la tradizionale terapia». Dal bicchiere allo stomaco. Fine della spiegazione.
Ma torniamo a Castagnole delle Lanze, che qua di storia ce n’è tanta. Per dirne una, qui, in epoca romana, passava una diramazione della via Emilia che collegava Acqui a Pollentia. A un certo punto sono arrivati i Visconti e perfino gli Orléans, e di qua, di là, eccetera. Non mancano i castelli e le dimore dei Savoia ma, soprattutto, ogni quattro di maggio c’è la Festa della Nocciola e della Barbera. Ci si ritrova nel centro del paese e al pronti-via si visitano scientificamente tutti i cortili delle case per trovare un modo per capire, per capirsi e forse anche per capirci, quando un nuovo giorno è appena incominciato, e sarà sicuramente un giorno in più per amare, per sognare ma soprattutto per bere e mangiare (op. cit.).
Purtroppo siamo in anticipo di un mese e così decidiamo di proseguire, direzione Mango.

Sweet Home Bassa Langa (intermezzo con indovinello musicale)

La temperatura si è sollevata di una manciata di gradi alcolici – diciamo quelli necessari a imbottigliare un Moscato – e anche il cielo si è rischiarato. Ora è proprio di un bel blu musicale. Ci ricorda il ritornello di quel fantastico gruppo di Jacksonville, con un nome così impronunciabile che il primo disco lo intitolarono Pronounced Leh-Nerd Skin-Nerd, quelli che poi a un certo punto, quando tutti in America sapevano pronunciarli correttamente, han fatto una copertina che li ritraeva superstiti tra fuoco e fiamme. Un lavoro di grande impatto visivo che però pochi di loro ebbero il piacere di apprezzare in quanto mezzo gruppo, poco prima della pubblicazione del disco, fu vittima di fuoco e fiamme in un incidente aereo. Sì, stare a becco asciutto per tanto tempo ci mette in circolo delle associazioni un po’ troppo catastrofiche ma, in ogni caso, la canzone ce l’abbiamo e così, mentre intorno a noi scorrono l’Osteria della Gallina Sversa, la frazione Madonna del Buon Consiglio e decine di villette incastonate in vigna, la mettiamo ad alto volume e quando Mango si profila all’orizzonte intoniamo a squarciagola: «Sweet Home Bassa Langa, where the skies are so blue...».

Mango (tre castelli e un barile di acciughe)

A Mango c’è per caso un castello, e di qua, di là, eccetera? Eh, un attimo. Al bar della piazza ci raccontano che di castelli una volta ce n’erano addirittura tre, uno per ogni borgo della zona. E allora giù tre brindisi, uno per Frave (“un bicchiere è appena lieve”), uno per Vaglio (“due bicchieri, e dacci un taglio”) e uno per Vene (“tre bicchieri, e che ci preme?”). Ci prestiamo volentieri a questo omaggio postumo, ma vorremmo saperne qualcosa di più e veniamo subito accontentati. Frave, Vaglio e Vene sono i nomi dei tre antichi borghi che nel Medioevo furono unificati, dopo che gli astigiani ebbero raso al suolo i rispettivi simboli architettonici, andando a formare il paese di Mangano, sul cui stendardo compaiono appunto i tre castelli.
Mangano dal Trecento in avanti fu un centro di piacevole confusione (“gradite un quarto bicchiere?”), in quanto crocevia di un percorso meraviglioso per viandanti salati che si chiamava Magistra Langarum. Di cosa si tratta? Di un antico tragitto che congiungeva il Piemonte alla Liguria e veniva percorso da carovane di mercanti in un senso e nell’altro. Dall’alto verso il basso partivano uva e vino e da sotto in su giungevano sale, olio e pesce. Il risultato di questo vaso comunicante ha un nome che ancora oggi è sulle labbra dei chimici illuminati: bagna caùda. E qui occorre dedicare qualche parola in più. Magari in versi.

Breve ricetta in versi ottonari della bagna caùda

Leva l’anima allo spicchio,
quella parte verde al centro:
nulla è meglio d’un bell’aglio
che profuma fuori e dentro.
Schiaccialo con la forchetta,
pronto è per la sua cottura.
Poi l’acciuga si sfiletta,
lava e asciuga la verdura.
Nel fuiot o fornellino
metti l’olio, il burro sciogli,
chiedi scusa al dio Nettuno,
quindi adagia i pesci spogli.
Mentre il fuoco fa il suo giro
e di fiamma mette addobbo,
nella stanza, s’alza il tiro
col sublime cardo gobbo.
La cipolla va lessata,
arrostito il peperone,
cotti cavolo e patata,
e la verza? Nel girone!
Per il crudo si discetta:
niente sedano o finocchio,
ché l’intingolo s’infetta
di un perfetto e scemo accrocchio.
Luce verde per la rapa,
la scarola è benvenuta,
benedetta è quella guapa
della bietola barbuta.
Se volete esagerare
in eleganza à la Cavour,
allor tocca poi scolpire
dadi di topinambur.
Quando infin consegnerete
questa bagna al crudo uovo,
con la fame e con la sete
fatto avrete l’Uomo Nuovo.

Fine dei versi e una domanda: ma il castello superstite di Mango com’è?

Chiuso.
Peccato, perché all’interno del castello, oggi e da circa vent’anni, si trova l’Enoteca Regionale Colline del Moscato, vino che, l’abbiamo detto, si produce nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo. Tanta roba. Infatti sono più di settanta i produttori che hanno aderito all’ente e cinquantadue i comuni rappresentati.
È un vino anzianotto, il Moscato. Se ne hanno tracce già nel 1300, quando il muscus, un’essenza usata nella più raffinata profumeria, viene prestata alla vocazione viticola. Anche il vino diventa prezioso e pregiato e, due secoli dopo, Testa d’Fer gli fa girare...

Indice dei contenuti

  1. Premessa (Confini ripieni)
  2. Roero
  3. Langhe
  4. Monferrato
  5. Sconclusioni