V. Il futuro del costituzionalismo
5.1. Il costituzionalismo come paradigma teorico formale e le sue possibili espansioni. Costituzionalismo garantista e rule of law nei tempi lunghi e negli spazi globali Il dilemma oggi imposto dalla crisi sopra illustrata alla riflessione sul futuro della democrazia e dello stato di diritto è radicale: o il declino dell’una e dell’altro, oppure lo sviluppo del paradigma costituzionale al di là dei confini degli Stati nazionali e dei poteri statali. Questa crisi, al tempo stesso economica, ecologica, politica e sociale sta minacciando non solo la democrazia e lo stato di diritto, ma anche la pace e la stessa abitabilità del pianeta. Sta rivelando, in breve, l’incompatibilità del capitalismo senza regole con le condizioni elementari della convivenza civile. Le emergenze globali da essa provocate richiedono perciò una svolta storica, cioè un terzo mutamento di paradigma del diritto, della politica e dell’economia e una terza tappa nello sviluppo della modernità. Dopo il paradigma legislativo affermatosi con la nascita degli Stati nazionali, e poi la sua evoluzione nel paradigma costituzionale delle odierne democrazie nazionali, l’alternativa a un futuro di catastrofi ambientali, politiche, economiche e sociali è lo sviluppo di un costituzionalismo sovranazionale, quanto meno europeo e in prospettiva globale, in grado di riabilitare il ruolo di governo della politica e quello di garanzia del diritto.
Questa prospettiva è resa possibile dal carattere formale del paradigma costituzionale illustrato nei §§ 1.3 e 2.9. Questo paradigma, ripeto, è stato concepito e si è sviluppato con riguardo soltanto ai poteri statali, le cui politiche possono dare soltanto risposte locali a quelli che sono problemi globali. Non ha investito né i poteri sovrastatali, essendosi il diritto positivo per lungo tempo, e tuttora in gran parte, identificato con il solo diritto statale, né i poteri economici privati, a loro volta ideologicamente concepiti, dalla tradizione liberale, anziché come poteri, come diritti di libertà. Tuttavia il suo carattere puramente formale consente di disancorarlo dalla sua origine statalistica e dalla sua tradizione stato-centrica. Inteso in questo senso, esso non è solo una conquista del passato. Quel paradigma è anche il più importante lascito del secolo scorso, che offre alla politica l’orizzonte e la tecnica per progettare il futuro. Il suo modello teorico è infatti un modello formale, la cui sintassi, comportando l’imposizione di limiti e vincoli garantisti, può valere per qualunque sistema di poteri, siano questi pubblici o privati, statali o sovrastatali.
Le difficoltà che si oppongono alla prospettiva di un costituzionalismo globale non sono quindi di carattere teorico, ma tutte e solo di carattere politico, legate alla difesa di interessi e di poteri consolidatisi nel vuoto di diritto e di garanzie alla loro altezza. Semmai, sul piano teorico un costituzionalismo garantista di livello globale si coniuga, ancor più dei costituzionalismi statali, con l’universalismo dei diritti fondamentali, il cui tratto distintivo è la loro natura di diritti individuali e, insieme, di diritti di tutti. C’è in proposito un luogo comune che deve essere ribaltato. Le costituzioni presupporrebbero l’esistenza di un demos, cioè di una qualche unità, o omogeneità culturale, o identità collettiva, o quanto meno la presenza di legami prepolitici tra i soggetti per i quali sono destinate a valere. È vero esattamente il contrario. L’unità di un popolo, come ho detto nel § 4.5, non forma il presupposto, bensì l’effetto dell’uguaglianza nei diritti, i quali agiscono come fattori di integrazione politica e sociale generando la percezione degli altri come uguali e il senso comune di appartenenza a una medesima comunità politica. Le carte costituzionali dei diritti non traggono perciò la loro legittimità dal consenso delle maggioranze, ma dalla garanzia di tutti; e sono tanto più legittime e necessarie quanto maggiori sono le differenze di identità che tramite i diritti di libertà sono in grado di tutelare e le disuguaglianze materiali che tramite i diritti sociali impongono di rimuovere. La loro funzione non è quella di rappresentare la comune volontà di un popolo, che non esiste, ma al contrario quella di garantire, con i diritti di ciascuno e di tutti, l’uguaglianza e la convivenza pacifica tra soggetti e interessi diversi e virtualmente in conflitto.
Deve essere quindi ribaltato anche un altro luogo comune: la tesi della fallacia della domestic analogy che vizierebbe come irrealistico qualunque progetto di un ordine internazionale modellato sul paradigma costituzionale, solo perché “le caratteristiche assolutamente uniche” delle comunità degli Stati non ricalcano, come ha scritto Hedley Bull, quelle delle società nazionali e dei corrispondenti ordinamenti statali. Semmai, è viziata da tale fallacia l’idea che non esisterebbe nessun’altra istituzione politica, oltre allo Stato nazionale, suscettibile di essere sottoposta a vincoli legali e costituzionali, solo perché non esiste una perfetta analogia tra le caratteristiche degli ordinamenti sovrastatali e quelle – oltre tutto prive di qualunque valenza garantista, come la sovranità, il territorio e il popolo-nazione – degli ordinamenti statali. Proprio il carattere formale sia del paradigma legislativo che del paradigma costituzionale consente invece di calare nello “stampo della legalità”, secondo l’espressione già ricordata di Piero Calamandrei, qualunque insieme di limiti e vincoli di contenuto a qualunque sistema di poteri.
Ciò che è stato calato nello stampo del diritto internazionale sono le tante dichiarazioni, convenzioni e carte dei diritti umani che compongono quella che possiamo chiamare un’embrionale costituzione del mondo. Ciò che manca sono le loro leggi di attuazione, cioè le garanzie, sia primarie che secondarie, dei tanti diritti stabiliti. Ma l’introduzione di tali garanzie, se prendiamo tali diritti sul serio, è da questi imposta alla politica non soltanto come il suo più importante compito storico e la sua principale fonte di legittimazione esterna, ma anche come un obbligo giuridico e come la condizione della sua legittimazione interna. Intendo dire che il paradigma costituzionale generato dalla stipulazione sovranazionale di diritti di libertà e di diritti sociali, disegna il dover essere giuridico del diritto sovranazionale medesimo, richiedendo agli Stati e alla comunità internazionale la non violazione dei primi e la soddisfazione dei secondi. È questa la logica interna del modello garantista del costituzionalismo: l’implicazione deontica, a carico della sfera pubblica, dei divieti e degli obblighi da parte delle aspettative negative e positive nelle quali consistono tutti i diritti stipulati nelle carte costituzionali, siano esse statali o sovrastatali. Rispetto alla crisi della sovranità degli Stati, ai processi di assoggettamento della politica all’economia e alla finanza, alla riduzione della capacità regolativa del diritto e alle restrizioni delle garanzie dei diritti sociali, la sola alternativa razionale e insieme giuridicamente obbligata al tramonto della democrazia costituzionale è insomma il suo allargamento in direzione di tutti i poteri, statali e non statali, e a garanzia di tutti i diritti positivamente stipulati.
Va aggiunto che lo sviluppo di una legalità globale può avvenire non solo attraverso l’allargamento del paradigma legislativo e di quello costituzionale fuori dai confini degli Stati nazionali, ma anche attraverso la progressiva espansione del rule of law, che certamente non è ancorato al modello stato-centrico ed è dotato, come si è detto nel § 1.3, di un’intrinseca dimensione sostanziale quale insieme di limiti al dispotismo del potere politico. Le due strade non solo non si escludono, ma possono utilmente integrarsi. È certo, tuttavia, che di fronte alle sfide globali rappresentate dalle grandi catastrofi planetarie, soltanto il paradigma garantista di un costituzionalismo rigido allargato ai molteplici poteri politici, economici e finanziari che attualmente imperversano sulla scena mondiale è in grado di fornire risposte alla loro altezza. Per molte e diverse ragioni: in primo luogo perché il vecchio modello del rule of law esteso “oltre lo Stato”, mentre non è un paradigma formale in grado di essere sostanziato da qualunque contenuto, incorpora soltanto i tradizionali limiti delle libertà fondamentali e della separazione dei poteri, e non certo vincoli normativi a tutela dei diritti sociali e dei beni fondamentali, la cui garanzia costituzionale è oggi imposta per fronteggiare le tante catastrofi – economiche, sociali, ecologiche, militari e umanitarie – prospettate dall’attuale anomia internazionale; in secondo luogo perché soltanto il paradigma garantista del costituzionalismo rigido è dotato di forza normativa nei confronti della selva dei poteri vecchi e nuovi, ai quali è in grado di imporre, quali limiti e vincoli, le garanzie implicate dalla sua interna sintassi logica; in terzo luogo, e conseguentemente, perché soltanto tale paradigma consente, con la sua rigida normatività, di tematizzare il diritto illegittimo, cioè di leggere come dovute le tutele dei diritti stabiliti dalle tante carte sovranazionali e di censurare come loro violazioni le antinomie e, soprattutto, le lacune di garanzie responsabili della loro ineffettività; in quarto luogo, perché tale paradigma affida alla politica, ben più e ben prima che alle dinamiche spontanee del rule of law e all’attivismo delle giurisdizioni, il compito, necessario ed urgente, dell’attuazione dei principi e dei diritti costituzionalmente stipulati, tramite la costruzione del complesso sistema di funzioni e di istituzioni di garanzia da esso logicamente implicato e giuridicamente imposto.
È infatti evidente che la regolazione dei mercati finanziari, la creazione delle funzioni e delle istituzioni di garanzia dei diritti sociali e dei beni comuni, la distribuzione dei farmaci salvavita, la messa al bando delle armi, il divieto oltre determinati limiti dell’emissione di gas inquinanti – in generale, tutte le garanzie di diritti e di beni vitali – non possono essere affidate allo sviluppo spontaneo di un diritto globale di formazione negoziale o giudiziaria. Richiedono regole di attuazione, poco importa se nella forma delle leggi o delle convenzioni internazionali. È una questione di sintassi giuridica: per ragioni strutturali il rule of law, mentre si accorda pienamente con il costituzionalismo principialista, non è da solo idoneo ad assicurare le funzioni di garanzia che il modello normativo del costituzionalismo garantista rende invece possibili oltre che dovute. Ciò non toglie il ruolo essenziale, di espansione e generalizzazione dei valori costituzionali, svolto dalla giurisprudenza e dall’odierno dialogo tra le giurisdizioni dei diversi ordinamenti. Ma questo ruolo sarà tanto più incisivo quanto più sarà ancorato alle strutture garantiste del paradigma costituzionale.
In tutti i casi, di fronte alle dimensioni della crisi, o si va avanti o si va indietro. O si realizza un’ulteriore espansione del costituzionalismo garantista in direzione dei nuovi poteri extra-statali che si sono sottratti alla normatività dei diritti, oppure si rischia il collasso non solo delle democrazie nazionali ma anche delle condizioni elementari della sopravvivenza e della pace. Il paradigma statale del costituzionalismo è infatti del tutto inadeguato a fronteggiare le cinque emergenze planetarie illustrate nel § 4.7. Problemi globali richiedono risposte globali che gli Stati non sono in grado di dare. Per due ragioni. In primo luogo perché, come si è visto nel precedente capitolo, i poteri che contano, sia politici che economici, si sono trasferiti fuori dei loro confini e dei loro controlli. In secondo luogo per due gravi aporie che affliggono le condizioni del consenso popolare e i tempi e gli spazi della politica nelle odierne democrazie rappresentative. La politica, in democrazia, conosce solo i tempi brevi delle scadenze elettorali, o peggio dei sondaggi, e gli spazi ristretti delle circoscrizioni elettorali. Non conosce né i tempi lunghi, né gli spazi planetari delle sfide globali. Ma sono proprio i tempi lunghi e gli spazi mondiali che oggi disegnano gli orizzonti di qualunque politica razionale ancor prima che democratica.
Per questo, politica, diritto ed economia non potranno più essere come prima. Se si vuole che ritrovino la ragione – la loro ragion d’essere e il loro ruolo di ragione –, è necessario che venga superato il capovolgimento dei loro rapporti che come si è visto è all’origine della crisi: non più l’onnipotenza della finanza e dell’economia rispetto alla politica e della politica rispetto alla società, ma la subordinazione delle prime alla seconda e della seconda alla terza, attraverso i limiti e i vincoli legali e costituzionali che devono imporsi sia ai poteri economici che ai poteri politici a garanzia dei diritti fondamentali di tutti. E questo è possibile solo attraverso un duplice allargamento del paradigma costituzionale dello stato di diritto e della democrazia: la sua espansione in senso estensionale a tutti i poteri e il suo rafforzamento in senso intensionale a garanzia di tutti i diritti. Solo questo duplice allargamento può produrre una riduzione delle disuguaglianze, che come si è visto sono tra le principali cause, oltre che tra i più gravi effetti della crisi: da un lato la riduzione delle eccessive ricchezze e la regolazione dei poteri speculativi di cui esse sono il frutto e lo strumento; dall’altro la riduzione delle povertà per il tramite delle garanzie del lavoro e dei diritti sociali.
L’espansione in senso estensionale del paradigma costituzionale, cui è dedicato il prossimo paragrafo, consiste nel suo allargamento all’altezza di tutti i poteri, pubblici e privati, sviluppatisi al di fuori della sfera dei poteri statali. Richiede, in breve, una costituzionalizzazione sia del diritto internazionale che del diritto privato e commerciale. A sua volta, il rafforzamento del medesimo paradigma in senso intensionale richiede da un lato la rifondazione della dimensione formale della democrazia rappresentativa, attraverso la riabilitazione della politica e la ristrutturazione della sfera pubblica sulla base, come si dirà nel § 5.3, di un complesso sistema di separazioni tra poteri a garanzia dei diritti politici e civili, ben al di là della classica tripartizione montesquieviana; dall’altro lo sviluppo della dimensione sostanziale della democrazia costituzionale, attraverso le garanzie primarie e secondarie di tutti i diritti fondamentali sulla base, come si dirà nei §§ 5.4-5.9, del modello garantista MG quale è stato qui definito, nel § 2.1, mediante i principi di legalità, di completezza, di giurisdizionalità e di azionabilità.
5.2. L’espansione in senso estensionale del paradigma costituzionale nei confronti dei poteri economici e dei poteri sovranazionali. Per un’Assemblea Costituente europea L’espansione in senso estensionale del paradigma costituzionale è dunque suggerita, dal costituzionalismo garantista, nei confronti di tutti i poteri: oltre che dei poteri pubblici statali, anche dei poteri privati e dei poteri sovra-nazionali, rimasti estranei al vecchio modello dello stato di diritto, fuori dal quale si sono sviluppati e sono destinati a crescere ulteriormente.
L’espansione si richiede in primo luogo nei confronti dei diritti di autonomia privata nella sfera del mercato, configurati dall’ideologia liberista, come detto nel § 1.7, come libertà e consistenti invece in poteri, sempre più sottrattisi al principio di legalità essendo stati travolti, in questi anni, gran parte dei loro vecchi limiti giuridici. Dislocazioni di attività produttive fuori dai confini nazionali con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro e sfruttamento massiccio del lavoro in altri paesi, privazione dei diritti dei lavoratori esposti al ricatto dei licenziamenti, produzioni industriali inquinanti e nocive alla salute, concentrazioni imprenditoriali perfino in materia di informazione, sviluppo incontrollato della finanza speculativa – sono il risultato di un generale processo di deregolazione che ha trasformato questi diritti-potere in poteri assoluti, in contrasto con il paradigma dello stato di diritto che non ammette l’esistenza di poteri legibus soluti. È perciò un costituzionalismo di diritto privato, se si prende sul serio il paradigma costituzionale, che oggi deve essere imposto normativamente alla politica e all’economia come la sola alternativa allo sviluppo selvaggio e distruttivo dei grandi poteri economici e finanziari. Deve cessare, a tal fine, l’attuale supremazia di tali poteri sulla politica e dev’essere restaurata la loro soggezione al diritto, quale è del resto stabilita dalla Costituzione italiana nei già ricordati artt. 41-47 sui limiti giuridici all’iniziativa economica privata e negli artt. 35-40 sui diritti dei lavoratori.
Più difficile è lo sviluppo di un costituzionalismo sovranazionale. L’espansione del paradigma costituzionale ai poteri di carattere extra- o sovrastatale è certamente oggi – a causa del carattere globale dell’economia e della finanza e del carattere sovranazionale dei poter...