1º novembre 1535-19 dicembre 1548. Dagli Sforza agli Asburgo di Spagna
di Giuseppe Galasso
Due eventi di grande rilievo spiccano nella storia di Milano, e non solo nella storia della città lombarda. Il primo è costituito dalla morte del suo ultimo duca indipendente, Francesco II Sforza, nella notte tra 1° e il 2 novembre 1535; il secondo è l’ingresso dell’allora ancora principe e poi re di Spagna Filippo II d’Asburgo nella città, il 19 dicembre 1548, durante il viaggio che allora faceva in Italia. Due avvenimenti, uno funerario, l’altro trionfale, che, tuttavia, erano strettamente legati fra loro, tanto che li si può considerare come un unico evento, o, meglio ancora, come le due facce di uno stesso evento.
Cominciamo dal primo, dalla morte del duca. Chi era Francesco II? Secondogenito di Ludovico il Moro e di Beatrice d’Este, era nato il 4 febbraio 1492. Poiché la successione nella sovranità su Milano toccava al fratello maggiore Massimiliano, il padre gli assegnò come appannaggio alcuni feudi posseduti dagli Sforza nel Regno di Napoli, tra i quali Bari, per cui Francesco portò a lungo il titolo di duca di Bari. Conquistata Milano dai francesi nel 1499, andò esule col padre e col fratello nelle terre imperiali e asburgiche del Trentino e del Tirolo. Poi l’anno dopo il padre tentò la riconquista del suo ducato, ma fallì miseramente e fu portato prigioniero in Francia, dove si spense nel 1508. I due fratelli restarono nelle terre degli Asburgo, ridotti quasi senza mezzi, malgrado le ingenti somme e i valori portati con sé nel partire da Milano.
Francesco pareva destinato alla carriera ecclesiastica e – secondo il costume del tempo – a diventare cardinale. Poi la ruota della fortuna girò. Nel 1512, nelle intricate vicende della politica italiana ed europea di quegli anni, il fratello Massimiliano riottenne il trono paterno e divenne duca di Milano. Il suo governo fu, peraltro, molto agitato sia per le pressioni esterne, nascenti dalla costante aspirazione francese a riprendersi Milano, sia per il malcontento interno, per cui egli si vide costretto a rinunciare ad alcuni tributi e ad altre prestazioni finanziarie. Quando nel 1515 i francesi rinnovarono il loro tentativo, Massimiliano poté, tuttavia, arruolare ben 30.000 svizzeri. Questi il 13 e 14 settembre combatterono per lui a Melegnano contro un esercito franco-veneziano di forza doppia in quella che fu definita la «battaglia dei giganti» per l’asprezza e il valore con cui dalle due parti si combatté. Gli Sforzeschi persero e, come il padre, Massimiliano dové prendere la via dell’esilio in Francia, dove morì nel 1530.
Con l’esilio di Massimiliano, Francesco, che già aspirava a sostituire il fratello nella successione al padre, divenne, in pratica, il titolare dei diritti degli Sforza su Milano, e già ormai si firmava dux Mediolani et Barii. Si spiega che su di lui puntasse il papa Leone X, il figlio di Lorenzo il Magnifico, che voleva evitare che Milano cadesse in signoria di stranieri, francesi o spagnoli o tedeschi che fossero, e voleva ristabilirvi un signore italiano che vi avesse un chiaro diritto, come appunto era il caso di Francesco, che così nel 1521 poté cingere, di nuovo per la sua Casa, la corona ducale. Secondo il cronista degli Sforza Scipione Barbuò Soncino, egli fu allora «molto amorevolmente richiamato» anche dai milanesi, «i quali, odiando il dominio superbo de’ Francesi, molto di più amavano quello del lor natural signore, e perciò discacciarono i Francesi».
A Milano Francesco II arrivò solo il 4 aprile 1522. Nel frattempo aveva affidato il governo del ducato a Girolamo Morone quale suo luogotenente e poi come cancelliere e membro del Senato istituito in Milano dai francesi nel 1500. Il Morone era partito da posizioni filofrancesi, ma si era poi accostato al partito imperiale, ritenendo che senza un tale appoggio l’indipendenza milanese non si sarebbe potuta mantenere. Carlo V era, dal 1516, sovrano dei reami spagnoli di Castiglia e d’Aragona e, dal 1519, del Sacro Romano Impero, ormai ristretto alla Germania, che però conservava molti titoli di diritto in Italia (tra questi titoli era anche quello della sovranità imperiale su Milano). La politica dell’imperatore cominciava ora a seguire un suo disegno di egemonia in Italia e in Europa di cui ben presto si sarebbero visti tutti i contorni.
Intanto, però, fu l’appoggio imperiale a proteggere il duca dai ritorni offensivi dei francesi fino a quando nel 1524 essi si impadronirono di Milano, anche se Francesco riuscì a tenere nelle sue mani il Castello della città. La lotta era ormai apertamente tra Carlo V e il re di Francia, Francesco I, e fu decisa, sostanzialmente, nella grande battaglia che si svolse il 24 febbraio 1524 sotto le mura di Pavia. Assediata, la guarnigione spagnola, comandata da Antonio de Leyva, resisteva, ma era ormai allo stremo quando sopravvenne un esercito di soccorso al comando di Alfonso d’Avalos. I francesi, presi in mezzo tra il de Leyva e il d’Avalos, subirono una delle più grandi sconfitte della loro storia militare. Lo stesso re Francesco I fu preso prigioniero, e appunto in quella occasione egli avrebbe scritto alla madre Luisa di Savoia: «tutto è perduto, fuorché l’onore».
Il trionfo di Pavia delineò chiaramente l’egemonia spagnola in Italia. Preoccupati, gli Stati italiani, intorno al papa Clemente VII, tentarono un’intesa con la Francia. A questa lega antispagnola stretta nel 1526 tra il re di Francia, il papa, Venezia e Firenze contro Carlo V partecipò anche Francesco Sforza, nonostante fossero stati gli spagnoli a riportarlo a Milano, dopo la grande rotta francese di Pavia. Gli spagnoli avevano avanzato, però, enormi pretese in cambio dell’appoggio che così gli avevano dato, fra cui anche la cessione dei diritti di Francesco sul ducato di Bari nel Regno di Napoli. Francesco aveva tentato di resistere, e si spiega così il suo indulgere al tentativo della lega antispagnola, di cui Girolamo Morone fu gran parte. La reazione di Carlo V fu poderosa e violenta. Il Morone fu fatto arrestare dal d’Avalos, e fu sul punto di pagare con la vita la sua condo...