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Note di lavoro

  1. 154 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Note di lavoro

Informazioni su questo libro

L'editoria italiana durante il fascismo, il ruolo di Croce, Laterza, Einaudi. I rapporti tra editori e librai nell'Italia del dopoguerra. L'atteggiamento degli italiani verso la lettura e i libri. Editoria industriale ed editoria artigianale. L'importanza dei libri nella scuola. Il ruolo delle biblioteche. Nord e Sud rispetto alla cultura e alla diffusione dei libri. Il mestiere dell'editore, tra creatività e pianificazione. Il libro come strumento di crescita civile.

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Informazioni

L’editoria italiana durante il fascismo

a Piero Gobetti
Saggio scritto nel 1979 per un volume miscellaneo sull’editoria durante il fascismo e il nazismo, progettato dall’editore inglese Hurst.

L’incursione nella casa di Benedetto Croce e la morte dell’editore Piero Gobetti

New York 30 novembre 1926
Caro Sig. Giovanni Laterza,
Vi sono molto grato della vostra lettera del 12 novembre unita a quella del nostro amico Senatore Croce. Saluto entrambi e vi ringrazio caldamente.
Il vostro lavoro come editore e come amico del Croce è stato di grande utilità non soltanto all’Italia ma a tutto il mondo.
Vi sarò ancora più grato se vorrete in piena confidenza darmi le informazioni indicate nell’accluso memorandum.
Io giudico dalla lettera del Croce che egli non desidera un’azione pubblica ma che, se un indirizzo internazionale di simpatia gli sarà rivolto in seguito, egli sarebbe lietissimo di saperlo.
Piacciavi presentare i miei affettuosi ringraziamenti al Croce e credetemi vostro affezionatissimo
J.E. Spingarn
MEMORANDUM CONFIDENZIALE
L’8 novembre i giornali di New York annunziavano che il popolo aveva assalito le case degli antifascisti in Italia e che la casa di Croce era stata rovinata e la sua bella biblioteca completamente distrutta. Io telegrafai al prof. Karl Vossler di Monaco per avere la conferma di questa notizia ed egli mi telegrafò che la casa di Croce era stata in parte distrutta. Nel frattempo scrissi a parecchi amici suggerendo d’iniziare in America una protesta internazionale.
L’ambasciatore italiano di Washington m’informò che nessun danno grave era stato fatto alla casa ed alla biblioteca e che la polizia, preavvertita del piano della folla, intervenne prima che avvenissero danni gravi. Questo intervento mi sembra che stia a dimostrare che le autorità intendano proteggere la vita e i beni del Croce e informai i miei amici che non era necessaria la protesta. Io adesso vi scrivo per chiedervi:
1) il resoconto preciso circa l’assalto e la portata dei danni arrecati;
2) quando la polizia intervenne;
3) quale valore avrebbe per Croce un pubblico attestato di simpatia da parte di scrittori e pensatori del mondo.
Potrebbe un indirizzo internazionale di simpatia, fatto con molto tatto, servire a proteggere il Croce da futuri attacchi?
4) l’elenco completo delle sue opere (letterarie o altre). È stata «La Critica» obbligata a sospendere la pubblicazione ed è stato sequestrato alcuno dei suoi libri?
Posso aggiungervi che il Console d’America a Napoli mi ha confermato le notizie dell’ambasciatore italiano a Washington.
Bari, 16 dicembre 1926
Ch.mo Sig. Prof. J.E. Spingarn,
la pregiata Sua lettera è giunta intanto che io ero a Napoli.
La ringrazio intanto dell’interesse che Ella prende pel nostro grande Benedetto Croce e rispondo alle Sue domande:
1) Posso assicurarle che nella spedizione notturna avvenuta precisamente alle ore quattro di notte alla casa del Croce, mentre tutti erano a letto e dormivano, Egli, che accorse subito, non subì violenze personali. Gli furono rivolte solo parole di oltraggio. Le distruzioni per opera di una quindicina di squadristi si limitarono all’anticamera, al lungo corridoio che attraversa l’appartamento e al salotto; la distruzione cessò, scappando via tutti, per il coraggioso sopraggiungere della Signora Croce.
2) La polizia intervenne la mattina per le constatazioni di fatto.
3) Le pubbliche attestazioni come Ella le intende sono certamente un serio ammonimento per il rispetto dei grandi scrittori e per la conservazione della libertà del pensiero.
4) Le opere del Croce e «La Critica» non hanno subito sequestri. Il Croce, pur mantenendo il fiero contegno che è proprio del suo carattere, si è ridotto a sorvegliarsi egli stesso per evitare di dare occasione a nuove vessazioni inconsulte.
5) Ora il Croce è in pieno vigore di pensiero e, se lo lasciassero tranquillo, la sua produzione sarebbe certamente proficua. Per questo io penso che l’indirizzo di simpatia al quale Ella accenna sarebbe anche un giusto compenso all’oltraggio subito.
Gradisca i miei ossequi distinti.
Giovanni Laterza
L’incursione nella casa del più autorevole e famoso intellettuale italiano segnò un nuovo passo del fascismo, al potere dall’ottobre del 1922, nella direzione delle limitazioni della libertà di stampa. Nella lettera a un suo autore americano, se ne mostrò consapevole Giovanni Laterza, un fratello di mio nonno, che nell’ambito dell’azienda familiare aveva avviato a Bari, in Puglia, l’attività editoriale nel 1901, collegandola sempre più strettamente al magistero di Benedetto Croce. Nessuno storico dirà poi, meglio di lui, che da quel momento «Croce... si è ridotto a sorvegliarsi egli stesso per evitare di dare occasione a nuove vessazioni inconsulte».
Esattamente un anno prima, nel novembre del 1925, il governo fascista aveva diffidato Piero Gobetti, un giovanissimo intellettuale torinese, fondatore da pochi anni di una intraprendente casa editrice, dal continuare qualsiasi attività editoriale. La sfida aperta che Gobetti continuò ad opporre al regime gli costò una violenta aggressione, l’esilio e la morte a venticinque anni, il 16 febbraio 1926.
Già nel 1924, Mussolini emanò il decreto sulla stampa periodica, che autorizzava i prefetti a diffidare il gerente di un giornale, di un settimanale o di un mensile che «con notizie false e tendenziose... danneggi il credito nazionale all’interno o all’estero o desti ingiustificato allarme nella popolazione» o, ancora, che «ecciti all’odio di classe o alla disobbedienza alle leggi». Un gerente diffidato per due volte in un anno poteva venir destituito dal prefetto, il quale aveva inoltre la facoltà di rifiutare l’autorizzazione alla nomina del successore, e quindi, in sostanza, di sopprimere il quotidiano o il periodico in questione.

Il fascismo alla ricerca del consenso

Purtuttavia il fascismo, che era arrivato al potere con un movimento rivoluzionario e gestì i primi anni di governo con la violenza necessaria per eliminare ogni dichiarata opposizione, cercò negli anni successivi di ottenere il consenso degli italiani... e il plauso degli stranieri. E perciò ogni sforzo fu fatto per la ‘pacificazione’ tra le diverse classi sociali e per la ‘pacificazione’ tra i diversi movimenti culturali.
Se fu fortemente costrittiva la legge del 28 agosto 1931 che imponeva a tutti i docenti universitari «il giuramento di fedeltà alla Patria e al Regime fascista», essa in effetti non ebbe grandi conseguenze, perché in moltissime sedi il lavoro scientifico continuò ad essere svolto con spirito di indipendenza. Persino nell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, nato sotto gli auspici del fascismo, lavorarono tutti con grande autonomia, anche studiosi notoriamente critici nei confronti del fascismo.
Se fu una sfida e una minaccia il Manifesto degli intellettuali fascisti del marzo 1925, fu pure tollerato il Contromanifesto degli intellettuali antifascisti che seguì subito dopo; come nessun divieto fu fatto alla pubblicazione, sempre nel 1925, di una grande Storia del liberalismo europeo scritta da Guido De Ruggiero e pubblicata da Laterza.
Bastano questi pochi dati a ricordare quanto diverso sia stato il fascismo dal nazismo, come gli storici hanno chiarito bene, e quanto particolare sia stato il rapporto tra l’editoria italiana e il regime di Mussolini.
Tranne il caso Gobetti, non vi fu alcun editore costretto ad abbandonare la sua attività. Tutte le case editrici furono anzi blandite e favorite come imprese industriali. Sicché ogni editore si affrettò a rendersi gradito al regime, pur non rinunciando a pubblicare occasionalmente, e spesso senza saperlo e volerlo, libri non ‘fascistizzati’. Fecero eccezione, con pochissime altre, la casa editrice diretta da Giovanni Laterza e, a partire dal 1934, la casa editrice fondata a Torino da Giulio Einaudi. Nel catalogo di questi due editori è raccolta la cultura italiana del Novecento più significativa, e cioè la produzione libraria che tenne vivo sempre in Italia lo spirito della ricerca critica, libera e indipendente, perfino negli anni più bui del fascismo.
Non è questa la sede per ripercorrere i cataloghi Laterza ed Einaudi tra le due guerre, né per dare una valutazione esaustiva delle premesse che contribuirono alla ripresa della vita civile e culturale, che fu immediata, dopo la caduta della dittatura. Lettere editoriali e ricordi di episodi significativi – per quanto parziali – potranno forse dare un’idea del clima politico e della battaglia per la libertà condotta in forme caute, prudenti, insidiose, ma con rigorosa costanza.

La «Storia d’Italia» di Benedetto Croce e lo schieramento antifascista

La Storia d’Italia dal 1871 al 1915 uscì a gennaio del 1928. Giovanni Laterza ne tirò 3000 copie: molte per allora, ma non moltissime. Era un libro controcorrente, perché Croce giudicava estremamente positivi i cinquant’anni dell’Unità d’Italia, dell’Italia libera e democratica, e quasi un infortunio il fascismo in quanto falsa soluzione della crisi del dopoguerra. Imprevedibilmente, seguirono in breve tempo molte ristampe: segno evidente che a Croce non guardavano più soltanto coloro che aderivano o erano interessati al suo pensiero, ma la schiera ben più larga degli antifascisti.
Nei confronti della cultura che aveva creduto alle lusinghe della «Circe di moda», e in particolare nei confronti di Giovanni Gentile, che era stato suo amico e collaboratore sin dai primi anni del secolo, Croce dette giudizi sferzanti:
Il direttore della «Critica» [che Croce aveva fondato nel 1903] vide a un tratto sorgere accanto a sé una forma di idealismo irrazionalistico per parte di un suo collaboratore, che aveva dato valida mano al promovimento degli studi filosofici... e che, diversamente da lui, proveniva dallo hegelismo ortodosso, e per questo, e per certo suo abito di professore, pareva cinto di grosso usbergo contro le lusinghe della Circe di moda. Sicché, quando il fatto accadde... egli ne provò non piccolo stupore, ma pure non mise tempo in mezzo per contrastarlo nel suo principio e nelle sue conseguenze e ad ammonire che si entrava in una cattiva via... svelatosi sempre più apertamente il cosiddetto idealismo attuale un complesso di equivoche generalità e un non limpido consigliere pratico.
Giovanni Gentile, che era anch’egli autore prestigioso della casa editrice di Bari, se ne risentì immediatamente. Il 27 gennaio 1928 scrisse a Giovanni Laterza:
Tornato a Roma lunedì scorso, trovai la Storia d’Italia di Benedetto Croce; e alla prima scorsa mi venne sotto gli occhi, a pagina 255, una frase equivoca che è una vera insinuazione maligna e spregevole contro di me. Ella certamente, stampando il volume, non se ne sarà accorto; né io mi meraviglio che Benedetto, accecato com’è dalla passione, non l’abbia avvertito di nulla. Ma io non credo di poter lasciare passare la cosa sotto silenzio, anche perché il fatto non è nuovo. E perché, francamente, i nostri rapporti cominciano a diventare alquanto difficili, e temerei si guastassero affatto, se Ella non convenisse nella necessità di certi riguardi che nessuna amicizia può far trascurare o calpestare. La prego di esaminare la questione che è molto delicata con animo sgombro da ogni pregiudizio, obiettivamente.
E tre giorni dopo, il 30 gennaio, scrisse ancora:
Non posso ammettere che un editore mio amico pubblichi un libro in cui si fa strazio del mio onore insinuandosi che la mia dottrina non è limpida consigliera pratica, come se avessi commesso scorrettezze, fuorviato dalla mia falsa filosofia. Il Croce sarà padrone, se accetta tutte le conseguenze delle sue azioni, di scrivere tutto quello che pensa. Ma lei non può stampare tutto quello che egli scrive senza assumere come editore una sua responsabilità. Infatti, mi immagino, Ella non pubblicherebbe mai parole ingiuriose contro il Croce. Né editore che si rispettasse crede mai di poter accogliere ad occhi chiusi qualunque scritto, anche se contrario ai suoi sentimenti non trascurabile.
Il periodo non conclus...

Indice dei contenuti

  1. L’editoria italiana durante il fascismo
  2. Identità culturale e politica commerciale
  3. Editori e librai
  4. Ciò che un editore può chiedere alla pubblica amministrazione
  5. La dispersione della cultura della città: discorso alle donne di Bari
  6. Dialoghi con Vito Laterza
  7. Intervista di Sergio Givone
  8. Intervista di Stefano Catucci