Una rivoluzione
per la Terza Italia
di Emilio Gentile
Non aveva ancora compiuto 29 anni Benito Mussolini quando, quasi improvvisamente, da segretario della Federazione socialista di Forlì divenne un personaggio politico nazionale, dopo il XIII congresso del Partito socialista italiano, che si svolse a Reggio Emilia dall’8 al 10 luglio 1912. Mussolini era giunto al congresso con una modesta popolarità nel suo partito, per aver sostenuto nell’aprile 1911, come esponente della frazione rivoluzionaria, la sedizione del socialismo forlivese contro la direzione nazionale riformista. Inoltre, in Romagna era stato uno dei promotori delle manifestazioni contro la guerra di Libia, per cui aveva scontato il carcere dal 14 ottobre 1911 al 12 marzo 1912. Importanti per il suo successo furono l’originalità dell’oratoria e la giovane età, considerando che Filippo Turati, capo dei riformisti, aveva 55 anni, così come il nuovo segretario del partito Costantino Lazzari.
Nascita di un mito
Un vecchio socialista rivoluzionario come Amilcare Cipriani, figura leggendaria per le imprese garibaldine a cui prese parte tra il 1859 e il 1866, combattente per la Comune nel 1871, condannato in Italia ed esule a Parigi da molti anni, all’indomani del congresso di Reggio Emilia dichiarò al giornale «Humanité», riferendosi a Mussolini: «Quest’uomo mi piace molto. Il suo rivoluzionarismo è il mio, dovrei dire il nostro, cioè quello che chiamo classico. A questo valoroso Mussolini manca solo semplicemente questo; di essere socialista e sindacalista a un tempo». Un altro anziano socialista rivoluzionario, Paolo Valera, lo descrisse come «un cerebrale del socialismo rivoluzionario. Egli è un temperamento. [...] Non conosce deviazioni. È tutto di bronzo. È un uomo di idee. È carico di avvenimenti». Il giornale sindacalista napoletano «La Propaganda» apprezzò «l’eloquenza personale», «tagliente come una lama, aborrente da ogni volgarità». Il giovane rivoluzionario affascinò anche anziani riformisti, che a Reggio Emilia votarono per l’espulsione di vecchi compagni e amici, come Bissolati e Bonomi, voluta da Mussolini: uno di essi lo descrisse come un «meraviglioso giovane magro, dall’eloquenza a scatti, secca, focosa, originale; un uomo di grande avvenire; ne udremo ancora novella; sarà il dominatore futuro del partito».
Mussolini fu così notato per la prima volta dalla stampa nazionale: il «Corriere della Sera» scrisse che l’oratore «magro, aspro, che parla a scatti, con sincerità, piace al congresso, il quale sente di avere in lui un interprete dei suoi sentimenti». «Il Secolo», giornale democratico di Milano, lo definì «un originale agitatore romagnolo, che non ripesca le ragioni del proprio rivoluzionarismo nel vecchio arsenale dei suoi compagni di tendenza e che, come ricerca negli studi severi le risorse della sua varia cultura, così nel contatto assiduo con le masse operaie della florida campagna romagnola attinge il calore della sua fede e del suo irriducibile istinto di ribelle». Per «Il Nuovo Giornale» di Firenze, la concezione rivoluzionaria di Mussolini aveva «un po’ del pazzesco. Ma è difesa da un uomo sottilmente dialettico, fecondo, sdegnoso: un vero tipo di originale pensatore, che ha voluto ad ogni modo trovare una via nuova ed incominciare ad imporla aprendola con garbo ed infiorandola con le doti del suo ingegno e della sua oratoria rude, che piace ai rudi romagnoli».
Ciononostante, quando nel settembre 1913 Mussolini fu candidato alla Camera dei Deputati a Forlì, Rino Alessi, un giornalista che lo conosceva fin dall’adolescenza, su un giornale democratico di Bologna prevedeva che non sarebbe stato eletto, aggiungendo che di «questa verità egli deve essere più che persuaso»:
Non è un antiparlamentarista, ma un uomo di carattere, uno sdegnoso la cui anima esula dai meschini intrighi della politica d’ogni giorno [...] egli non coltiva ambizioni personali. [...] È nato con le abitudini morali già formate; a diciotto anni era, come oggi, un tipico esempio d’intransigenza spirituale. [...] Nell’azione egli rimane un solitario: la massa, infatti, lo ama, ma non l’intende. Le sue formule, i suoi discorsi apodittici, le sue enunciazioni dottrinarie, portano il vigore di una freschezza intellettuale che rare volte si riscontra negli altri scrittori di parte socialista. Ciò spiega il dispetto che molti provarono il giorno in cui, ignoto ai più, dalla tribuna del congresso di Modena [recte Reggio Emilia] poté compiere la propria rivelazione, con idee nelle quali non era traccia di cose vecchie e superate.
Alla fine del 1913, annunciando l’uscita della rivista di Mussolini «Utopia», Giuseppe Prezzolini così ne parlava sulla sua rivista «La Voce»: «Quest’uomo è un uomo e risalta tanto più in un mondo di mezze figure e di coscienze sfilacciate come elastici che han troppo servito. Una fibra intera che sa reggere obbiettivamente il giornale del partito, ma ha tanto bisogno di esser se stesso completamente da crearsi un suo organo». Un’impressione simile ebbe l’anarchica Leda Rafanelli, dopo averlo ascoltato commemorare la Comune a Milano il 18 marzo 1913: Mussolini «è il socialista dei tempi eroici. Egli sente ancora, ancora crede, con uno slancio pieno di virilità e di forza. È un Uomo. [...] Mi è piaciuto ritrovare, alfine, un socialista vero. Egli non ha subito gli adattamenti dei più del suo partito. Giovane, è rimasto con i giovani, con chi crede e spera nella Rivoluzione».
Insomma, appena un anno dopo la sua affermazione sulla scena nazionale al congresso di Reggio Emilia, attorno alla figura del giovane direttore dell’«Avanti!» cominciava a formarsi un alone mitico, che parve consolidarsi l’anno successivo, quando Mussolini ottenne un nuovo successo personale al congresso nazionale del Partito socialista ad Ancona nell’aprile 1914. Persino fra i riformisti, da sempre duramente combattuti da Mussolini, ci fu chi tributò riconoscimenti alla sua personalità, come il riformista Giovanni Zibordi. Nel suo intervento al congresso di Ancona, pur opponendosi a Mussolini, plaudì «a tutta quella parte dell’opera di Mussolini e dell’‘Avanti!’ che voi meritatamente applaudite con tanto entusiasmo, anche senza condividere forse tutte le singole frasi che egli scrive», precisando che, con tale distinzione, egli intendeva innalzare l’opera stessa di Mussolini: «essa significa che voi apprezzate in Mussolini qualche cosa che è più della tattica e della tendenza: apprezzate l’anima e lo spirito, la sincerità della fede, la dirittura dell’uomo che anche qui, stamane, da questa tribuna, discuteva con se stesso per ricercare una verità superiore». Con parole analoghe si pronunciò due mesi dopo Gaetano Salvemini, in un commento sulla Settimana rossa, esprimendo fiducia in «quei socialisti rivoluzionari, che come Benito Mussolini sono rivoluzionari sul serio, e parlano come pensano, e operano come parlano, e perciò portano in sé tanta parte dei futuri destini d’Italia».
Tuttavia, in altre considerazioni sulla figura politica di Mussolini, pubblicate il 15 agosto 1914, Zibordi si domandava se Mussolini «in alcuni aspetti e in alcuni momenti della sua opera – aspetti e momenti saltuari e rari, ma importantissimi e decisivi – rappresenti, non diciamo tutto il Partito, ma quella parte stessa che, prevalendo a Reggio e ad Ancona, lo nominò e lo confermò alla direzione dell’‘Avanti!’». La questione che il riformista poneva non aveva alcun intento polemico personale, perché, ribadiva, «Benito Mussolini ha doti e benemerenze da tutti riconosciute. Il problema è un altro: rappresenta egli almeno la sua frazione?».
Un primitivo nel socialismo
Di sé e del suo socialismo Mussolini scriveva l’11 agosto 1912:
Io sono un primitivo. Anche nel socialismo. Io deambulo nell’attuale società di mercanti come un esule. [...] Ora che il socialismo sta diventando un affare – per i singoli e per le collettività – non lo capisco più. Io vivo in un’altra atmosfera. So...