
- 184 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La camelia
Informazioni su questo libro
La camelia conta più di 22.000 varietà. Novità travolgente nei giardini dell'Ottocento, divenne il fiore del Risorgimento nazionale, un'icona di stile che decretò fortune letterarie e musicali.
La seducente storia di un fiore che ha inondato i giardini e i salotti letterari tra Ottocento e Novecento."il manifesto"
Un quadro narrativo affascinante che valorizza il repertorio vegetale presentato con le avvincenti tribolazioni dei moti risorgimentali e delle cospirazioni carbonare.Federica Arnoldi, "Doppiozero"
La camelia meritava un libro."Il Piccolo"
Domande frequenti
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Informazioni
III.● GLI USI
a — IL FIORE DEL RISORGIMENTO: LA FORTUNA OTTOCENTESCA
In Italia la camelia è stata il fiore del Romanticismo e del Risorgimento. I decenni dell’Ottocento in cui il movimento politico e culturale promuove e raggiunge l’unità nazionale coincidono con quelli del suo maggior fulgore.
Troviamo tracce evidenti di tale fortuna nelle riviste specialistiche, nei cataloghi delle istituzioni botaniche e dei maggiori vivaisti di allora, nella storia dell’arte e del costume nazionale. La rilevanza del fenomeno influenzò abitudini e maniere, divenne moda. E alimentò l’economia di un settore in continua espansione fino all’ultimo scorcio del secolo, quando cominciò il declino e la camelia entrò in un lungo periodo di oblio.
Un’occhiata ad alcuni repertori botanici ci istruisce su un dato significativo: sul finire degli anni Venti dell’Ottocento, fra specie e varietà (non sempre identificate con precisione), l’orto di Lucca dichiara di possedere nove diverse camelie, quello fiorentino quattordici, ventuno il ricco parco della Villa Reale di Monza, tra cui due Camellia sasanqua1. Ma nel giro di un paio di decenni, i cataloghi di alcuni tra i più importanti vivaisti del Centro-Nord offrivano al pubblico centinaia di cultivar di Camellia japonica, soprattutto a fiore doppio; molte di queste frutto del loro personale lavoro di ibridatori.
Sono i nomi attribuiti alle nuove varietà a consegnarci la liaison con i fervori risorgimentali.
Tra i primi a battezzare camelie dedicate ai protagonisti dell’Unità d’Italia troviamo i bresciani. La famiglia del conte Faustino Lechi nutrì una viva fede rivoluzionaria e napoleonica; i figli Giuseppe e Teodoro ebbero una notevole carriera nelle file dell’esercito di Bonaparte partecipando a molte campagne militari. Napoleone fu persino loro ospite nella villa di Montirone tra il 13 e il 15 giugno del 1805.
Come già accennato, il cameliofilo di casa fu Bernardino, che, dopo gli arresti dei fratelli maggiori ad opera degli austriaci, fu incaricato della gestione dei beni di famiglia. Fautore prima della Repubblica bresciana di fine Settecento e poi dei moti risorgimentali, nella quiete della villa di campagna si dedicò anche alla coltivazione delle camelie, conquistandosi una vasta fama europea. Consacrò una camelia ad Arnaldo da Brescia (1090-1155), il frate agostiniano allievo di Abelardo che nell’Ottocento fu eletto campione del libero pensiero; a Lajos Kossuth, l’alfiere dell’indipendenza ungherese e figura di riferimento di molti patrioti italiani; e a Emilio Bandiera, fondatore con il fratello Attilio del movimento segreto Esperia, entrambi giustiziati dopo il fallimento della spedizione calabrese contro Ferdinando II di Borbone.
A proposito di società segrete, persino la Carboneria ebbe la sua camelia, forse ottenuta dal milanese Mariani che la chiamò per l’appunto Carbonara: è una doppia irregolare dal fiore rosso cupo con riflessi neri, ed è citata per la prima volta nel 1843 dal belga Van Houtte.
Già che ci siamo, ricordiamo la cultivar intitolata a un affiliato di rango quale fu Federico Confalonieri. Cospiratore fu anche quel già nominato Angelo Borrini di Sant’Andrea di Compito, ottimo selezionatore di camelie: i confratelli della sua associazione segreta pare mettessero una camelia variegata rossa e bianca all’occhiello (con il verde delle foglie ammiccava al tricolore) in segno di riconoscimento.
Bernardino Lechi attribuì un’altra delle sue creazioni a Teresita Canzio Garibaldi, figlia dell’eroe dei due mondi, cui pure intitolò una camelia: ma la paternità del fiore del generale non è suffragata da prove certe. Verschaffelt, che la riproduce nella sua Nouvelle iconographie des camellias, ci dice di averla ricevuta dall’Italia, dove era già in commercio, e di averla vista fiorita nel suo vivaio nel 1850. Il botanico belga ci informa, inoltre, di avere ricevuto nel 1856 dal conte bresciano, suo corrispondente, anche una camelia intitolata al patriota Luciano Manara.
Altre camelie furono dedicate a Carlo Cattaneo e a Enrico Dandolo, protagonisti con Manara delle Cinque Giornate di Milano. L’ultima delle quali fu onorata dalla Camellia japonica 22 Marzo, data del ritiro delle truppe di Radetzky: ottenuta da Burdin a Milano (così il Verschaffelt), è una doppia con petali rosso ciliegia listati al centro di bianco.
Lo stesso accadde alla breve vicenda della Repubblica romana, a cui fu intestata dall’ibridatore Dal Grande la Camellia japonica Bella romana (1850), tutt’oggi famosa per la perfezione del fiore medio che nulla si fa mancare: bianco o rosa chiaro, striato, maculato e puntinato di rosa cremisi.
Ma le camelie patriottiche sono davvero molte e celebrarono altri personaggi di spicco, come quelle ottenute dopo il 1850 dal vivaista fiorentino Franchetti e intitolate a Massimo D’Azeglio e al conte Cavour. Con ciò, insieme a quella già ricordata del bresciano Madoni in onore di Vittorio Emanuele II, anche i maggiori fautori dell’Unità d’Italia — che pure fu celebrata da un’omonima cultivar — poterono fregiarsi di un’esclusiva del fiore allora più in voga.
Questo giretto nel tratto di storia che portò all’indipendenza nazionale documenta sia l’amor patrio dei nostri maggiori cameliofili, sia quanto le cultivar avessero invaso il mercato nazionale (e forestiero) e si uniformassero alle vicende politiche e sociali del momento.
Eppure nell’ultimo quarto dell’Ottocento la fortuna delle camelie cominciò a scemare, per eclissarsi, o quasi, lungo mezzo secolo e più, dal Ventennio fino agli anni Settanta del Novecento.
Tuttavia, nel 1928 furono pubblicate ai capi estremi d’Italia le prime due monografie sulla camelia: una a Milano, nella collana dei manuali della gloriosa casa editrice Hoepli, ad opera di Angiolo Del Lungo e Giulio Girardi, l’altra di Giovanni Battista Tirocco, presso l’editore catanese Francesco Battiato.
La sincrona iniziativa editoriale è di un certo interesse, dal momento che entrambi i volumi registrano come un dato di fatto, consegnato a un passato nemmeno troppo recente, il crepuscolo del fiore. Gli autori ritennero, tuttavia, opportuno offrire ai lettori una monografia, allora mancante, con il fine di essere utili a tutti coloro che volevano «interessarsi di questa simpatica ed oggi tanto negletta pianta ornamentale»2.
Dopo aver fissato la data d’inizio della crisi, Del Lungo e Girardi ci consegnano lo stato dell’arte, se non altro nei vivai:
Una quarantina di anni fa, poi, senza una ragione speciale, la coltura delle Camelie...
Indice dei contenuti
- I. UNA STORIA DI FAMIGLIA
- II. I COMPAGNI DI VIAGGIO
- III. GLI USI
- IV. GALLERIA DI RITRATTI
- RINGRAZIAMENTI
- — BIBLIOGRAFIA
- — SITOGRAFIA
- — FONTI E CREDITI