1547. La congiura Fieschi
di Arturo Pacini
1. L’evento-congiura: «Il maggior tradimento che sia mai stato usato da alcun’altra persona scelerata»
La citazione contenuta nel titolo è una frase scritta da Andrea Doria, la vittima designata della congiura di Gian Luigi Fieschi, nella prima lettera in cui diede notizia all’imperatore Carlo V di quanto era accaduto a Genova la notte fra il 2 e il 3 gennaio 1547. La scelta delle parole e degli aggettivi, l’enfasi posta sul termine «tradimento», la definizione del conte Fieschi come persona scellerata quant’altre mai, possono non essere solo il prodotto della collera feroce di un uomo scampato alla morte quasi per miracolo. In quella lettera Doria chiese a Carlo V di impartire ai Fieschi una punizione esemplare, ed essendo il loro Stato nel Levante ligure composto da feudi imperiali, l’accusa di tradimento avrebbe consentito all’Asburgo di comminare la pena più dura, capace di distruggere l’intero casato: la revoca delle investiture. Quest’eventuale calcolo nell’uso delle parole non esclude però sentimenti più immediati che dovettero sorgere violenti nell’animo di Doria, come l’ira, mischiata a stupore e amarezza, e il desiderio di vendetta; un desiderio che il vecchio ammiraglio avrebbe soddisfatto fino in fondo, con spietata determinazione, nei mesi e negli anni successivi. Fu Doria a esigere dalla repubblica la condanna a morte per delitto di lesa maestà di Gerolamo Fieschi, fratello di Gian Luigi, mentre l’altro fratello, Ottobono, catturato nel 1555 durante l’assedio di Porto Ercole e consegnato agli uomini di Doria, venne annegato in mare rinchiuso in un sacco.
Nel vendicarsi, Doria non incontrò ostacoli. La congiura fu infatti un avvenimento di tale portata da rendere impossibile utilizzare quei meccanismi di accomodamento che spesso regolavano i conflitti all’interno delle aristocrazie di antico regime. Il contesto interno genovese e quello internazionale non permettevano soluzioni di compromesso. La congiura, o meglio il suo fallimento, fu anche l’occasione di una resa dei conti tra i Doria e i Fieschi a Genova. Dovremo affrontare anche quest’aspetto, ma limitarsi ad esso equivarrebbe a sottoutilizzare le potenzialità esplicative della congiura Fieschi, che può dirci molto della storia non solo genovese, ma italiana, mediterranea ed europea del secolo XVI.
Questa visuale più ampia rende necessario un pur sommario inquadramento della congiura nello scenario complessivo dell’Europa del tempo; un’Europa che nella seconda metà degli anni Quaranta attraversò una fase per più versi decisiva. La difficile cooperazione tra papato e impero nella lotta contro l’eresia luterana e lo scaricarsi delle loro tensioni sullo scacchiere italiano furono due tratti importanti della storia di quegli anni.
La congiura Fieschi si svolse la notte tra il 2 e il 3 gennaio 1547. Era allora in corso, dal dicembre del 1545, il Concilio di Trento, un passaggio fondamentale per la storia religiosa dell’Europa spaccata dallo scisma protestante. Ma il concilio fu anche una complicata operazione politica, pesantemente condizionata dagli equilibri di forza politici e militari continentali.
Dall’estate del 1546 l’imperatore e re di Spagna Carlo V, in accordo con il papa Paolo III Farnese, aveva dato inizio alla guerra in Germania contro i protestanti della Lega di Smalcalda. Era il momento decisivo per il grandioso progetto di riunificare la cristianità sotto la potestà spirituale del pontefice e quella temporale del sacro romano imperatore. I rapporti tra il Farnese e l’Asburgo erano però molto tesi e difficili, riguardo sia ai lavori del concilio sia alla conduzione delle operazioni militari in terra tedesca.
L’Italia era in fermento. Nell’agosto del 1546 venne scoperta a Lucca la congiura repubblicana, antimedicea e anti-imperiale di Francesco Burlamacchi. Poi seguì un anno terribile, il 1547, carico di eventi straordinari e sconvolgenti. Sottili trame politiche e rivolte sanguinose fecero calare sull’intera penisola una pesante atmosfera di sospetto e paura. Venne per prima, a inizio gennaio, la congiura Fieschi a Genova, con indizi consistenti di un coinvolgimento del papa e di suo figlio, il duca di Parma Pier Luigi Farnese, e della Francia. Poi scoppiò una rivolta a Napoli contro il tentativo del viceré Pedro de Toledo di introdurre l’Inquisizione spagnola (maggio-agosto). Nel settembre fu eseguita con successo una congiura che portò all’uccisione di Pier Luigi Farnese. Questa volta era il principale ministro di Carlo V in Italia, il governatore di Milano Ferrante Gonzaga, a essere direttamente coinvolto nell’assassinio del figlio del pontefice. Piacenza, facente parte del ducato farnesiano, venne allora occupata dagli spagnoli, che vi rimasero per oltre un trentennio.
Gli avvenimenti italiani erano inestricabilmente connessi con quelli europei. Le relazioni tra il papa e l’imperatore, difficili già alla fine del 1546, precipitarono a inizio 1547. Nel gennaio Paolo III ritirò le sue truppe dalla Germania, dove Carlo V, militarmente superiore, rischiava di diventare troppo potente. In funzione anti-imperiale va letto anche il trasferimento del concilio da Trento a Bologna nel marzo. La poderosa macchina militare ispano-imperiale stava ormai funzionando a pieno regime. Carlo V inanellò una serie di vittorie in Germania, fino a quella, schiacciante, del 24 aprile a Mühlberg. L’Asburgo sembrava essere divenuto il padrone d’Europa. Lo fu per poco tempo: il suo sogno imperiale era destinato a svanire all’inizio degli anni Cinquanta. Dopo l’uccisione di Pier Luigi Farnese, i rapporti tra papa e imperatore, giunto allo zenit della sua potenza, diventarono pessimi; di conseguenza il concilio venne sospeso prima temporaneamente (febbraio del 1548) e poi sine die (17 settembre 1549).
Questo è il quadro complesso e drammatico degli avvenimenti in cui si colloca la congiura Fieschi; avvenimenti con i quali la congiura è collegata in modo più o meno diretto. I fatti genovesi del gennaio 1547 sono però, anzitutto, un evento nel senso tecnico della parola, cioè una vicenda che si cons...