1° giugno 1764. La nascita del «Caffè»
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1° giugno 1764. La nascita del «Caffè»

  1. 20 pagine
  2. Italian
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1° giugno 1764. La nascita del «Caffè»

Informazioni su questo libro

«Cosè questo Caffè? È un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni. Cosa conterrà questo foglio di stampa? Cose varie, disparatissime, inedite, fatte da diversi autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno scritti questi fogli? Con ogni stile che non annoi. Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto? Il fine duna aggradevole occupazione per noi, di far quel bene che possiamo alla nostra patria, di spargere utili cognizioni fra i nostri cittadini».Con queste parole, il 1° giugno 1764 Il Caffè si presenta al pubblico: una battagliera dichiarazione dintenti, a cui il periodico resterà poi sempre fedele. Nelle sue pagine, infatti, si alternano le firme di un gruppo di giovani intellettuali, tra cui Cesare Beccaria, Pietro e Alessandro Verri, in aperta rivolta contro il mondo conservatore dei padri, di cui sono intenzionati a spazzare via anacronismi e pregiudizi. Dalleconomia ai costumi, dal diritto alle scienze, dalla letteratura, al teatro, alla filosofia, non cè argomento con il quale essi non si misurino, armati del più fiero spirito critico e della volontà di affermare quella libertà civile ed economica che anche nel resto dEuropa si sta diffondendo.Strettamente legato alla cultura dOltralpe, che riprende, discute e diffonde, Il Caffè conquista in breve unampia autorevolezza ed è ancora oggi noto come la più prestigiosa rivista dellIlluminismo lombardo.

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Informazioni

1° giugno 1764. La nascita del «Caffè»

di Marco Meriggi
Il primo numero del «Caffè» uscì il primo di giugno del 1764. Ma il gruppo di intellettuali che animarono la rivista durante i poco più di due anni di durata della sua pubblicazione s’era formato e aveva acquisito una consuetudine quasi quotidiana già a partire da tre anni prima. Osserviamoli, fermati in una scena di ordinaria convivialità nella celebre tela dipinta da Antonio Perego. Sul lato sinistro, da sinistra a destra: Alfonso Longo di spalle, Alessandro Verri, Giambattista Biffi, Cesare Beccaria. Sul lato destro: Luigi Lambertenghi, Pietro Verri, Giuseppe Visconti di Saliceto. Quello di cui facciamo la conoscenza in questo ritratto di gruppo è il nucleo originario della cosiddetta Società o Accademia dei Pugni. A chiamarla così furono quanti, a Milano, volevano fare dell’ironia sul «sacro furore» e sull’animosità che parevano contraddistinguere l’atmosfera dei loro incontri; ma i diretti interessati si appropriarono volentieri della nomea e se ne fecero, anzi, titolo di vanto.
Riunione dell’Accademia dei Pugni.
Antonio Perego, Riunione dell’Accademia dei Pugni. Lurago d’Erba (Como), Collezione privata Sormani Andreani Verri.
Da sinistra a destra: Alfonso Longo (ritratto di spalle perché il pittore non lo vide mai), Alessandro Verri, Giambattista Biffi, Cesare Beccaria, Luigi Lambertenghi, Pietro Verri, Giuseppe Visconti di Saliceto. Sono i componenti dell’Accademia dei Pugni, ritratti a sodalizio ormai sciolto, nel 1766, quasi a suggello della stagione del «Caffè».
Si trattava di un gruppo di amici, in gran parte rampolli aristocratici, che a partire dall’inverno 1761-62 presero l’abitudine di riunirsi informalmente in una stanza al pian terreno di un palazzo sito in Contrada del Monte (oggi via Montenapoleone), nel quale il loro decano – Pietro Verri – viveva nel fastidio di una spigolosa convivenza con la famiglia, governata dall’austera figura del padre, il senatore Gabriele. Con la sola eccezione del trentatreenne Pietro Verri, i membri del sodalizio erano giovani tra i venti e i trent’anni, tutti sostanzialmente accomunati da una condizione di soggezione al potere familiare che per molti di loro risultava particolarmente avvilente. Il venticinquenne Giambattista Biffi, per esempio, il quale durante i primi mesi di attività dell’accademia molto si profuse nel raccogliere materiali che avrebbero in seguito dato alimento ai primi numeri della rivista, nell’estate del 1762 ricevette dai genitori l’ordine di tornare a risiedere nella casa familiare a Cremona e non poté fare altro che eseguirlo a malincuore. Ed anche il ventitreenne Cesare Beccaria, introdotto nella compagnia dall’appena ventenne Alessandro Verri, fratello di Pietro, stava vivendo in quei mesi in una condizione di grave disagio, derivante da aspri contrasti con la famiglia. Applicando le leggi correnti relative all’istituto della patria potestà, su sollecitazione dei genitori il governo l’aveva tenuto infatti per oltre un mese agli arresti domiciliari, allo scopo di scoraggiarne l’intenzione – sgradita alla famiglia – di convolare a nozze con la diciassettenne Teresa Blasco. Ma, scontata la pena, nel febbraio 1761 il giovanotto turbolento s’era sposato lo stesso, mettendo la famiglia di fronte al fatto compiuto. A questo punto il padre l’aveva espulso di casa, precipitando la giovane coppia in una condizione di precarietà e smarrimento, che almeno in parte la compagnia dei membri del sodalizio alleviò. Cesare venne perdonato e riammesso nella casa paterna solo nel 1762, grazie alla buona riuscita di una fantasiosa messa in scena pensata e diretta, allo scopo di piegare l’ostinazione di Beccaria padre, proprio da Pietro Verri.
Ma è quest’ultimo a condensare nella propria vicenda biografica nel modo più esemplare l’implicito tratto comune e distintivo del gruppo che ogni sera, a partire dagli ultimi mesi del 1761, si raduna in casa sua. I membri della Società dei Pugni sono dei ribelli; e lo sono in primo luogo nei confronti del mondo dei loro padri e della cultura invecchiata e convenzionale che rispecchia l’orizzonte mentale di questi ultimi. Pietro ha partecipato alla guerra dei Sette Anni e a Vienna, tra il 1759 e il 1760, in un ambiente cosmopolita, ha avuto il modo di allargare considerevolmente i confini della propria cultura e dei propri interessi. Ma, tornando a Milano, non ha potuto che ripiombare nello «sciocchezzaio domestico» nel quale regna-no il padre Gabriele e lo zio monsignore; esponenti, l’uno
e l’altro, di un tradizionalismo intellettuale che a Pi...

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