Il guscio vuoto
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Metamorfosi di una democrazia

  1. 256 pagine
  2. Italian
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Il guscio vuoto

Metamorfosi di una democrazia

Informazioni su questo libro

Quale avventato e violento pensiero può ridurre i fatti a trascurabili opinioni lasciando campo libero alla dissimulazione, all'autoinganno, alla menzogna deliberata?Un altro ventennio si è chiuso in Italia, forse si è conclusa un'epoca e sarà possibile ridare sostanza alla nostra democrazia, ma le macerie sul campo sono molte. Per avviare la ricostruzione è necessario capire il progetto politico perseguito negli ultimi vent'anni. «È, piaccia o meno, la metamorfosi di una democrazia. Bisogna comprenderla, immaginarne gli esiti e le ragioni, prima di liquidarla con qualche pittura pigra o stereotipo antico».Contro vento disseppellendo l'accaduto. Così lavorava Giuseppe D'Avanzo, le cui inchieste figurano tra i capolavori d'un quarto potere virtuoso.Franco CorderoGiuseppe D'Avanzo, fra i più lucidi e coraggiosi giornalisti italiani, ha individuato con molto anticipo i meccanismi utilizzati dal potere per portare alla deriva la nostra democrazia: la trasformazione del linguaggio politico in slogan pubblicitario, lo stravolgimento della Costituzione, la sospensione dello stato di diritto, come accaduto a Genova nel 2001, e l'eccezione che diventa la regola, come a Napoli, in costante emergenza. Ancor di più: D'Avanzo ha colto quella specificità tutta italiana che glorifica l'ingegno talentuoso e non il metodo, la furbizia e non la lealtà, l'inventiva e mai la preparazione, il 'miracolo' e mai l'organizzazione, l'individualità e mai il collettivo.

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Informazioni

Parte seconda.
La macchina fascinatoria

Gli scandali sessuali di Berlusconi non ci raccontano soltanto le abitudini dell’uomo che governa il paese: questi sono fatti suoi. Ci rivelano – e questi sono fatti nostri – come interpreta gli oneri della responsabilità pubblica che ha liberamente scelto di accettare; qual è la sua idea di potere; quale maligno ruolo ha la menzogna nello “Stato spettacolare” che egli anima.
Nel dispositivo del suo sistema politico, la menzogna ha un primato assoluto e una funzione specifica. È distruttiva, creatrice e punitiva allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà. Creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con scene di cartapesta. Punitiva della reputazione di chi, per ostinazione o dignità, non occulta i “duri fatti”, la sua testimonianza, il suo dissenso.

La macchina fascinatoria e l’inemendabilità dei fatti

Il regime di Berlusconi è ipnotico. Combina l’agenda del governo come se fosse un palinsesto televisivo. Le necessità e le urgenze nascono, come nella performance di un illusionista, in un mondo di immagini, umori, riflessi mentali, paure, odio del tutto artefatti come le emozioni dinanzi alla visione di un film.
Il metodo dovrebbe essere ormai familiare. Qualcuno grida qualcosa, lo grida di nuovo e ancora più forte finché non diventa un mezzo fatto, un quasi fatto. Nel tableau di cartapesta, la memoria deperisce, i fatti si confondono. Nessuno si chiede se siano “fatti” o “quasi fatti”, se abbiano appena un palmo di attendibilità. Il fasullo appare più vero del vero, nel regime ipnotico del mago di Arcore. Il fumo è più concreto dell’arrosto. Con un tramescolio di carte, notizie storte affidate a fedeli e famigli, veleni insufflati in un circo mediatico disposto a enfatizzare e credere, senza raziocinio, a qualsiasi intrigo, paradosso, salto logico, lavorando come fosse un’utile leva anche la sprovvedutezza degli avversari, il mago di Arcore confonde la scena. Anzi, la modella a mano con la sua “macchina fascinatoria”. Mi spiano illegalmente, geme. Vogliono ricattarmi con intercettazioni private, raccolte illegalmente e abusivamente consegnate alle redazioni. L’anatema gli consente di non discutere delle accuse che gli sono mosse. Imperversa, allora, come ossessionato da se stesso e dai suoi fantasmi. Protesta, deplora, minaccia incursioni televisive o requisitorie parlamentari. La pantomima lo autorizza a chiedere alle Camere genuflesse una nuova legge cucita per la sua silhouette. Si sente abilitato a pretendere dal Capo dello Stato di riconoscere l’urgenza costituzionale di un decreto legge che di necessario ha soltanto la sua personale ansia di impunità.
La politica di Arcore finora è stata soprattutto arma psicologica, sapientissimo governo di una macchina del consenso capace di distribuire gesti, parole, discorsi. Inoculare passioni e fobie attraverso format semplificati: «l’uomo del fare», «i comunisti». Ispirare finte idee: «Saremo tutti felici». Fabbricare una scena di cartone: «I successi del governo che non lascia nessuno indietro». Indurre decisioni e, naturalmente, una propensione al voto.
Berlusconi aveva (e ha) il controllo pieno di un efficiente arsenale per affatturarsi il mondo e la realtà. Televisioni pubbliche e private; influenza diretta o indiretta su quotidiani e settimanali; dominio pieno dell’industria dell’intrattenimento che crea miti, stili di vita, desiderio, incantesimi. Indifferente a ogni self-restraint, Berlusconi ha usato quel ferro semiotico senza parsimonia e con calcoli freddi. Là dove c’era il “pieno” del potere (e la sua responsabilità, i suoi doveri, anche la sua sofferenza) è nato un “vuoto” dove tutto – ogni magia, ogni promessa, ogni favola – poteva felicemente trovar posto per durare un solo giorno perché il pubblico è “educato” a dar fede soltanto a «credenze» che possono essere cancellate o sostituite il giorno successivo.
Le tecniche di questa nuova “civilizzazione”, che ha reso indifferente sulla scena politica e nel discorso pubblico la domanda «che cosa accade davvero?», è stata manifesta nel corso del tempo. Il signore tecnocratico-populista scriveva l’agenda dell’attenzione pubblica. I media ubbidienti o gregari (la maggior parte) ne riproducevano l’eco. Discorsi precostituiti pronti all’uso ne assicuravano una “coda lunga”. Infine, maschere salmodianti in assetto variabile, li recitavano come filastrocche all’ora del tiggì.
Bene, la diavoleria non funziona più. Berlusconi è inchiodato su un’agenda che non ha scritto lui, che lo ha sorpreso e ancora lo stupisce. È costretto a inseguire una “realtà” (le feste di compleanno in periferia, le vacanze con le minorenni, l’ossessione per il sesso, le notti a pagamento) che non riesce a cancellare dalla pubblica attenzione. Più il premier si rifiuta di rispondere a legittime domande e all’opinione pubblica per liberarsi delle ombre e delle contraddizioni che oscurano i suoi comportamenti privati, tanto più è chiaro – ora, anche a chi l’ha a lungo negato – che la questione è politica, e il capo di un governo non se ne può sottrarre.

Le dieci domande

«Repubblica» ha chiesto di rivolgere al presidente del Consiglio dieci domande sulle incoerenze e le omissioni di una storia che molti definiscono «di Veronica» o «di Noemi» e nessuno azzarda a definire per quel che è o appare: un “caso Berlusconi”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta ha chiesto due giorni per dare una risposta. Quella risposta non è arrivata. Per non dissimulare, come vuole il nuovo conformismo dell’informazione italiana, ciò che dovrebbe essere chiarito, abbiamo reso pubbliche le domande che avremmo voluto rivolgere al premier: nascono dalle contraddizioni che abbiamo creduto di riscontrare tra le sue dichiarazioni e quelle degli altri protagonisti della vicenda. Vediamole.
Silvio Berlusconi ha detto: «Credo che chi è incaricato di una funzione pubblica, come il presidente del Consiglio, possa accettare la continuazione di un rapporto [con la sua consorte, Veronica Lario] soltanto se si chiarisce chi ha provocato questa situazione» (Porta a Porta, 5 maggio). «Repubblica» concorda con Silvio Berlusconi. È evidente che, nonostante il frastuono mediatico seguito, non si discute di un divorzio o di una separazione, affare privato di due coniugi. Come ha chiaro il premier, la questione interroga i comportamenti di «un incaricato di una funzione pubblica». In quanto tali, quei comportamenti sono sempre di pubblico interesse e non possono essere circoscritti a un ambito familiare. D’altronde, la signora Veronica Lario, nelle sue dichiarazioni del 29 aprile e del 3 maggio, offre all’attenzione dell’opinione pubblica due certezze personali e una domanda.
Le due certezze descrivono, tra il pubblico e il privato, i comportamenti del presidente del Consiglio: «Mio marito frequenta minorenni»; «Mio marito non sta bene». La domanda, posta dalla signora all’opinione pubblica e a chi in vario modo la rappresenta, è invece tutta politica e chiama in causa le pratiche del «potere», il suo modo di essere, che si degrada e si avvilisce pericolosamente quando a rappresentare la sovranità popolare vengono chiamate “veline” senza altro merito che un bell’aspetto e la prossimità al premier. «Quello che emerge oggi, attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte le donne (...). Qualcuno ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell’imperatore. Condivido, quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore» (Ansa, 28 aprile, 22.31).
Silvio Berlusconi ha replicato, a caldo, evocando un complotto «della sinistra e della sua stampa che non riescono ad accettare la mia popolarità al 75 per cento. (...) Tutto falso, nato dalla trappola in cui anche mia moglie purtroppo è caduta. Le veline sono inesistenti. Un’assoluta falsità» (Porta a Porta, 5 maggio). È il primo ingombro che bisogna verificare. Questa storia è soltanto una trappola bene organizzata? È vero, se di complotto si tratta, che nasconde la mano della sinistra e della «sua stampa»?
Il primo quotidiano che dà conto della candidatura di una “velina” alle elezioni europee è «Il Giornale», della famiglia Berlusconi. Il 31 marzo, a pagina 12, nella rubrica Indiscreto a Palazzo si legge che «Barbara Matera punta a un seggio europeo». «Soubrette, già ‘Letterata’ del Chiambretti c’è, poi ‘Letteronza’ della Gialappa’s, quindi annunciatrice Rai e attrice della fiction Carabinieri», la Matera – scrive «Il Giornale» – «ha voluto smentire i luoghi comuni sui giovani che non si applicano e non si impegnano. ‘Dicono che i ragazzi perdino tempo. Non è vero: io per esempio studio molto’». «E si vede», commenta il giornale di casa Berlusconi.
Il secondo giornale che svela «la carta segreta che il Cavaliere è pronto a giocare» è «Libero», il 22 aprile. Notizia e foto di prima pagina con «Angela Sozio, la rossa del Grande Fratello e le gemelle De Vivo dell’Isola dei famosi, possibili candidate alle elezioni europee». A pagina 12, le rilevazioni: «Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore» è il titolo. «Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl» è il sommario. Per «Libero» le «showgirl», che dovranno superare un colloquio, sono ventuno (in lista i candidati a un seggio di Bruxelles, come si sa, sono settantadue). I nomi che si leggono nella cronaca sono: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro, Eleonora e Imma De Vivo e «una misteriosa signorina» lituana, Giada Martirosianaite.
Difficile sostenere che «Il Giornale» e «Libero» siano fogli di sinistra. Come è arduo credere che la fondazione Farefuturo, presieduta da Gianfranco Fini, sia un pensatoio vicino al partito democratico. Il think tank, diretto dal professor Alessandro Campi, vuole «far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione». Coerentemente, critica l’uso di «uno stereotipo femminile mortificante» e con un’analisi della politologa Sofia Ventura avverte che «il ‘velinismo’ non serve». Nell’articolo si legge: «Assistiamo a una dirigenza di partito che fa uso dei bei volti e dei bei corpi di persone che con la politica non hanno molto da fare, allo scopo di proiettare una (falsa) immagine di freschezza e rinnovamento. Questo uso strumentale del corpo femminile denota uno scarso rispetto per le istituzioni e per la sovranità popolare che le legittima». Quando la signora Lario prende (buonultima) la parola per censurare il “velinismo” – e «il ciarpame senza pudore» del potere – non si muove nel vuoto, ma su un terreno già smosso dalle rivelazioni dei giornali vicini al premier e dalle analisi critiche di intellettuali prossimi alla maggioranza di governo.
Questo “caso” non ha inizio con un intrigo, come protesta Berlusconi, ma trova la sua trasparente ragione nella preoccupazione di ambienti della destra per un «impoverimento della qualità democratica di un paese» (ancora la Ventura). Rimosso il presunto «complotto», resta il caso politico, dunque. Un “caso” che diventa anche familiare, quando Veronica Lario scopre che Silvio Berlusconi ha partecipato a Napoli alla festa di compleanno di una diciottenne («Repubblica», 28 aprile). E ancora una volta politico quando la signora, annunciando la sua volontà di divorziare, denuncia pubblicamente i comportamenti di un marito che, «incaricato di una pubblica funzione», «frequenta minorenni», prigioniero com’è di un disagio che minaccia il suo equilibrio psicofisico.
Il presidente del Consiglio ha replicato ai rilievi della signora Lario con due interviste alla carta stampata («Corriere della Sera» e «La Stampa», 4 maggio) e con un lungo monologo a Porta a Porta. In queste tre sortite pubbliche, la ricostruzione degli avvenimenti di cui si discute (la candidatura di giovani donne selezionate per la loro bellezza e amicizia con il premier; il suo affetto per Noemi Letizia, maggiorenne il 26 aprile; la partecipazione alla festa di compleanno; il lungo sodalizio amicale con la famiglia Letizia) ha avuto, da parte di Berlusconi, una parola definitiva, ma o contraddittoria o omissiva.
Berlusconi nega di aver mai avuto intenzione di candidare «soubrette». «Non avevamo messo in lista nessuna ‘velina’» («Corriere della Sera», 4 maggio). Noemi lo chiama «papi». Perché? A chi glielo chiede, replica: « È uno scherzo, mi volevano dare del nonno, meglio mi chiamino papi. Non crede?» («Corriere della Sera», 4 maggio). Berlusconi è più preciso con «La Stampa» (4 maggio): «Io frequenterei, come ha detto la signora [Lario], delle diciassettenni. È una cosa che non posso sopportare. Io sono amico del padre punto e basta. Lo giuro!». È la stessa versione offerta a France2 il 6 maggio. Quando il presidente del Consiglio spiega le circostanze della frequentazione con Noemi Letizia – si tratta di un’antica amicizia di natura politica con il padre, dice – il giornalista lo interrompe per chiedere: «...dunque [Noemi] non è una ragazza che lei conosceva personalmente?». Berlusconi risponde: «No, ho avuto l’occasione di conoscerla tramite i suoi genitori. Questo è tutto».
La versione di Berlusconi è contraddetta in tutti i suoi elementi dalle interviste che Noemi Letizia concede. Noemi così ricostruisce il suo legame affettivo con il presidente del Consiglio: «Mi vuole bene come a un figlia. E anch’io, noi tutti gli siamo molto legati» («Repubblica», 29 aprile). Al «Corriere del Mezzogiorno», il 28 aprile, consegna dettagli chiave. «[Berlusconi, papi] mi ha allevata. (...) È un amico di famiglia, dei miei genitori (...) non mi ha fatto mai mancare le sue attenzioni. Un anno [per il mio compleanno], ricordo, mi ha regalato un diamantino. Un’altra volta, una collanina. Insomma, ogni volta mi riempie di attenzioni. (...) Lo adoro. Gli faccio compagnia. Lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che desidera da me. Poi, cantiamo assieme. (...) Quando vado da lui ha sempre la scrivania sommersa dalle carte. Dice che vorrebbe mettersi su una barca e dedicarsi alla lettura. Talvolta è deluso dal fatto che viene giudicato male, gli spiego che chi lo giudica male non guarda al di là del proprio naso. Nessuno può immaginare quanto papi sia sensibile. Pensi che gli sono stata vicinissima quando è morta, di recente, la sorella Maria Antonietta. Gli dicevo che soltanto io potevo capire il suo dolore. (...) [Da grande vorrò fare] la showgirl. Mi interessa anche la politica. Sono pronta a cogliere qualunque opportunità. (...) Preferisco candidarmi alla Camera, al Parlamento. Ci penserà papi Silvio».
Nel racconto di Noemi c’è la narrazione di un rapporto diretto, intenso con il presidente del Consiglio. Che le fa tre regali per il 16°, 17° e 18° compleanno. Quindi, si può concludere, Berlusconi ha conosciuto Noemi quindicenne. Nel loro rapporto non c’è alcun ruolo o presenza dei genitori. Noemi non vi fa alcun riferimento e non è corretta dalla madre, presente al colloquio con Angelo Agrippa del «Corriere del Mezzogiorno». Berlusconi ha tentato di ridimensionare il legame con la minorenne: «Ho incontrato la ragazza due o tre volte, non ricordo, e sempre alla presenza dei genitori». I genitori non hanno ancora confermato le parole del premier. Durante l’incontro con il giornalista, la signora Anna Palumbo – madre di Noemi – interviene soltanto per specificare le circostanze in cui Berlusconi ha conosciuto suo marito, Benedetto “Elio” Letizia. Dice: «[Berlusconi] ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista. Ma non possiamo dire di più». Noemi non è così evasiva quando affronta una delle questioni decisive per questa storia. È addirittura esplicita. Ella ritiene di poter ottenere da Berlusconi l’opportunità di fare spettacolo o, in alternativa, di essere eletta in Parlamento. Televisione o scranno a Montecitorio. Le aspettative di Noemi, sollecitate dalle attenzioni (o promesse) di Berlusconi, sono in linea con le riflessioni critiche di Farefuturo, il think tank di Gianfranco Fini («Le donne non sono gingilli») e della signora Lario («Ciarpame senza pudore»).
Quando e dove e come si sono conosciuti Berlusconi ed Elio Letizia è un altro enigma di questa storia che raccoglie versioni successive e contraddittorie. A Varsavia Berlusconi dice di aver partecipato alla festa per un atto di affetto nei con...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione di Franco Cordero
  2. Prologo. La neolingua del potere
  3. Parte prima. La Costituzione forzata
  4. Parte seconda. La macchina fascinatoria
  5. Parte terza. Infangare, delegittimare, distruggere
  6. Parte quarta. Lo stato di eccezione
  7. Parte quinta. Lo stato di eccezione permanente: Napoli
  8. Epilogo
  9. Fonti