1. Porte aperte ai boss in azienda
Rob de matt! Ma ’ndoü el va quel terùn lì...? La signora Galbusera e la sua collega Redaelli avevano intuito quasi subito che «in ditta» qualcosa era cambiato. Tutto era cominciato il giorno in cui erano comparsi in ufficio quei tipi mai visti prima, dai modi rozzi e l’italiano malsicuro. Loro, storiche dipendenti della Perego Strade, brianzole a partire dai cognomi, non si davano pace per il fatto che il «signor Ivano», il titolare, si fosse messo con quei calabresi lì. Mica perché erano meridionali, per carità, ma proprio perché da quando c’era quella gente succedevano cose strane. Uno, in particolare, si comportava proprio come se fosse lui il padrone: entrava nell’ufficio del «signor Perego» senza farsi annunciare, senza bussare, manco fosse a casa sua. Rob de matt...
Quel tale, Salvatore Strangio, era stato assunto come geometra, ma si vedeva lontano un miglio che non aveva lo straccio di un diploma. Anzi, quando si parlava di cantieri non capiva un’acca. Proprio nagott, come dicono i laghée della Brianza che si protende verso quel ramo di lago che bagna Lecco. E infatti, poi, è saltato fuori quasi subito che il diploma non ce l’aveva e che la geometria non l’aveva vista neanche col binocolo. Cara grazia se aveva la terza media, quello Strangio lì. E lo stesso per la corte dei miracoli di conterranei che si portava dietro e che aveva invaso la Perego a partire dall’estate del 2008. Uno dopo l’altro erano stati addirittura assunti in sei. E non ce n’era uno che sapesse davvero lavorare.
Che cosa diavolo era preso al signor Ivano, che tra l’altro sembrava pure molto condiscendente, quasi intimidito al cospetto di Strangio e di quell’altro, Andrea Pavone, il pugliese che si dava arie da manager? Perché aveva aperto l’azienda di Cassago Brianza a quei brutti ceffi? È vero, le cose non stavano andando benissimo, da qualche tempo: la situazione finanziaria era pesante e la famiglia Perego stava cercando nuovi sbocchi per rimettere in equilibrio le casse e tenere a bada le banche. Ma era anche vero che gli appalti non mancavano, anzi continuavano a fioccare in tutta la Lombardia e anche fuori dalla regione. Il signor Ivano sapeva muoversi bene con le pubbliche amministrazioni, e ora con l’Expo alle porte faceva già i suoi conti e studiava le strategie per accaparrarsi qualche bella fetta di quella torta milionaria. Possibile, però, che il rilancio del Gruppo Perego passasse proprio da quel gruppo di calabrotti?
Un’estate pericolosa
In effetti qualcosa di molto grosso stava accadendo, a Cassago Brianza: c’erano cose che la signora Galbusera non poteva sapere. E altre che neanche Salvatore Strangio conosceva.
Il momento di svolta è l’estate del 2008, quando nel piccolo mondo di quel pezzo di Lombardia popolato dai Perego, dalle Galbusera e dalle Redaelli irrompe qualcosa – anzi qualcuno – che manda all’aria le vecchie regole dell’economia, del lavoro e della convivenza civile brianzola. L’azienda della famiglia Perego, fondata nel 1991 e rapidamente cresciuta sul ricco mercato lombardo delle costruzioni, del movimento terra e dei servizi all’edilizia, sta navigando in acque difficili ormai da almeno un paio d’anni. Il lavoro non manca, ci sono oltre 60 cantieri aperti, alcuni anche prestigiosi, e ai circa 150 dipendenti della ditta lo stipendio finora è sempre arrivato puntuale. Ma il gruppo creato da Luigi Perego e mandato avanti dai suoi figli sembra essersi arenato nelle secche del credito, con le banche che chiudono sempre di più i rubinetti finanziari e rendono affannosa la competizione sul mercato.
Ivano, modi guasconi e una cresta di capelli biondo-ossigenati, eredita a 36 anni la guida della Perego Strade Srl e inizia subito a giocare con assetti societari, acquisizioni e liquidazioni per mantenere il perimetro del business. Attorno a lui gravitano, più o meno ufficialmente, diversi “consulenti”, fino – appunto – all’estate del 2008, quando la scelta ricade su Andrea Pavone, azzimato quarantaduenne pugliese che da tempo si muove tra Milano e mezza Europa, vantando un curriculum che non contempla alcuna laurea ma inanella una serie di incarichi presso banche, società finanziarie e aziende di vari settori, soprattutto alimentari, come dirigente, consulente o più genericamente procacciatore di affari.
Dalla sua biografia affiorano anche elementi che lui non ama rendere noti, come i precedenti di polizia per minaccia, appropriazione indebita, ricettazione, truffa, falso, insolvenza fraudolenta. Ma, soprattutto, emergono rapporti stretti – almeno a partire dalla prima metà degli anni Novanta – con un mafioso di rango come Rocco Cristello, assassinato il 28 marzo 2008 nell’ambito di una serie di regolamenti di conti interni alla ’ndrangheta calabrese in Lombardia. Nel 1996 i due risultano indagati insieme per un caso di truffa dai carabinieri di Carate Brianza, mentre nel 2001 gli investigatori della squadra mobile di Pesaro e Urbino segnalano ai colleghi di Milano della sezione criminalità organizzata che Pavone ha reimpiegato denaro di Cristello per acquisire quote di società nella grande distribuzione. E nel 2007 alcune intercettazioni telefoniche confermano «un consolidato rapporto interpersonale» tra loro. Amicizie pericolose, quindi, e comportamenti spregiudicati per un manager rampante che sembra avere in tasca la soluzione per fare affari in ogni circostanza.
Quando viene presentato a Ivano Perego, Andrea Pavone è titolare di un ristorante dalle parti di piazza San Babila a Milano. Sa che l’imprenditore edile ha un disperato bisogno di liquidità e gli tratteggia un percorso che sembra convincerlo immediatamente. Il 25 agosto 2008, senza un contratto formale ma con 15 mila euro di compenso mensile più il 40 per cento sugli utili della società, Pavone inizia a prestare servizio alla Perego Strade. Rientrata dalle vacanze estive, la signora Galbusera se lo trova davanti, accompagnato dal titolare in persona che le spiega che da quel momento sarebbe stato Pavone a darle disposizioni. Lui, il nuovo amministratore, non rinuncia a ribadire il concetto con tono autoritario: «Sia ben chiaro, da questo momento tu risponderai solo a me». E Perego si mostra subito molto generoso nei suoi confronti: non soltanto gli consegna l’azienda, ma gli mette anche a disposizione un nuovo parco automobili di lusso e una villa intestata a sua sorella Elena, pagata – secondo le segretarie – 2 milioni di euro con un mutuo. Tutti benefit che non sembrano compatibili con i budget del momento.
La “cura Pavone” parte da un’alchimia: crea una nuova società, la Perego General Contractor (Pgc), alla quale trasferisce formalmente tutti i 150 dipendenti della Perego Strade, e che, nelle sue intenzioni, dovrebbe diventare il nuovo soggetto, libero da passività finanziarie, da muovere sul mercato degli appalti e delle commesse pubbliche e da presentare alle banche. La seconda mossa di Pavone è meno comprensibile sotto il profilo strettamente manageriale: nel giro di poche settimane fa assumere alcuni personaggi che non sembrano avere alcuna credenziale, alcun titolo, alcuna formazione o esperienza documentabile di lavoro. E, altro elemento strano, sono tutti calabresi.
Il primo a comparire alla sede della Perego a Cassago Brianza è Salvatore Strangio, 54 anni, originario di Natile di Careri, provincia di Reggio Calabria, ma che vive da parecchio tempo a Desio, cuore della Brianza. Il suo nome è piuttosto noto agli archivi giudiziari e di polizia: associazione per delinquere, furti, traffico di stupefacenti. Tutto sempre in compagnia di personaggi organici ai clan della ’ndrangheta attivi nel Nord Italia. In questo contesto, nel 1983 Strangio viene coinvolto anche nelle indagini sul sequestro di Giuliano Ravizza, della famiglia dei proprietari della Pellicceria Annabella di Pavia, da cui esce formalmente pulito. Ma i suoi legami consolidati con la rete mafiosa calabrese trapiantata nelle regioni settentrionali sono ben chiari agli investigatori di mezza Italia. Insomma, come scrive il giudice Giuseppe Gennari, «Strangio è personaggio che ha una storia criminale personale di riguardo e che vanta da sempre rapporti di affari, amicizia e frequentazione con individui di nota matrice ’ndranghetista». In quell’estate del 2008, inoltre, risulta il suo legame molto stretto con Andrea Pavone, il manager pugliese che gli apre le porte della Perego assegnandogli un posto da «geometra».
A ruota di Strangio, entrano in azienda anche Pasquale Nocera e Rizieri Cua, suoi fidati guardaspalle e factotum, ai quali Pavone affida incarichi ufficiali che palesemente non sono in grado di svolgere. Quindi arriva Giovanni Barone, che non è calabrese e di solito viene chiamato in causa come liquidatore di società decotte. Anche lui ha qualche precedente penale, anche lui, con la sua inspiegabile presenza, contribuisce a scatenare i dubbi dei dipendenti dell’azienda lecchese. «All’inizio io non avevo capito quale fosse il ruolo di Barone», racconta Chiara Pisano, impiegata della Perego. «In ufficio correva voce che lui fosse un ex finanziere e che quindi avesse la possibilità di accedere a dei siti particolari, almeno così mi fu detto, tant’è che io in un’occasione avevo necessità di recuperare un numero di targa e mi rivolsi proprio a lui, e lui effettivamente mi seppe dare delle informazioni relative proprio a quella targa. Ricordo che si trattava di una pratica di un sinistro che coinvolgeva un nostro camion che aveva avuto un incidente con un’auto. Io, in particolare, chiesi a Barone, dandogli il numero di targa, se lui poteva vedere a chi appartenesse quell’auto. In un’altra occasione ricordo che chiesi a lui informazioni su una patente per verificare se fosse o meno autentica. Lui entrò in un sito, non so dire dove, come e perché, e mi diede l’esatta indicazione rispetto al documento, cioè che si trattava di un documento genuino. Per quanto riguarda la posizione di Barone, soltanto in un secondo momento seppi che era il liquidatore della Perego Strade».
Ma non è solo l’imprecisato ruolo di Giovanni Barone a sconcertare il personale dell’azienda. Tutte le addette all’amministrazione e alla segreteria parlano di presenze «strane» a partire dall’estate 2008. «Quando Strangio o, per esempio, Nocera venivano negli uffici andavano direttamente da Pavone – spiega la stessa signora Pisano agli investigatori dell’antimafia di Milano –, si fermavano nell’ufficio di Pavone per due o tre ore e io, per quello che ho visto per un periodo lungo, avevano un rapporto con Pavone molto stretto, molto confidenziale. E tutto questo mi apparve strano perché, lo ripeto, sia Strangio sia Nocera sia Cua erano persone che improvvisamente erano comparse negli uffici della Perego». Quindi aggiunge altri particolari: «Per i primi mesi sono rimasti lì in azienda a non fare nulla, nel senso che, come ho già detto, venivano tutti i giorni in ufficio, parlavano con Pavone e poi se ne andavano. Successivamente, se non ricordo male verso maggio 2009, la signora Elena Perego li ha assunti con la qualifica di geometra, Strangio e Nocera, non mi ricordo se anche Cua. Devo precisare che da subito Strangio, e successivamente Nocera e Cua, venivano in ufficio, parlavano con Pavone, dopodiché andavano a fare un giro nei cantieri. Le ragioni per le quali facevano questo giro per cantieri io non le so, anche perché, per quello che io sapevo, era Ivano che aveva il compito di fare il giro dei cantieri e, almeno per quello che ho potuto constatare, queste persone non avevano nessuna competenza specifica, perché si diceva in ufficio che quando furono assunti come geometri non avevano il diploma specifico e quindi tutti si erano meravigliati di queste strane assunzioni».
Davvero bizzarri i movimenti di quei calabresi. Di Salvatore Strangio in primo luogo, come spiega un’altra impiegata, Annalisa La Porta: «L’atteggiamento che ho notato e che mi ha subito colpito, è che Strangio si poneva nei confronti dell’azienda, pur non avendolo mai visto prima, come se fosse il titolare. Mentre tutti gli altri, per esempio fornitori, clienti, autotrasportatori e altri dipendenti, prima di poter colloquiare con il Perego oppure con il Pavone dovevano fare anticamera, o essere annunciati tramite centralino, Strangio, come arrivava, andava direttamente da Pavone o, quando c’era, da Perego senza farsi annunciare, con l’aria appunto di essere lui il padrone del posto». Ma anche gli altri falsi geometri destano come minimo qualche perplessità: «Anche Nocera è stato assunto con la qualifica di geometra, è stato appena due giorni in ufficio, anzi doveva aiutarmi a controllare i rapportini rispetto ai prelievi di gasolio e cose del genere, ma era incapace perché si vedeva che non aveva mai svolto un lavoro del genere, dopodiché insieme a Strangio andava sui cantieri, almeno così mi è stato riferito dagli operai e dagli autisti».
Che cosa andava a fare Salvatore Strangio nei cantieri della Perego? Lo spiega bene Alice Galbusera: «Io non so dire con esattezza quale fosse il compito di Strangio, sicuramente non mi sembrava competente in materia di cantieri, e questo l’ho potuto constatare personalmente perché, ogni qualvolta Perego mi diceva di rapportarmi a lui per questioni inerenti ai cantieri, capiva poco di quello che dicevo o gli chiedevo. Quello che posso dire con certezza, per averlo vissuto lavorando in azienda, è che spesso Strangio veniva utilizzato per dirimere delle liti o discussioni che si verificavano nei vari cantieri, tipo se c’erano delle contestazioni di avanzamento lavori o cose del genere. Mi è capitato di sentire delle telefonate tra Ivano Perego e interlocutori che ovviamente non sapevo chi fossero, persone che dalle risposte di Perego capivo che non erano d’accordo sulla quantificazione dello stato di avanzamento lavori e Perego, urlando, diceva: “Ora mando Strangio che riuscirà a risolvere la situazione”». E la veterana dipendente dell’impresa di costruzioni di Cassago Brianza aggiunge altri dettagli: «Di tanto in tanto sui cantieri venivano utilizzati escavatori di cui non capivo la provenienza e che poi scoprivo essere stati portati direttamente da Strangio. Ricordo a tale proposito che Pavone mi faceva compilare delle scritture private in riferimento a contratti di noleggio degli escavatori. Voglio specificare che io venivo a conoscenza della presenza sul cantiere di questi escavatori non perché Pavone mi forniva i dati al fine di regolarizzare il rapporto tramite un formale contratto di noleggio, ma perché, parlando con le altre dipendenti della Perego che redigevano i rapportini relativi ai mezzi presenti sui cantieri, di tanto in tanto venivano indicate targhe che apparivano strane in quanto non inserite nell’ambito del parco mezzi della Perego. A quel punto io personalmente mi preoccupavo di evidenziare la necessità di regolarizzare il rapporto tramite un formale contratto di noleggio, e rappresentavo questa esigenza io a Pavone, il quale a questo punto mi diceva di predisporre un contratto, senza dare molta importanza alle cose. In sostanza sembravo più io preoccupata di sanare una situazione di irregolarità piuttosto che chi di fatto svolgeva le funzioni di amministratore del gruppo».
Dunque Strangio, assunto come geometra, agisce all’interno della Perego nel duplice ruolo di risolutore di controversie e di fornitore di mezzi d’opera, attraverso una sua società, la S.a.d. Building. E per queste prestazioni viene pagato in tempi sorprendentemente rapidi. Come ricorda la signora Redaelli: «Tra noi impiegati appariva anomalo il rapporto che legava Strangio e Pasquale ai Perego e a Pavone, anche perché, mentre gli altri fornitori venivano pagati anche in ritardo, loro avevano la precedenza su tutti».
I soci
Perché tutto questo? Le lavoratrici della Perego non riescono a darsi una spiegazione. E non possono sapere che la riorganizzazione aziendale avviata da Andrea Pavone non si limita alla creazione della Perego General Contractor e al reclutamento della squadretta di “geometri” calabresi, ma passa anche attraverso un terzo passo molto importante. Anzi clamoroso, considerando la storia dell’azienda, tutta familiare e molto radicata al territorio. Dopo che in un primo momento la Pgc coinvolge come soci proprietari gli stessi fratelli Perego e le loro varie società, nel giro di soli tre mesi l’impresa cambia composizione più volte, fino a coinvolgere, nel dicembre 2008, due fiduciarie – Carini Spa e Comitalia compagnia fiduciaria Spa – che insieme controllano il 49 per cento del capitale sociale e che di fatto agiscono da schermo per i veri proprietari. E chi sono i nuovi soci di Perego, cooptati da Pavone e nascosti dietro ai nomi di quelle fiduciarie? La quota del 39 per cento della Carini rimanda direttamente ad Andrea Pavone e a Salvatore Strangio, mentre il 10 per cento della Comitalia è riconducibile a un certo Fabrizio Brusadelli, prestanome di Rocco Cristello.
Quindi la Perego, l’azienda familiare tutta lombarda, è in realtà una società partecipata dalla ’ndrangheta. Da due clan: quello di Strangio e quello dei cugini di Cristello, che ...