
- 208 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Dove si incontrano l'anima e il corpo, l'arte e l'emozione? Una nuova disciplina, all'incrocio tra scienza e filosofia, prova a rispondere unendo i saperi tradizionali e le sofisticate tecnologie delle neuroscienze: la neuro estetica si propone di comprendere insieme le opere e il cervello, le forme artistiche e le risposte viscerali, e afferma che l'uomo è plastico e metaforico perché il corpo non è la tomba bensì la culla dell'anima. Si inaugura così una preziosa linea di indagine candidata a riassorbire l'infelice separazione tra cultura e natura.
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FilosofiaCategoria
Estetica in filosofia1. Lavori in corso
Tra il 1504 e il 1507, all’Ospedale di Santa Maria Novella a Firenze, Leonardo da Vinci iniettò cera fusa in un campione di ventricoli cerebrali, per riportarne il calco e disegnarne con precisione le circonvoluzioni impresse sulla cera. Da allora l’arte e la scienza hanno preso strade diverse. La loro distanza dipende non tanto dal ruolo che vi giocano l’immaginazione e la logica della creazione o della scoperta – né dalla diversità degli strumenti, di pennello e microscopio –, quanto piuttosto dal modo in cui sono recepite e studiate, e dall’accoglienza che è loro riservata. James Elkins lo chiama «il problema della matita»1: chi affronta un saggio letterario, il resoconto di uno scavo archeologico, una critica d’arte, può leggere di filato, abbandonandosi al ritmo della narrazione; il lettore di un testo scientifico deve invece svolgere in prima persona gli esperimenti e le formule proposte. Finisce così che, se chiediamo a umanisti pur eccelsi che cosa sia la seconda legge della termodinamica, riceviamo una risposta risentita che ne rivendica l’ignoranza. Lo raccontava Charles Snow nel 1963, senza omettere come gli ingegneri – inglesi! – considerassero il tentativo di leggere Dickens un obolo più che sufficiente da pagare alla cosiddetta cultura. Ne nacque Le due culture, un testo che ragiona della contrapposizione tra umanisti e scienziati e della loro reciproca diffidenza. Snow vi si faceva portavoce di un’opinione diffusa: ancora oggi viene citato da chi cerca di superare tale divario, quasi a memento della qualità della nostra impreparazione.
Giulio Preti in Italia gli ha obiettato nel 1968 che il problema non è però la ricezione della cultura, e che l’opposizione tra umanisti e scienziati non è antropologica; dipende invece da «due diverse scale di valori, due diverse nozioni di verità , due diverse strutture del discorso»2. Due forme di sapere, due stili di linguaggio alternativi, due modi di mettere in comune l’esperienza, se non due territori di libertà intellettuale fra loro lontani, da cui si accede a saperi che si presentano – appunto – come eterogenei, rispondendo a distinte condizioni di pensabilità : è la separazione tra «scienze della natura» e «scienze dello spirito» che regola la cultura europea a partire dall’Ottocento fino a un passato molto prossimo, quasi a ieri. Le espressioni sono canonizzate nel 1883 da Wilhelm Dilthey, che nel suo contrattacco al positivismo scrive: «Finché nessuno affermerà d’esser capace di dedurre quell’insieme di passione, di creatività poetica, di pensiero inventivo che chiamiamo vita di Goethe dalla conformazione del cervello o dalle proprietà del corpo di Goethe, e di rendere così quell’insieme meglio conoscibile, la posizione autonoma di una siffatta scienza [dello spirito] non sarà contestata»3.
Goethe è con Hegel lo spartiacque dopo il quale, secondo Ernst Cassirer, la crisi in cui si trovano scienza e filosofia si esprime con chiarezza proprio nel rapporto che si è stabilito tra scienze della natura e della cultura. L’origine di questa separazione – le prime sono incapaci di produrre senso, le seconde di produrre significato – si può rintracciare nella fatticità delle scienze positive che nella Crisi delle scienze europee Husserl, senza metterne in dubbio i successi, riconduce alla mossa con la quale Galileo ha matematizzato la natura; dopo di lui la scienza procede costruendo modelli, non necessariamente unici – si pensi alla convivenza di geometria euclidea e non euclidea –, che danno vita a una lunga catena di verifiche particolari per le ipotesi via via avanzate: si formano così quelle mere «scienze di fatto» che creano meri «uomini di fatto», mentre la filosofia si ritrova spossessata di un metodo per rintracciare una verità certa.
Questa «disanima» delle scienze, in cui ben si esprimerà l’opposizione di mente e corpo definita da Cartesio, è ciò che – ironicamente – proprio le neuroscienze mettono ora in dubbio: la razionalità in quanto tale è emotiva, il pensiero logico dell’uomo che pensa, vuole e sceglie è incarnato. Una ragione pura, astratta dalla materialità del corpo e dell’ambiente naturale e sociale, priva di contraddizioni, impermeabile alle sollecitazioni di emozioni e contesti, produrrebbe secondo il neurobiologo Antonio Damasio un’intelligenza patologica e strategie di vita incoerenti: «La strategia fredda sostenuta da Kant (fra gli altri) ha molto più a che vedere con il modo in cui pazienti colpiti da lesioni prefrontali si adoperano per decidere, che con il modo di operare dei soggetti normali»4. Occorre allora, è lo scienziato a parlare, «esplorare quali siano le connessioni fra neurobiologia e cultura»5.
Non che gli umanisti abbiano mai finto che il mondo fosse abitato da angeli, né lo pensava Dilthey: «La vita spirituale di un essere umano è una parte, isolabile solo per astrazione, dell’unità vivente psicofisica in cui si configura un’esistenza e una vita umana»6. In un mondo ormai scisso, il contrasto non dipende però più dalle condizioni effettive dell’esistenza, quanto dal punto di vista con cui si guarda la vita: empirico per le scienze della natura, trascendentale per quelle dello spirito. La fatticità materiale che individuano le prime e l’attività spirituale che colgono le seconde sono tra loro incommensurabili.
Tale incommensurabilità non è figlia né della rivoluzione scientifica né di quella industriale, come vorrebbe Snow. In essa sembra invece esprimersi un nucleo polemico originario – di cui Galileo e Cartesio sono un’importante espressione – che a diverso titolo ha dato il ritmo al sapere occidentale, all’alternarsi delle domande, delle sfide, delle scuole. Il duello è antico e molti sono i duellanti. Cominciarono Platone e Aristotele. Nella celeberrima Scuola di Atene, Raffaello raffigura il primo mentre indica con un dito alzato il cielo e le forme immutabili del sapere e della verità , e il secondo glielo pone accanto mentre avanza col braccio abbassato e la mano aperta a imitare l’estensione della terra che quasi accarezza come fonte e oggetto della conoscenza. Una variazione della disputa sarà nel Novecento quella tra i «rigorosi» analitici, amministratori di un linguaggio astratto e logico, e i continentali, pensatori «vaghi» del vissuto in prima persona. Una contrapposizione che evoca la lontana querelle secentesca tra il partito dei Moderni, investigatori, critici e progressisti, e quello degli Antichi, eruditi, studiosi delle passioni e conservatori.
Questo conflitto, che pur assume talvolta un sapore mitologico, è tuttora vivo e all’opera. Lo ritroviamo, sotto forma di contrasto epistemologico, nel dialogo che il neurologo Jean-Pierre Changeux e il filosofo Paul Ricoeur hanno tentato nel 1998, convinti che «il fossato che istituzionalmente separa le scienze della vita dalle scienze umane e sociali è catastrofico»7. Partendo dal dualismo semantico e ontologico dei due fronti del sapere, che si esprimono nell’antagonismo mente/corpo, oggi definito mind-body problem, Changeux si chiede però «in che misura si può radicare il normativo nell’evoluzione biologica e nella storia culturale dell’umanità »8, mentre Ricoeur preferisce parlare «di una ricerca di adeguamento tra un sapere in evoluzione e un’esperienza molto più evoluta di questo sapere»9, ed ecco risuonare la polarità di nomotetico e idiografico, universale e particolare, oggettivo e soggettivo, ripetibile ed eccentrico: scientifico e umanistico, di nuovo. Che entrambi gli studiosi individuino nell’arte il punto di sintesi è indizio di un problema, non di una soluzione.
Certo, la storia del pensiero è fatta di smottamenti carsici tanto quanto di battaglie campali, come quelle in cui nel Novecento l’ermeneutica vince contro il positivismo in Francia, ma il neopositivismo batte l’ermeneutica negli Stati Uniti... Tutta l’economia dei termini «precursore» ed «epigono» testimonia come il ritmo del sapere sia assai più pendolare – anche all’interno di uno stesso autore – che progressivo. Kant nel 1786, cinque anni dopo la prima edizione della Critica della ragion pura, scrive che per orientarmi nello spazio buio di una stanza ho bisogno del «sentimento di una differenza nel mio proprio soggetto, vale a dire la differenza tra mano destra e mano sinistra»10, e specifica che è per analogia con questo sentimento soggettivo della distinzione che la ragione trova spazio per un oggetto da intuire, quando non trova l’oggetto concettualmente definito. Gli studi del barone Jakob Johann von Uexküll, biologo e studioso del comportamento animale, e la loro ricezione sono un esempio emblematico di tale movimento del pensiero: saranno menzionati da Martin Heidegger, padre dell’ermeneutica, che di lui ricorda le «riflessioni di principio biologico-geologiche»11, mentre Merleau-Ponty li leggerà in chiave anticartesiana nelle lezioni sulla natura, e Gilles Deleuze in Spinoza. Filosofia pratica, un lavoro dedicato al filosofo prediletto da Damasio, ricorderà il barone per avere studiato il mondo degli animali sotto la categoria dell’«affetto».
Topica è d’altra parte già la figura di Galileo. Perché Galileo Galilei ignora scientemente la prima legge di Keplero per la quale il sistema planetario è eliocentrico, le orbite sono ellittiche – e non circolari – e il Sole è uno dei due fuochi? Perché, spiega lo storico dell’arte Erwin Panofsky in Galileo critico delle arti, sceglie il cerchio rinascimentale contro l’ellissi manieristica, come predilige l’Ariosto di contro al Tasso, l’immagine chiara contro l’anamorfosi; non solo: considera circolari i movimenti delle ossa del corpo umano, contrariamente a Keplero che ragionava sulla direzione rettilinea dei movimenti dei muscoli. Galileo – disegnatore di talento – ha su ciò la stessa posizione di Leonardo nel Trattato sulla pittura mentre nega i contributi del collega astronomo. Panofsky mostra bene come tanto l’accettazione delle ellissi da parte di Keplero quanto il loro rifiuto da parte di Galileo dipendessero da preferenze culturali a priori: Galileo è sì più quantitativo e meno animistico di Keplero, più moderno, ma infine agisce in lui una preferenza stilistica.
Un tentativo di dare un resoconto ordinato di tale dinamica polemica semplifica, dunque, e forza la questione: il primo abbozzo di una teoria del neurone non è forse di Freud, padre della psicoanalisi, che aveva iniziato come neurobiologo, pubblicando studi sul sistema nervoso e progettando un metodo istologico per la colorazione delle sue vie?12 Paul Feyerabend, filosofo della scienza, non si è basato sulla Industria artistica tardoromana di Alois Riegl per sostenere come tanto l’arte quanto la scienza si sviluppino secondo stili?13
La matassa è aggrovigliata, e se è vero che ci sono lavori che tentano di fare da ponte, ciò che accade per lo più è che la scienza spiega l’arte, nel senso in cui la teoria dei colori di Chevreul spiega La Grande Jatte di Seurat, o l’arte spiega la scienza, come nella storia delle raffigurazioni anatomiche. Potrebbe essere utile decidere se guardare alla storia delle discipline o invece al mondo che le discipline descrivono, ma subito verrebbe sollevata la ragionevole obiezione che non esiste nessun oggetto di discorso indipendente dal discorso al cui interno se ne discute.
La partita resta dunque aperta, e tuttavia negli ultimi anni il regime del sospetto diffuso si è attenuato di molto e lo scontro si è fatto amichevole. Gli scienziati riflettono numerosi sulle arti, e l’attenzione che «il resto del mondo» rivolge alla scienza è ampia – si pensi al successo dei festival che le sono dedicati –, e non generica. Sono le scienze del corpo a sedurre sempre più: la medicina e le neuroscienze. Se ER, CSI Las Vegas, Dr. House sono gli attuali teatri di anatomia, 3 libbre – il peso medio di un cervello umano – apre il mondo della neurologia allo spettatore televisivo; sono telefilm che ci dicono di una curiosità diffusa, paradossalmente un po’ magica, e forse di un’ansia latente: dov’è l’essenza intima dell’uomo, la mia, quella di chi amo?
Come un meridiano di Greenwich, il prefisso «neuro» scandisce così molto del sapere contemporaneo, e forse si deve ammettere un neuro turn. Non si spiega altrimenti perché nel 2007 i laboratori Lancôme abbiano deciso di pubblicizzare una ricerca svolta in collaborazione con l’Università della California con il nome di battaglia di «neurocosmetica», mentre l’anno prima potevamo leggere nell’allegato di un quotidiano un articolo intitolato Un lifting ai neuroni?, in cui si suggeriva una ginnastica per tenerli in forma: la «neurobica»14. La prima rivista non specializzata che pubblicò, con lo scetticismo degli inizi, alcune immagini di una PET del cervello, analoghe a quelle cui siamo ormai abituati, è stata l’edizione americana di «Vogue»15: era il 1983 e le modelle avevano i capelli cotonati. Dettagli di culinaria della cultura, forse, ridondanza di parasaperi. O forse indizi di una «neurocultura»16, secondo la definizione che troviamo in un articolo su «Nature» del 2008, dedicato a un festival di neuroestetica, il Brainwave Festival di New York. Una neurocultura che traduce e aggiorna, in una direzione ancora incerta, l’antagonismo tra le due scienze, la tensione tra l’ineffabilità delle espressioni dell’anima e la – presunta – oggettività del corpo. Non è per caso che Leonardo è un’icona dei nostri giorni, come il mostruoso Frankenstein, il meccanico Terminator e l’innocente pecora Dolly.
Questo elemento di interpolazione del materiale sensibile e immaginativo in cui l’artefatto e il corpo proprio del vivente si confondono, accennando a un tratto sintetico, è lo sfondo sul quale tra il 1994 e il 1995 si staglia la pubblicazione di tre testi dedicati all’arte, i cui autori hanno maggior frequentazione con i quesiti posti dallo studio del cervello di quanto non ne abbiano con le opere: sono i neuroscienziati Semir Zeki, in Inghilterra, Changeux in Francia e Lamberto Maffei con Adriana Fiorentini in Italia. Si conoscono per i lavori precedenti, ma qui le ricerche, pur concomitanti, sono autonome. A loro si accompagna, ancora nel 1994, Damasio negli Stati Uniti, il cui L’errore di Cartesio non è propriamente un testo rivolto all’arte, ma sarà ampiamente utilizzato, quasi in modo applicativo, da teorici e storici, senza che quest’uso fraintenda lo spirito del lavoro: direttore del Brain and Creativity Institute della University of Southern California, Damasio confesserà che il sogno suo e di sua moglie Hanna, neuroscienziata come lui, è «trovare il modo di applicare all’arte la nuova scienza della mente e del cervello che sta emergendo dalla neurobiologia»17.
Il 1994 è dunque l’anno di avvio della neuroestetica, ovvero di una «neurologia dell’estetica» che consenta di comprenderne «le basi biologiche», come la definirà Zeki, per il quale «siamo all’inizio di una grande impresa»18. Lamberto Maffei, che come Zeki parla di «cervello visivo», si pone in una prospettiva analoga, scrivendo che neurofisiologia e neuropsicologia «non offrono soluzioni, ma pongono le basi per avanzare ipotesi, [...] per colmare il fossato tra conoscenze scientifiche e arti visive»19. È l’inizio di un lavoro cui dà un contributo importante anche Vilayanur S. Ramachandran, che qualche anno dopo, nel 1999, propone una «teoria neurologica dell’esperienza estetica»20, e nella pubblicazione delle conferenze tenute nel 2003 per un ciclo di Reith Lectures annunciava l’uscita di The Artful Brain. Lo spirito pionieristico di queste prime ricerche è forte, ed è condiviso anche da Changeux, il quale invita a «proseguire sulla strada intrapresa da Gombrich attraverso una riflessione sulle eventuali basi neuronali del piacere estetico e della creazione artistica da una parte, e dall’altra sull’evoluzione della pittura»21.
Il riferimento a Ernst Gombrich è significativo; lo storico dell’arte è infatti, insieme a Rudolf Arnheim, un riferimento importante di questo ambito di studi, che se da un lato – ed è l’aspetto principale – nasce come sviluppo delle neuroscienze in un settore per loro ancora ignoto, dall’altro tiene a collocarsi sulla scia dei lavori di psicologia, in particolar modo della Gestaltpsychologie, sviluppatasi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, tenendo conto della loro influenza nel campo della storia dell’arte e dell’estetica, in particolare delle arti visive, nonostante musica e letteratura godano di grande attenzione22. Questa ambizione a iscriversi all’interno di una storia culturale contrasta tuttavia con il carattere dei contributi che le neuroscienze stanno proponendo.
Le scoperte e le ipotesi di lavoro che emergono attingono infatti all’esperienza in prima persona che gli scienziati fanno nei loro laboratori come nelle gallerie, alla cronaca dei seminari, dei convegni e delle pubblicazioni – prevalentemente su riviste di lingua inglese –, testimoniando quanto ci sia ancora da esplorare. Gli autori di tale letteratura, troppo giovane per aver subito il vaglio del tempo e della cernita critica, sono prevalentemente scienziati che pubblicano, spesso a più firme, i risultati degli esperimenti condotti in centri di ricerca. Non solo buone domande, allora, ma anche spesso risposte efficaci: questo dato di realtà è fondamentale per un settore basato in ampia misura su esperimenti di laboratorio sofisticati e costosi, per i quali si devono ottenere finanziamenti, privati o pubblici che siano.
È un modo di produzione e diffusione del sapere molto lontano da quello degli storici, anche dell’arte, dei filosofi e degli studiosi di estetica, che solo da poco stanno infatti iniziando a prendere la parola: lavoratori per lo più solitari che siedono alla scrivania affrontando oggetti mentali il cui ...
Indice dei contenuti
- 1. Lavori in corso
- 2. Neurocritica dell’arte: dalle lesioni all’opera
- 3. Neuroestetica: leggi, corpi e fantasmi
- 4. Neurostoria dell’arte: lo storico artista
- 5. Il corpo invisibile dell’immagine
- 6. Il cervello artista: i neuroni specchio
- 7. Lavori al bivio
- Note
- Bibliografia
- Sitografia