V. Tradizione coloniale,
guerra totale e genocidio
1. Guerra totale e manipolazione totale
Si comprende l’interesse tutto particolare degli ambienti conservatori tedeschi a scrollarsi di dosso il peso dell’infamia di Auschwitz: la Germania deve poter ridiventare, per dirla con Franz Joseph Strauss, «una nazione normale» e «camminare di più a testa alta». La via più semplice per conseguire tale obiettivo è quella di negare la realtà del genocidio. Non bisogna immediatamente gridare allo scandalo. Fra le vittime più illustri dalla Seconda guerra dei Trent’anni è da annoverare la Verità. Certo, da sempre i conflitti sono stati accompagnati da tentativi di diffamazione del nemico e dalla sapiente costruzione di una propaganda intessuta anche di menzogne. Si tratta di un’arma utilizzata in particolare contro i gruppi etnici considerati estranei alla civiltà. La stigmatizzazione dei «barbari» ha luogo anche mediante il rinvio alle loro pratiche «atroci». In America i pellerossa vengono dipinti in modo tanto più ripugnante quanto più spietata procede la loro cancellazione dalla faccia della terra. La guerra discriminatrice e di annientamento contro le popolazioni coloniali, esterne o interne alla metropoli, viene giustificata mediante la loro disumanizzazione, conseguita grazie all’invenzione pura e semplice di «atrocità» ovvero grazie alla dilatazione e alla lettura unilaterale di atrocità realmente commesse. In questo contesto può essere inserita la stessa leggenda dell’omicidio rituale per secoli attribuito agli ebrei, a suggello della loro irrimediabile estraneità alla civiltà in quanto tale.
Nella misura in cui l’inasprimento dei conflitti tra popoli «civili» comporta l’espulsione dalla comunità civile del nemico, ecco che contro di lui si fa ricorso a un’arma tradizionalmente riservata alla lotta contro i «barbari». È così che procedono le due parti belligeranti, e soprattutto il Nord, nel corso della guerra di Secessione. Ma è nel nostro secolo che assistiamo ad un salto di qualità. Assieme alla produzione industriale e su larga scala della morte, fa la sua apparizione la produzione industriale e su larga scala anche delle menzogne o delle mezze verità destinate a criminalizzare il nemico e a distruggerne l’immagine. Già la guerra ispano-americana, che chiude il diciannovesimo e inaugura il ventesimo secolo, viene preparata ideologicamente, da parte degli USA, mediante la diffusione di «notizie», inventate di sana pianta, che bollano gli spagnoli in quanto responsabili di aver ucciso prigionieri inermi e massacrato 300 donne cubane. Ad un’ulteriore scalata si assiste nel corso del primo conflitto mondiale. Pur sviluppata da entrambe le parti, la campagna di diffamazione registra abbastanza presto il netto prevalere dell’Intesa:
Le denunce occidentali di atrocità tedesche cominciarono con la violazione della neutralità del Belgio da parte dei tedeschi nell’agosto 1914. I tedeschi – si disse – avevano violentato donne e perfino bambini, impalato e crocifisso uomini, mozzate lingue e seni, cavato occhi e bruciato interi villaggi. Queste notizie non venivano pubblicate soltanto in giornali scandalistici ma portavano anche la firma di famosi scrittori, da John Buchan e Arthur Conan Doyle ad Arnold Toynbee, per citare solo qualcuno. Questa propaganda continuò per tutto il 1914 e il 1915, diminuì un po’ d’intensità nel 1916, ma raggiunse un nuovo culmine nell’aprile 1916 quando la stampa britannica cominciò a pubblicare notizie e commenti sull’uso dei cadaveri dei soldati, da parte dei tedeschi, per la produzione di lubrificanti come glicerina e sapone. Inoltre, probabilmente a beneficio della Cina e dei paesi musulmani, si aggiunse che dai cadaveri si otteneva anche cibo per maiali.
C’erano in effetti in Germania simili impianti (Kadaververwertungsanstalten) ma vi si trattavano cadaveri di animali e non di esseri umani. Comunque tali notizie non rappresentavano un’eccezione; perfino autorevoli giornali come il Financial Times pubblicavano resoconti secondo i quali lo stesso Kaiser aveva ordinato di torturare bambini di tre anni e aveva personalmente specificato quali torture dovevano essere eseguite. Il Daily Telegraph riferì nel marzo 1916 che gli austriaci e i bulgari avevano ucciso 700.000 serbi usando gas asfissianti.
A metà degli anni Venti, intervenendo alla Camera dei Comuni, il ministro degli esteri inglesi, Austen Chamberlain, ammette che «la storia della fabbrica di cadaveri era priva di fondamento». Oggi sappiamo che le testimonianze, le dichiarazioni, le immagini, i fotogrammi che documentano le atrocità della Germania guglielmina, tutto ciò è il risultato di una sapiente manipolazione, cui fornisce il suo bravo contributo la nascente industria cinematografica americana, la quale gira nel New Jersey le scene sul comportamento efferato e barbaro delle truppe guglielmine in Belgio! Danno soprattutto da pensare due particolari delle «atrocità» attribuite ai tedeschi. Quello delle donne stuprate e dei seni mozzati ci riconduce alle rappresentazioni con cui in America l’ideologia ufficiale cercava di stimolare al tempo stesso le «ansie sessuali e razziali» nei confronti degli indiani. Ci sono poi gli uomini «crocifissi»: è come se ora la pratica di omicidio rituale venisse attribuita ai tedeschi. Su di loro comincia inoltre a pesare, già dal primo conflitto mondiale, un sospetto ancora più grave. Secondo Bergson, in quanto «razza eletta», la «razza germanica» riserva solo a se stessa «il diritto assoluto alla vita». Al più «tollerate» in periodo di pace, «le altre razze» sono destinate a subire l’«annientamento» in tempo di guerra. La Germania «non se la prenderà solo coi combattenti: essa massacrerà le donne, i bambini, i vecchi; essa saccheggerà, incendierà. L’ideale sarebbe di distruggere le città, i villaggi, l’intera popolazione». Come si vede, l’accusa di genocidio viene qui dedotta a priori dall’ideologia attribuita alla Germania guglielmina e anzi eterna.
Si comprendono allora gli argomenti del revisionismo storico ovvero del cosiddetto «negazionismo». Perché non dovrebbe essere un mito anche lo sterminio sistematico degli ebrei attribuito al Terzo Reich? Ci troviamo in presenza di una nuova e più accurata formulazione dell’accusa ai tedeschi rivolta di omicidio rituale, che consuma l’Olocausto di un popolo consacrato dalla Bibbia? Vediamo chi sono i principali accusatori della Germania. In quanto esponente dell’amministrazione Wilson, Franklin Delano Roosevelt ha attivamente partecipato alla campagna contro le «atrocità tedesche» nel corso della prima guerra mondiale. Quanto poi a Stalin, egli addirittura tenta, col processo di Norimberga, di scaricare sui nazisti l’esecuzione dell’ufficialità polacca perpetrata a Katyn dall’esercito sovietico.
Infine, è da notare che, in tema di massacri e genocidi, assai labile e non definibile una volta per sempre risulta la linea di demarcazione tra storici revisionisti e negazionisti da una parte e storici rispettosi della tragedia delle vittime, anche sul piano della memoria storica, dall’altra. Abbiamo visto Laqueur inserire nel novero delle atrocità inventate la liquidazione di centinaia di migliaia di serbi mediante il ricorso ai gas asfissianti. Non sembra essere questa l’opinione di Hillgruber, pur generalmente annoverato tra i «revisionisti». Se anche lascia da parte gli austriaci e chiama in causa esclusivamente i bulgari (orientali), a dimostrazione del carattere genocida che ormai tende ad assumere la guerra già a partire dal primo conflitto mondiale, lo storico tedesco riporta la testimonianza ad un giornalista della «Frankfurter Zeitung» rilasciata il 20 novembre 1917 dal segretario di Stato von Kühlmann: «i Serbi vengono “spazzati via” (erledigt) per via amministrativa: li si porta per ragioni di pulizia in centri di disinfestazione e li si elimina mediante il gas».
Ancora più interessante è la polemica sviluppatasi ai giorni nostri a proposito della tragedia armena. In questo caso, sono i discendenti delle vittime dei massacri turchi a mettere sotto accusa, in quanto negazionisti o revisionisti, in primo luogo autorevoli rappresentanti della cultura ebraica internazionale, impegnati a dimostrare l’unicità e l’incommensurabilità dell’Olocausto. E allora, perché dovrebbe esser lecito negare o ridimensionare il genocidio serbo o armeno e non quello ebraico? Tanto più che, se la Germania può essere interessata a scrollarsi di dosso l’infamia di Auschwitz, le potenze rivali o potenzialmente rivali potrebbero essere interessate ad appiccicarle per sempre l’etichetta della responsabilità di un crimine «unico» nella storia. Voler fissare per legge una verità ufficiale, come si tende a fare in certi paesi, è contrario a ogni etica della ricerca scient...