
- 158 pagine
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Prima lezione di storia delle relazioni internazionali
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Uno sguardo unitario sugli aspetti storici delle relazioni internazionali come momento della vita socio-politica che caratterizza un'epoca e talora condiziona l'esistenza dell'umanità.
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Informazioni
Argomento
Politica e relazioni internazionaliCategoria
Storia del XXI secoloII. Dalla storia diplomatica alla storia delle relazioni internazionali
1. Storia diplomatica e storia delle relazioni internazionali
Le osservazioni relative al contributo che la storia diplomatica ha dato e continua a dare alla conoscenza della storia delle relazioni internazionali non possono trascurare il fatto che frattanto, tra i due campi d’indagine, si è determinata una netta divaricazione. La storia diplomatica riguarda il sistema delle relazioni politiche internazionali; la storia delle relazioni internazionali si propone un orizzonte interpretativo assai più ampio e generale.
Quando Pierre Renouvin, con la sua opera, aprì le porte alla trasformazione dei due campi d’indagine, Mario Toscano replicò con due osservazioni. La prima riguardava la natura delle fonti utilizzate, i documenti diplomatici, considerati come fonte preminente rispetto ai rapporti interstatuali, «perché [danno] degli avvenimenti una interpretazione politica che è di per se stessa una interpretazione di sintesi». La seconda contestava in modo deciso l’impostazione generale del Renouvin:
La tendenza ad ampliare il campo d’indagine della nostra disciplina – scriveva Toscano – per mettere in maggior risalto quei fattori materiali e spirituali che influiscono sulla formazione di una politica estera e su i rapporti tra gli Stati risponde ad un’esigenza da tutti sentita. Ma questa tendenza non può spingersi fino a far perdere di vista che l’oggetto di questo campo di studi sono i rapporti tra gli Stati e che quindi quei fattori vanno considerati in funzione di un miglior chiarimento delle decisioni che determinano tali rapporti. Altrimenti, il tentativo di rendere più soddisfacenti i risultati della nostra disciplina porterebbe a farle perdere quelle caratteristiche peculiari che sono alla base della sua autonomia come storia particolare o, peggio ancora, a sostituirle una o altre discipline particolari che certo non possono spiegare da sole la complessa realtà dei rapporti internazionali né raggiungere l’affermato obiettivo di fare della «storia senza aggettivi».1
Le tesi del Toscano indicavano confini netti; quelle del Renouvin la necessità di oltrepassare tali confini. La distinzione, così profonda, lascia intendere come dalla storia diplomatica, intesa in senso rigoroso, stesse per nascere un nuovo modo di studiare la storia internazionale in quanto storia delle relazioni internazionali. Si tratta perciò di cogliere la portata della distinzione e di comprendere a fondo se e come le vie indicate fossero percorribili e siano state poi percorse.
L’interpretazione di Toscano risale alla metà del XX secolo e risente della diretta partecipazione dello stesso Toscano all’iniziativa di pubblicare la raccolta dei Documenti diplomatici italiani, iniziando con la stesura dei volumi dedicati a alcuni momenti critici della politica estera italiana, come avevano fatto i tedeschi, quasi contemporaneamente seguiti dagli altri responsabili dello scatenamento della Seconda guerra mondiale2. Si trattava di ripercorrere le fasi culminanti della crisi diplomatica che aveva preceduto, dal 1938 in poi, l’aggressione alla Polonia, cioè un periodo intensamente vissuto sul piano politico e, benché intessuto di altri aspetti, dominato dalla dinamica delle azioni diplomatiche. Ma appare oggi evidente che tale approccio, benché necessario, non era anche esauriente e che l’estrapolazione proposta dal Toscano, il quale promuoveva a metodo generalizzato uno strumento teso a comprendere una crisi di breve periodo, non permetteva di cogliere gli aspetti di medio e lungo periodo (ma anche gli aspetti non meramente diplomatici) di una crisi che aveva le sue origini remote nella trasformazione dell’Europa durante il XIX secolo. Troppi cambiamenti erano già avvenuti allora nella vita internazionale e altrettanti ne sarebbero accaduti durante i decenni successivi, sino alla fine del XX secolo e oltre, perché l’approccio suggerito da Toscano possa oggi apparire soddisfacente agli occhi di chi intende esaminare, al di sotto o al di sopra della corteccia diplomatica, il divenire della vita internazionale.
Anche l’opera del Renouvin appartiene al medesimo periodo storico, sebbene le sue radici culturali siano strettamente collegate all’esperienza degli Annales. Si tratta di un lavoro d’ampio respiro, che proietta la sua visione ben al di là dell’accadimento contingente e si propone di fornire una prospettiva meno «evenemenziale» alla comprensione storica della vita internazionale. La portata innovativa di quest’opera non può che essere ammirata. Renouvin indica collegamenti interdisciplinari, propone squarci suggestivi sull’influenza delle «forze profonde» (questa è la definizione da lui coniata e rimasta come il marchio della sua scuola). Eppure un lavoro così affascinante, se guardato con attenzione critica e in riferimento al procedimento della conoscenza storica, appare ancora meno persuasivo dell’approccio, consapevolmente circoscritto, del Toscano. Il proposito di inserire nella ricostruzione della storia internazionale un numero maggiore di variabili, così da rendere meno evenemenziale e più approfondita l’esposizione narrativa, viene in questo caso diluito, se non addirittura paralizzato, dallo schematismo al quale il Renouvin affida il suo lavoro. Se è concesso usare una metafora irriverente, dalla lettura di quest’opera si trae la sensazione che l’autore abbia voluto costruire una specie di chiffonnier: in un cassetto sono riposti i dati demografici; in un altro quelli relativi al commercio estero; in un terzo quelli riguardanti la finanza; in un quarto i ritagli di giornale con le opinioni del pubblico e così via, tanti cassetti quante sono le variabili di cui tener conto. Renouvin delimitava il numero delle variabili rilevanti per la storia della politica mondiale ma pare difficile dire che fra un cassetto e l’altro del suo bel mobile vi fosse comunicazione: le parti del discorso restano separate.
Nel caso di Renouvin, forse, questa caratteristica è meno avvertibile poiché l’enorme cultura di questo autore contribuiva a rendergli possibile la costruzione di sintesi spesso efficaci, anche se non sempre persuasive. L’aspetto critico presentato da tale metodologia è legato all’influenza che, per disciplina di scuola in Francia e per moda in altri paesi, il metodo della cassettiera ebbe sulla storiografia francese e europea, come facile scappatoia di chi immaginava di fare storia delle forze profonde tenendo ben separati i diversi cassetti. Insomma, quando si aprono certe opere ispirate al maestro francese, non si può non avvertire un senso di fastidio dinanzi alla preconcetta disposizione della materia. Come in una litania si vedono ripetere unilateralmente gli schematismi alla Renouvin: nel primo capitolo la situazione finanziaria, nel secondo quella commerciale, nel terzo quella demografica, nel quarto l’opinione pubblica, e così di seguito, secondo una sequenza ripetitiva tale da sviare l’attenzione dal mutamento dell’assetto di fondo; tale, cioè, da mettere in evidenza non le «forze profonde» ma «le consuetudini radicate», e tale da suscitare una sorta di rifiuto preconcetto e infastidito.
Solo negli ultimi decenni del XX secolo questo stato di cose incominciò a cambiare, se non altro perché l’evidenza del cambiamento della struttura globale era divenuta innegabile. René Girault, i suoi discepoli e i colleghi della generazione più giovane, in Francia, pur senza naufragare rispetto alla loro tradizione scolastica, ripresero la riflessione sui temi metodologici, allargando la loro visione verso orizzonti più vasti3.
2. Assetto, evoluzione e percezioni del sistema internazionale
Dalla metà del XVII secolo fino alla Prima guerra mondiale il sistema internazionale non subì variazioni strutturali, non modificò le norme o le tradizioni che lo ispiravano e accettò solo quei mutamenti che il «concerto europeo» volle accettare. Con la Prima guerra mondiale o, si potrebbe dire, anticipando di qualche decennio la svolta, con l’affacciarsi degli Stati Uniti come soggetto potenzialmente egemone anche rispetto al predominio europeo, la diplomazia tradizionale venne affiancata e, in qualche caso, superata dall’avvento dell’internazionalismo, cioè dall’affermarsi della concezione per cui le relazioni internazionali dovessero essere filtrate da organizzazioni che sostituissero la diplomazia tradizionale nel determinare le norme e la prassi della vita internazionale: la Società delle nazioni nel 1919-20 e l’Organizzazione delle nazioni unite nel 1945 si posero come garanti del diritto internazionale e della pace mondiale.
L’idea che le organizzazioni internazionali potessero, sul piano teorico, diventare il fulcro della società internazionale non era però il frutto né del caso né di una evoluzione meramente formale delle relazioni fra i popoli. Essa nasceva piuttosto da due sviluppi, paralleli ma non sincroni, che si erano intrecciati solo sul finire del XIX secolo. Il primo sviluppo riguardava la trasformazione dei rapporti internazionali con l’estensione delle conoscenze e delle influenze politico-economiche a tutto il globo per effetto dell’ampliarsi degli orizzonti geografici e, soprattutto, per il mutamento delle strutture economiche durante le varie fasi della rivoluzione industriale. Il secondo era la conseguenza della riflessione politico-filosofica-giuridica e economica che, lungo un lento processo di elaborazione delle idee, aveva portato alla formulazione di una serie di dottrine che, muovendo dagli avvenimenti del tempo, ne desumevano considerazioni generali, proposte di riforma, manifesti ideologici, formule internazionalistiche. Ciò aveva posto le basi di una svolta che divenne manifesta durante la Prima guerra mondiale, ma la cui portata è stata avvertita pienamente solo negli ultimi decenni del XX secolo, quando il concetto di «globalizzazione» come fenomeno complesso si è imposto come nuova categoria interpretativa e come riconoscimento teorico di una realtà che aveva le sue radici in quel remoto passato. Proprio questa evoluzione rendeva desueto o incompleto, sul piano della ricerca storica, il concetto di storia diplomatica e metteva in evidenza la necessità di esaminare in modo più approfondito tutti gli aspetti interessati al mutamento, collocandoli in un contesto di «storia delle relazioni internazionali».
2.1. Dalla «politica di potenza» all’internazionalismo utopistico
Nei primi decenni dell’età moderna, il concetto di «politica di potenza» come discriminante delle relazioni fra Stati apparve come una sorta di grimaldello euristico per intendere i processi più complessi. Machiavelli insegnava «che tutt’i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono»; e ancora:
Debbe dunque uno principe non avere altro obietto né altro pensiero, né prendere cosa alcuna per sua arte, fuora della guerra et ordini e disciplina di essa; perché quella è sola arte che si espetta a che comanda [...]. E però uno principe che della milizia non si intenda [...] non può essere stimato da’ suoi soldati, né fidarsi di loro. Debbe per tanto mai levare el pensiero da questo esercizio della guerra, e nella pace vi si debbe più esercitare che nella guerra4.
Ma il realismo machiavelliano era troppo legato alla dura realtà della lotta tra potentati in Italia per essere condiviso da chi pretendeva di ispirarsi a concezioni più elevate, forse perché sostenute da realtà statuali ben più forti dei piccoli principati italiani. Così, mentre sul piano giuridico, da Gentili a Grozio agli altri studiosi dello jus gentium o del diritto naturale, si discettava sulla natura e sulla qualità delle norme che avrebbero dovuto fornire l’architettura giuridica del «concerto europeo», sul piano meta-giuridico e su quello filosofico il tema veniva affrontato in termini utopistici inevitabilmente astratti, oppure veniva collegato a vaghi – e del pari astratti – progetti di mutamento sociale. Si colloca in questa sfera l’opera di autori come l’abate Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre, filosofo e politico francese, che nel 1712 pubblicò il primo saggio «riformistico» sull’ordinamento internazionale dal titolo Paix perpétuelle. L’opera tracciava un progetto di pace globale che, per la prima volta, adombrava l’ipotesi di un ordinamento federale del continente, magari sotto l’egemonia francese, come rimedio ai rischi della conflittualità permanente. Saint-Pierre tradusse le sue riflessioni in un progetto di trattato europeo, basandosi sull’intuizione che il timore della violenza potesse indurre popoli e governi a sottoscrivere un accordo che avrebbe sottoposto la politica internazionale alle regole del diritto e della giustizia5.
Era un precursore, che viene ora ricordato poiché inserito fra i padri fondatori dell’idea di unificazione europea. In effet...
Indice dei contenuti
- Introduzione
- I. La storia delle relazioni internazionali: origine, metodo e definizioni
- II. Dalla storia diplomatica alla storia delle relazioni internazionali
- III. La storia delle relazioni internazionali nell’età contemporanea
- Bibliografia