
- 182 pagine
- Italian
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Prima lezione di filosofia morale
Informazioni su questo libro
Ogni giorno siamo chiamati a scelte morali nuove e difficili e di certo fondamentali per la nostra vita: dalla bioetica al trattamento degli animali, dalle trasformazioni dell'ambiente alla pluralità delle culture e alla distribuzione delle risorse tra gli esseri umani. Confrontandosi con la filosofia e la ricerca empirica dall'Illuminismo a oggi, Eugenio Lecaldano propone un'introduzione generale alla filosofia morale che, messe da parte impostazioni rigide e schematiche, mostra il ruolo risolutivo delle emozioni e dei sentimenti, vitali per le relazioni tra le persone.
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Informazioni
Argomento
FilosofiaCategoria
Filosofia etica e moraleIV. Un’etica della virtù su base sentimentalistica
4.1. L’etica della virtù in alternativa alle etiche dei principi e delle conseguenze
Delineata nel capitolo precedente la ricostruzione meta-etica propria di una prospettiva sentimentalistica, possiamo ora provare ad affiancarle una concezione normativa sul contenuto da privilegiare come moralmente rilevante. Come è oramai comunemente praticato, divideremo la nostra esposizione della parte normativa in due sezioni: la prima dedicata all’enunciazione dei criteri teorici generali con cui impostare e provare a risolvere le questioni etiche e che potremmo caratterizzare come la nostra etica normativa propriamente detta; la seconda – che presenteremo nel prossimo capitolo – dedicata ad affrontare l’etica applicata, ovvero alcune delle questioni più determinate proprie della nostra epoca (nel nostro caso saranno le questioni della bioetica, dell’etica ambientale e del trattamento degli animali) alla luce dei criteri generali. Ricordiamo che, come abbiamo già detto fin dall’inizio di queste lezioni, le questioni applicative hanno un ruolo prioritario nella nostra teoria sentimentalistica in quanto a tali questioni proviamo a rispondere ritenendo del tutto inadeguata la trattazione che ne offrono le etiche religiose e razionalistiche.
Il capitolo precedente ci ha suggerito alcuni requisiti propri di un contenuto eticamente rilevante: dovrà essere in grado di motivare la nostra condotta, dovrà essere oggettivo in uno dei sensi di questa equivoca nozione che abbiamo conservato, dovrà essere tale da poter fornire a suo sostegno delle argomentazioni e giustificazioni. Nel delineare la parte normativa della nostra filosofia morale, ciò che dovrà guidarci in particolare è la consapevolezza che abbiamo guadagnato nelle pagine precedenti sul fatto che al centro della moralità ci siano un sentimento e un’emozione che ci portano a tenere conto dei bisogni e delle esigenze altrui, e in particolare a reagire negativamente nel caso di azioni umane che provocano danni e sofferenze non volute negli altri.
La nostra elaborazione, può iniziare esaminando la riflessione che si è sviluppata negli ultimi decenni nella quale si sono principalmente confrontate tre linee etiche normative1. La prima – abitualmente presentata come una forma di etica deontologica o dei principi –, che riprende l’impostazione cara a Kant e ai razionalisti, ritiene che la soluzione moralmente corretta debba essere formulata in termini di principi etici che aiutano a individuare quelli che sono i nostri doveri o obblighi prevalenti. L’altra linea, abitualmente caratterizzata con l’appellativo di conseguenzialismo, è quella secondo cui per sapere quale sia la soluzione corretta delle nostre questioni morali dobbiamo identificare le diverse azioni alternative che ci stanno di fronte, poi per ciascuna di esse cercare di immaginare quali saranno le conseguenze che avranno e scegliere quindi quell’azione che ha le migliori conseguenze per tutti coloro che sono coinvolti. Diversamente dalla precedente, l’etica conseguenzialista non ritiene prioritaria la fedeltà a principi o leggi morali – molto spesso fatti coincidere con quelle norme e regole che ci sono state trasmesse dalla tradizione –, ma mette in primo piano una qualche esperienza delle situazioni concrete spesso privilegiando esiti e soluzioni nuove. Infine, la terza impostazione normativa – quella dell’etica della virtù che noi sottoscriveremo – colloca al centro della vita morale una valutazione sia della nostra stessa condotta sia di quella altrui in termini di virtù e vizio. La moralità non è dunque nient’altro che una nostra reazione di approvazione o disapprovazione nei confronti delle qualità o del carattere che hanno spinto una persona a compiere le azioni di cui abbiamo esperienza.
L’esame critico delle etiche deontologiche o di forme ristrette di conseguenzialismo è stato già sviluppato nei precedenti capitoli sia dal punto di vista della ricostruzione genealogica, come da quello della trattazione meta-etica. Una serie di argomenti è stata sviluppata per mostrare quanto le meta-etiche che accompagnano deontologismo e conseguenzialismo risultino inadeguate dal punto di vista motivazionale, nel modo di rendere conto dell’oggettività delle soluzioni e nel tipo di epistemologia o ragionamento che chiamano in causa2. Non è dunque il caso di ripetere questo tipo di critiche. In generale, queste impostazioni ostacolano la realizzazione di una soddisfacente soluzione alle nostre questioni perché non riescono a mettere in primo piano ciò che effettivamente conta nella vita morale: l’esperienza delle condizioni delle altre persone coinvolte e le sofferenze o i piaceri che in esse ritroviamo provocati dalla condotta di altri o dalla nostra condotta. Esse portano a riflettere e a elaborare analisi lungo vie che il più delle volte ci allontanano dalla valida soluzione morale. Ora però dobbiamo discutere criticamente e più specificamente le loro proposte normative, ovvero quali sono i criteri sostantivi che propongono come soluzione dei nostri problemi morali.
Occupandoci delle etiche deontologiche o dei principi dobbiamo confrontarci criticamente con due linee teoriche: da una parte quella che propone un unico principio o legge morale, e che è rappresentata nella sua forma più compiuta da Kant e da coloro che ne hanno ripreso le idee sulla moralità; dall’altra quella che propone una molteplicità o pluralità di principi e che nel XX secolo è stata ben esemplificata prima da William David Ross e poi da John Rawls. Si potrebbero richiamare altre concezioni (ad esempio, alcune forme di giusnaturalismo), ma privilegiamo le etiche dei principi che abbiamo ricordato perché esse condividono l’assunzione di fondo di queste nostre pagine per cui l’etica è una pratica che riguarda l’umanità nella sua vita naturale senza chiamare in causa componenti trascendenti o fondazioni religiose.
Molte delle critiche normative all’etica kantiana sono di natura epistemologica e riguardano l’astrattezza e il formalismo con cui viene enunciato l’imperativo categorico che sta al centro degli obblighi morali. Come abbiamo già detto, da una prospettiva sentimentalistica il difetto principale dell’etica kantiana sta nel confondere l’esigenza dell’imparzialità dell’etica con quella della purezza della legge morale: che le conclusioni morali non debbano privilegiare gli interessi particolari di nessuno è riconosciuto anche dalla meta-etica del sentimentalismo ma che questo possa essere realizzato solo sradicando dalle singole persone tutte le emozioni, anche quelle altruistiche e simpatetiche, sembra un grave errore filosofico. In realtà, proprio qui si radica uno dei principali difetti dell’etica normativa kantiana: la sua assolutezza e pretesa di formulare norme che debbono valere sempre e comunque. Si pensi alle implicazioni moralmente bizzarre che lo stesso Kant trasse dall’imperativo categorico di dire la verità. In polemica con Benjamin Constant, Kant ritenne di dover difendere la tesi che la verità va sempre detta anche di fronte al caso che gli veniva presentato, ovvero se dire o meno la verità sulla presenza in casa nostra di una persona anche a chi la sta cercando per assassinarla3. Il rigore completo della norma, così come talvolta difeso dai kantiani, può trasformarsi in una grave patologia morale della loro etica se porta a forme di fanatismo morale in cui la validità della legge viene fatta valere fino in fondo, senza minimamente tenere conto delle condizioni reali delle persone su cui essa ricade.
Un altro limite normativo dell’etica kantiana può essere colto da una prospettiva sentimentalistica se riflettiamo su una delle formulazioni più condivise dell’imperativo categorico. Si tratta di quella formulazione che più si collega con il rispetto assoluto per la persona umana, spinto fino a riconoscerle sempre un valore intrinseco e mai un valore strumentale4. La difficoltà normativa qui non sta tanto nell’assurdità di escludere un qualsiasi rapporto strumentale – sia pure parziale, limitato, condizionato e liberamente accettato – con gli altri esseri umani, ma proprio nel contenuto di questa norma. Il punto è che quella che dobbiamo rispettare è una persona razionale e non certo un’individualità umana connotata da desideri e interessi particolari. Questo significa che in nome di questa norma potremmo anche – come a suo tempo fece già rilevare Max Scheler5 – rifiutare qualsiasi sostegno e rispetto per tutti gli obiettivi concreti di tutte le persone con cui siamo in relazione. L’altra insufficienza è data inoltre dal fatto che la morale kantiana, su questa base, escluderà completamente dal raggio dell’interessamento morale tutto ciò che non è riconducibile alla persona umana razionale. È noto che Kant, coerentemente, negava vi fossero doveri morali diretti verso gli animali e a proposito del rispetto della natura riteneva di poter avanzare solo considerazioni estetiche. Come vedremo nell’ultimo capitolo, questa impostazione rende difficile affrontare i concreti problemi morali che oggi si pongono in merito alle nostre responsabilità nei confronti degli esseri senzienti non umani che sono con noi sulla terra e verso l’ambiente o la natura6.
Come un tentativo di rivedere i difetti dell’assolutismo e monismo dell’etica normativa kantiana vanno viste alcune forme di pluralismo deontologico elaborate nel secolo scorso. Non ci riferiamo alle posizioni, come ad esempio quella di Isaiah Berlin, che ricostruiscono la vita morale come un campo caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di valori irriducibili che pongono di fronte a conflitti etici irrisolvibili7. Ma piuttosto alle posizioni che riconoscono una lista ben determinata di principi e doveri alla base dell’etica. In questo senso, ad esempio, William David Ross presentò un deontologismo pluralista che prendeva le distanze dalla moralità kantiana in due direzioni; da una parte andando oltre il monismo morale kantiano con il riconoscimento di una serie articolata di doveri etici quali, ad esempio, i doveri di fedeltà, di riparazione, di gratitudine, di beneficenza, di non maleficenza, di automiglioramento e di giustizia; dall’altra modificando lo statuto stesso del dovere morale non più concepito come assoluto, ma piuttosto come «prima facie», ovvero tale che nelle situazioni concrete si presenta come condizionale e che quindi solo nel processo deliberativo si presenta come dovere reale8. Un pluralismo normativo troviamo anche nella teoria della giustizia di Rawls che presenta, come operanti nella struttura fondamentale della posizione originaria, i principi di libertà e di differenza9. Queste concezioni normative presentano due tipi di difficoltà. Da una parte la fragilità del criterio con cui identificano i principi che privilegiano sul piano normativo facendo appello a qualche intuizione di senso comune: come aveva già mostrato Sidgwick nei suoi Metodi di etica, qualsiasi forma di intuizionismo normativo pluralistico finisce con il trasformare la constatazione dell’accettazione di alcuni principi nella tesi della loro validità10. Dall’altra l’inefficacia sul piano pratico, laddove l’affermazione di più principi etici validi non si accompagni con qualche criterio preciso per identificare quale sia il principio che si può far valere nella specifica situazione concreta. Queste concezioni pluralistiche sembrano dunque interpretabili in modo convincente solo se tradotte in una struttura più sistematica e monistica. Proprio questo sembra aver fatto Rawls riconoscendo un ordine lessicale tra i due principi e rendendo spesso preordinate quelle condotte etico-politiche che tendono a superare le condizioni di arretratezza di coloro che stanno peggio11. Anche Ross, in definitiva, è stato spesso interpretato in modo tale da ricondurre il suo pluralismo intuizionistico nell’alveo di una concezione che riconosce la priorità di una condotta ispirata dalla non maleficenza12. Questi aggiustamenti sembrano cercare un ancoraggio dell’etica dei principi alla prevalente esigenza di minimizzare le sofferenze non volute dalle persone coinvolte che muove verso l’etica normativa difesa in questo capitolo.
Se passiamo poi a considerare le concezioni normative conseguenzialiste, dobbiamo in primo luogo riconoscere che esse hanno l’indubbio merito di avviare la riflessione etica alla ricerca della soluzione migliore su di una strada aperta all’esperienza e all’innovazione, e questo proprio in quanto ritengono che ciò che conta sono le azioni e la loro giustezza valutata nei termini delle rispettive conseguenze. La struttura epistemologica chiamata in causa dalle etiche conseguenzialiste è sicuramente una parte importante della procedura mediante la quale si può costruire una moralità adeg...
Indice dei contenuti
- I. Cosa aspettarci dalla filosofia morale
- II. Spiegazioni genealogiche della moralità a confronto
- III. La natura della morale: un confronto tra razionalismo e sentimentalismo
- IV. Un’etica della virtù su base sentimentalistica
- V. Le applicazioni pratiche dell’etica sentimentalistica della virtù