In cielo come in terra
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In cielo come in terra

Storia filosofica del male

  1. 368 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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In cielo come in terra

Storia filosofica del male

Informazioni su questo libro

Un'analisi che obbliga più volte il lettore ad alzare lo sguardo dalla pagina e a riflettere."Panorama"

Da Leibniz a Hegel, da Marx a Hume, da Schopenhauer a Nietzsche, fino ad arrivare a Rawls, Freud e Camus: Susan Neiman scandaglia le grandi costruzioni filosofiche che hanno cercato di misurare con il metro umano l'immensità del Male."Avvenire"

Il male è stato oggetto di un libro dopo l'altro, ma questo è un libro diverso da ogni altro."The Times Literary Supplement"

Susan Neiman mostra come il male non sia solo una violazione etica, esso sradica e sfida le nostre interpretazioni del mondo."The New York Times"

Susan Neiman segue l'argomento come un segugio, e, anzi, il suo libro è una sorta di thriller: che cosa ci minaccia? Riusciremo a comprendere cos'è il male? E come possiamo fuggirlo? Il percorso conduce da un Dio assente a una natura indifferente, fino a giungere all'uomo stesso."Harper's Magazine"

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Informazioni

1. Fuoco dal cielo

La filosofia non fa mistero di ciò. La dichiarazione di Prometeo – detto francamente, io odio tutti gli dei – è la sua propria dichiarazione, la sua propria sentenza contro tutti gli dei celesti e terreni che non riconoscono come divinità suprema l’autocoscienza umana. Non si dovrebbe starle a fianco.
K. Marx Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro
Potrebbe essere il primo protagonista dell’Illuminismo. Alfonso X diventa re di Castiglia nel 1252 e sin dall’inizio il suo regno ha gravi problemi. Ripudia sua moglie, con il pretesto che fosse sterile, quindi manda qualcuno in Danimarca in cerca di un’altra. Quando la principessa di Danimarca arriva in Spagna, la regina è incinta del primo dei nove figli che avrebbe messo al mondo. Nessuna delle due donne perdona mai Alfonso, anche se suo fratello, l’arcivescovo di Siviglia, rinuncia alla carica per sposare la principessa danese. La cultura e l’eloquenza, che meritano ad Alfonso una splendida reputazione in altri paesi, non impressionarono i suoi contemporanei castigliani, che sembrano avercela con lui. Nonostante sia stato il primo re di Castiglia a far scrivere gli atti pubblici in lingua spagnola e a commissionare la traduzione spagnola della Bibbia, non si assiste al fiorire di una cultura locale che la traduzione in volgare ha creato nella vicina Francia. Anzi, molti storici successivi imputano ai lavori da lui promossi la responsabilità dell’ignoranza e della barbarie diffuse Spagna. I figli che ha tanto atteso si rivelano degli ingrati. Uno di loro, Sancho, si stanca di aspettare il trono e cospira con il re di Granada per rovesciare suo padre. La morte di Alfonso, nel 1284, mette fine alla guerra civile che ne è conseguita, ma non alla sua sfortuna, dal momento che le sue volontà sono completamente ignorate: il suo cuore, che ha ordinato di seppellire sul Monte Calvario, viene lasciato a marcire a Siviglia con gli altri suoi resti, mentre il ribelle Sancho rimane sul trono.
I pensatori del Medioevo e della prima modernità vedono in questa saga una conferma della Provvidenza. Tutti i guai di Alfonso erano altrettante punizioni per un peccato ai limiti del dicibile e sono quindi conferme della presenza, della giustizia, e perfino dell’ironia, di Dio. La ribellione di Sancho, in particolare, è l’adeguata risposta alla ribellione di suo padre contro il Padre Celeste. La rivolta di Alfonso ha inizio con un atto di erudizione. Invia una richiesta a Toledo perché alcuni dotti ebrei lo istruiscano, ad un prezzo considerevole, sull’astronomia e commissiona al rabbino Isaac Hazan la compilazione di tavole astronomiche, da allora note come Tablas Alfonsinas. Dopo diversi anni di studio intenso, Alfonso osserva «se avessi assistito al consiglio di Dio al momento della creazione dell’uomo, alcune cose sarebbero state in un ordine migliore di quanto non siano»1 (Bayle 2, 565)2.
Questa breve frase, o una sua variante, ha rappresentato l’essenza della blasfemia per circa mezzo millennio. Bayle dice che nessuno ignora gli studi di astronomia di Alfonso e le loro conseguenze e si fa scrupolo di annotare le numerose varianti della storia. In molte di queste perfino la ribellione di suo figlio non è considerata una punizione sufficiente. Chi si è permesso di giudicare i Cieli deve ricevere una risposta più diretta, così un certo numero di commentatori vuole Alfonso e la sua famiglia colpiti da un fulmine. Un certo Rodericus Sanctius scrive che un angelo appare in sogno per portare un messaggio del consiglio celeste che ingiunge ad Alfonso di pentirsi.
Ma Alfonso si burlò di lui e ripeté la bestemmia [...] la notte seguente vi fu un’orribile tempesta, con tuoni e lampi, tanto che sembrava che il cielo stesse per cadere. Il fuoco del cielo bruciò nella stanza di Alfonso gli abiti del re e della regina; così il principe affranto fece chiamare l’eremita, gli confessò il suo peccato, pianse, si umiliò, rinnegò la sua bestemmia; più piangeva e più la tempesta scemava, fino a che cessò (Bayle 2, 566).
Bayle contesta i resoconti e le versioni che chiamano in causa i fulmini. Un caso tanto meraviglioso, sostiene, sarebbe stato confermato da più fonti, specialmente se avesse avuto luogo in Spagna, i cui abitanti sono sempre lieti di trovar prove di miracoli. Bayle intende naturalizzare la storia e, pertanto, potrebbe essere considerato il primo difensore di Alfonso. Il re, nel resoconto di Bayle, ha commesso peccati prosaici: ha trascurato gli interessi politici nazionali per dedicarsi all’apprendimento dell’astronomia, dato che preferisce «destare clamore» all’estero coltivando la sua conoscenza anziché i rapporti con la famiglia e con altri. Vediamo qui un narcisismo ordinario, non criminale. Anche se il primo potrebbe rendere più comprensibile la sua rovina, Bayle continua a credere che non la meriti. Al contrario. Bayle dedica diverse note alla famigerata frase e ne dà una lettura moderna e più indulgente. La convinzione di Alfonso che i cieli appaiano notevolmente disordinati potrebbe costituire un commento, non alla maestria di Dio, ma ai difetti dell’astronomia tolemaica, che nel 1697 erano fin troppo evidenti. Dipende da dove si pone l’accento. Se Alfonso avesse affermato: «Se io avessi assistito al piano di Dio al momento della creazione...», suonerebbe davvero come una presunzione scandalosa. Ma, come propone Bayle, l’affermazione può essere letta come segue: «Se avessi assistito al piano di Dio al momento della creazione...». In questo caso l’oggetto della derisione non è il Creatore ma i tristi astronomi medievali, il cui ridicolo sistema non gli rendeva onore.
Che solidarizziamo o meno con questa nascente decostruzione, probabilmente accompagniamo Bayle fino a superarlo. L’osservazione di Alfonso apparirà ai lettori moderni tanto innocua da rendere difficilmente comprensibile l’ira che ha suscitato per secoli, e ancor meno l’eventuale giudizio celeste. Anche chi considera virtù primarie la pazienza e l’umiltà, può riconoscerle in Alfonso. Avrebbe potuto, dopo tutto, lasciare l’ordine cosmico alla divina giurisdizione e dedicare la sua attenzione ad affari regali e mondani come la falconeria e le donne di facili costumi. Sarebbe stato più facile e avrebbe portato a riconoscimenti più semplici: ciò che Alfonso ottiene per gli anni spesi a imparare a calcolare gli epicicli è la dubbia benedizione di una notorietà postuma. Dal momento che non era nemmeno buona scienza, nessun bagliore di verità corona i suoi sforzi. In fin dei conti, la sua vita sembra il modello di un fallimento. Tuttavia, a parte quella vanità che può affliggere chiunque, le sue sono davvero buone motivazioni. Alfonso cerca di imparare i segreti di una scienza considerata la più alta per meglio comprendere e venerare la Creazione. E, nel proferire l’osservazione che lo rende famoso, non ha nessuna intenzione di essere blasfemo, è solo per rimarcare la verità: un comune e indaffarato re spagnolo potrebbe disegnare un mondo migliore di quello segnato dalla saggezza di un Creatore onnipotente.
Il suo destino, dunque, non apparirà molto più giusto di quello di Giobbe, la cui storia di continua sofferenza è anch’essa paradigmatica per gli scrittori che si occupavano del problema del male. È importante notare che, come la cattiva sorte di Alfonso, quella di Giobbe verrà considerata ingiusta solo molto più tardi. A volte, durante l’Illuminismo, i commentatori si soffermano a cercare delle giustificazioni per i tormenti di Giobbe. Secondo Kant, che scrive un meraviglioso saggio sull’argomento, i tentativi precedenti erano stati compiuti nella speranza che Dio stesse a origliare. Persa questa speranza, avevano meno motivazioni per mettere alla prova le varie possibili teodicee, le quali mostravano che, in fin dei conti, Giobbe era segretamente colpevole di qualcosa, così che la perdita di tutti i suoi averi era una punizione giustificata, o che era stato tentato in quel momento per essere ricompensato in futuro con certezza tanto maggiore. Gli autori precedenti si identificavano con gli amici di Giobbe, fabbricanti di teodicee in cerca di giustificazioni. Quelli successivi si identificano con Giobbe, che non ne trovava alcuna. Ripercorrere tali sviluppi potrebbe essere un modo interessante di trascorrere la vita intera, che non sarebbe comunque abbastanza lunga per esaminare tutta la letteratura che il Libro di Giobbe ha ispirato. Ma torniamo ad Alfonso, la cui osservazione raggiunge a mala pena la presunzione del suo predecessore biblico. Giobbe non si spinse così lontano da seguire il consiglio della moglie di maledire Dio e morire, ma maledisse il giorno in cui era nato, qualcosa di abbastanza simile al maledire la Creazione stessa. Alfonso suggerisce soltanto che avrebbe potuto essere migliorata.
Sosterrò che Alfonso è meno innocuo di quanto appare. Gli osservatori medievali non erano del tutto in errore nel considerare il suo desiderio di consigliare Dio come il primo passo di un processo che avrebbe condotto a qualcosa di difficile da immaginare: non solo il desiderio ottocentesco di spodestare Dio, ma l’annuncio di Nietzsche che il crimine è stato compiuto e non è nemmeno tanto sconvolgente. Cominciamo considerando la funzione che Alfonso ha svolto nell’Illuminismo.

I difensori di Dio: Leibniz e Pope

Leibniz scrive che chiunque condannerebbe l’opinione di Alfonso che il mondo possa essere migliore (Leibniz, 594)3. Si unisce alla condanna generale e si chiede come mai il mondo dei filosofi e dei teologi pure conti così tanti moderni Alfonso. Chiunque pensi che Dio avrebbe potuto far meglio il mondo, e ha scelto di non farlo, pensa che Dio non è buono come potrebbe essere. Leibniz pone la questione in maniera pacata. La sua Teodicea è una lunga risposta al lavoro di Bayle, che misura meno le parole. La storia, dice Bayle, è storia dei crimini e delle sventure del genere umano. Un Dio che, pur potendo creare un mondo con meno crimini e sventure, e sceglie di non farlo, appare niente più che un grandioso criminale a sua volta.
Leibniz inventa la parola teodicea per descrivere la difesa di Dio con le categorie del linguaggio giuridico. Prima di esaminare la sua difesa, diamo un’occhiata all’attacco che l’ha provocata. Il lavoro di Bayle sarà esaminato nel secondo capitolo. Qui desidero solo evidenziare cosa vi sia di straordinario nelle accuse che rivolge a Dio. Dio era stato sotto processo sin dal Libro di Giobbe, al più tardi, e se c’è un punto sul quale i redattori del testo hanno insistito con chiarezza è che se l’era meritato. Noi lettori possiamo vedere che le cose stanno peggio di quanto sospetti Giobbe. Implora di poter capire. E se fosse venuto a sapere che la morte dei suoi dieci figli era il risultato di una scommessa di Dio con Satana, di due bulli che si contendono il potere? Uno che si impegna a mettere a così dura prova il giusto sarà chiamato, presto o tardi, a rendere conto di se stesso. Giobbe, che non può leggere il prologo della sua storia, potrebbe accontentarsi della semplice comparizione di Dio come testimone, ma le epoche successive avrebbero richiesto alla difesa qualcosa di più. Dato che il crimine di cui è accusato appare sempre più grave, e lui sembra perfino riluttante a comparire davanti all’accusa, gli scrittori moderni si sentono obbligati a condannarlo, in absentia, alla pena di morte o simili.
Bayle sostiene che il Cristianesimo ha peggiorato il problema. Prima di Bayle era più facile considerare il Cristianesimo una soluzione appropriata al problema del male. Per dirla con le parole di un credente: «Giobbe è la domanda e Gesù la risposta». I dettagli della soluzione sono tanto vari quante le differenze nella dottrina cristiana, ma la dichiarazione evidenzia la fede nella redenzione messianica e la speranza nella vita eterna, che sono centrali per qualunque visione cristiana. Dio stesso, in queste concezioni, si infligge punizioni crudeli come nessun umano ha mai patito. In effetti sono rese ancora più crudeli dalla sua assoluta innocenza. La sua miracolosa resurrezione, che trasforma l’agonia sulla croce in un incubo fugace, è il prototipo di quella che si apre a chiunque scelga di credere nel miracolo.
Credere nei miracoli, per Bayle, non è un problema. Considera misterioso il mondo intero. Una rottura in più in un ordine naturale piuttosto incomprensibile non pone grandi difficoltà (Bayle 2, 99). Il problema sta, piuttosto, nella struttura interna della soluzione cristiana. I tormenti dei dannati, anche senza la dottrina della predestinazione, sono lo scoglio contro cui inciampa la ragione. Per quanto malvagio un peccato possa essere, deve essere finito. Una quantità infinita di pene infernali è dunque semplicemente ingiusta4. Immaginare un Dio che giudica peccaminose molte delle forme di vita da lui create, e quindi ci tortura eternamente per la nostra breve partecipazione in esse, difficilmente si presta quale soluzione del problema del male. Postulare un Dio che può permettere un’infinita ed eterna sofferenza è di poco aiuto nell’acquietare il dubbio su un Dio che evidentemente permette la sofferenza finita e temporale.
Peggio va per chi accetta la dottrina della predestinazione. Anche se non vi aderiscono, Bayle e Leibniz la prendono molto sul serio. Le eresie manichee considerano il mondo regolato da un principio buono e un principio maligno, eternamente in un conflitto tra loro. Bayle pensa che il Manicheismo si sarebbe diffuso maggiormente se si fosse sviluppato in un’epoca che prendeva sul serio la predestinazione, come quella in cui viveva. Chiunque creda che le nostre visioni del mondo siano divenute meno incoraggianti, dovrebbe ricordare gli elementi di quella dottrina. Secondo il Calvinismo, il numero di coloro che saranno eternamente condannati è molto più grande del numero di coloro che saranno salvati. Chi sarà redento è designato da Dio al momento della nascita, se non prima. Ogni azione compiuta può riflettere la prospettiva di bruciare all’inferno per sempre, ma non si può fare nulla per cambiarla. Lo stesso Sade si sforzò, senza tuttavia inventare qualcosa di peggiore e nessun tiranno moderno ci ha nemmeno provato. La morte è una misericordia che qui è del tutto assente. La tortura illimitata ricade in pari misura su bambini non battezzati, principi nobili e brutali delinquenti – e il suo autore è il Creatore che siamo tenuti a venerare.
Tale dottrina è una logica dell’onnipotenza impazzita. Il Creatore è onnipotente? Ma certo. Quindi può fare ciò che vuole? Il significato stesso di «potere». Può infrangere tutte le leggi? Ebbene, Lui le ha fatte. Leggi della ragione? Dovremmo giudicarLo? Leggi della giustizia? Idem. Qualsiasi giustizia? Se così sceglie. Ogni passo è ineccepibile, finché ci ritroviamo in un sistema soffocato da un male così impenetrabile da spingerci verso visioni del mondo moderne per riprendere fiato. Al confronto la pura casualità è una boccata d’ossigeno.
È proprio la casualità della colpa e della punizione, insieme alla presenza del bene come del male, a creare problemi filosofici. Perfino Bayle sa che la vita contempla qualcosa di più del vizio e del dolore. Il fatto che talvolta ci imbattiamo nella virtù e nella felicità è proprio ciò che ci confonde. Se tutta l’umanità fosse malvagia e miserabile, potremmo concludere che è la creazione di una divinità malvagia e miserabile, che ci ha creati a sua immagine per il suo perverso piacere. Se la giustizia in un mondo simile non è immediatamente evidente, difficile trovare qualcuno che se ne preoccupi. Ma questo non è il mondo in cui viviamo. Bayle dice che è un composto di felicità e sofferenza, di malvagità e virtù, che ci porta a riflettere e che fa apparire il Manicheismo come la più ragionevole delle concezioni. L’immagine di un mondo governato dai principi del bene e del male avvinghiati in una lotta perpetua, preserva la fede nella benevolenza di Dio. Lungi dall’essere l’Autore del peccato e della sventura, Dio è sempre impegnato nel tentativo di evitarli. Egli è semplicemente ostacolato dalla forza del suo avversario. Questa concezione, mettendo Dio nei panni di un grandioso e longevo genitore, ben intenzionato ma limitato, fa meno violenza alle nostre...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione all’edizione economica
  2. Introduzione
  3. 1. Fuoco dal cielo
  4. 2. Condannare l’Architetto
  5. 3. Le fini di un’illusione
  6. 4. Senzatetto
  7. Bibliografia
  8. Ringraziamenti