La repubblica di De Gasperi
di Giovanni Sabbatucci
Il potere di cui vi parlerò è un potere molto diverso da quello di cui vi hanno parlato i colleghi che mi hanno preceduto. Non è il potere dittatoriale, pervasivo e tendenzialmente totalitario di Mussolini, di Hitler o di Stalin. Non è il potere che si incarna nella fisicità del capo carismatico, nella sua immagine non importa se reale o costruita. È il potere discreto e limitato della democrazia. È un potere che in questo caso si identifica nella figura austera e un po’ ascetica, nel profilo affilato di Alcide De Gasperi.
L’immagine che tutti abbiamo presente, e che troviamo nei libri di storia, è quella di un uomo non più giovane, di un sessantenne o di un settantenne, quale è De Gasperi (nato nel 1881) nel decennio che lo vede protagonista della politica italiana. Non che fosse stato sin allora uno sconosciuto, visto che, come dirò, aveva alle spalle una carriera politica di tutto rilievo, bruscamente interrotta dall’avvento del fascismo. Ma il suo nome, e a maggior ragione la sua faccia, non avevano la notorietà di quelli di un Orlando o di un Nitti, protagonisti della scena politica dell’Italia prefascista. La notorietà De Gasperi l’avrebbe acquisita nel giro di pochi anni: gli anni della fine della guerra e della transizione alla democrazia repubblicana. Quella democrazia repubblicana di cui De Gasperi sarà il primo fra i padri fondatori, e, a tutti gli effetti, il maggiore protagonista per un intero decennio, fino alla sua morte. Il che giustifica il titolo che abbiamo dato a questo incontro. Anche se, a guardar bene, la repubblica che abbiamo conosciuto (la «prima Repubblica», o «la Repubblica dei partiti») non sarà esattamente quella che De Gasperi aveva in mente e a cui aveva cercato di dar vita. Ma d’altronde, lo scostamento fra il progetto e la realtà è un carattere tipico della democrazia liberale, che è sempre il regime dell’approssimazione e dell’imperfezione e in questo si distingue dai regimi autoritari dove il progetto viene perseguito anche a costo di passare sopra montagne di cadaveri.
Un altro aspetto, apparentemente paradossale, che va sottolineato è che De Gasperi, padre della democrazia repubblicana italiana, non ha una formazione democratica (nel senso stretto del termine), né tanto meno repubblicana. Ma anche qui, in realtà , possiamo individuare un carattere della democrazia liberale, costruita con materiali diversi, attraverso l’assorbimento di culture e di uomini che originariamente non le sono omogenei.
De Gasperi, dunque, non nasce democratico né repubblicano. E non nasce nemmeno cittadino italiano (anche se è italiano di lingua e di cultura). Il suo paese natale, Pieve Tesino, come tutto il Trentino, faceva parte dell’Impero asburgico. E lui resta, per i primi trentasette anni della sua vita, un suddito fedele dell’imperatore d’Austria, partecipando attivamente alla vita politica dell’Impero, nelle file del movimento cattolico: prima a livello locale, poi, dal 1911, come deputato al Parlamento austroungarico. Si batte per la tutela dei diritti della comunità italiana (per questo finisce anche in prigione nel 1904 a Innsbruck, dove frequenta l’università ), ma non è irredentista: e ciò gli verrà rimproverato nel secondo dopoguerra dai suoi avversari politici di destra e di sinistra. Come molti giovani cattolici della sua generazione, guarda con qualche interesse alla Democrazia cristiana di Murri. Ma, per formazione, è piuttosto un cristiano-sociale: e dei cristiano-sociali austriaci, che avevano come figura di riferimento il borgomastro di Vienna Karl Lueger (per inciso: uno dei modelli di Hitler nella sua giovinezza viennese) condivide in questi anni anche le chiusure e le idiosincrasie, compreso un certo pregiudizio antiebraico, oltre che antimassonico e antiliberale: del resto i liberali erano in Trentino i suoi rivali politici, come lo erano i socialisti.
L’apprezzamento, e direi anche la passione, per le pratiche e gli istituti della democrazia liberale De Gasperi li avrebbe maturati più tardi, prima con l’adesione al Partito popolare e attraverso l’opposizione al fascismo, poi, dopo la seconda guerra mondiale, nel contrasto col comunismo e nel contatto con le democrazie anglosassoni. L’esperienza trentina è comunque fondamentale per molti aspetti1. Non solo rivela una precoce vocazione politica, ma aiuta a spiegare alcune caratteristiche del De Gasperi maturo: la tendenza a conciliare la militanza cattolica col senso dello Stato, la passione per la buona amministrazione, l’abitudine a muoversi in un contesto plurale, multietnico.
Nella politica italiana De Gasperi fa il suo ingresso ufficiale nel giugno 1919, quando è chiamato a presiedere la seduta inaugurale del congresso di fondazione del Partito popolare italiano, a Bologna. A questa incombenza era stato designato in quanto rappresentante del Trentino appena riunito alla madrepatria. Alla Camera entra con le elezioni del maggio 1921 (le prime in cui votano le popolazioni delle «terre liberate») e subito viene eletto presidente del gruppo parlamentare popolare: sia grazie al successo elettorale (il Ppi prende il 50% dei voti in Trentino e lui è il primo degli eletti), sia in virtù dell’esperienza maturata nel Parlamento di Vienna (nel partito non erano in molti a possedere questa esperienza, visto che i cattolici si erano tenuti lontani dalla vita politica del Regno). In questa posizione di rilievo vive tutta la vicenda tormentata del Ppi, in sostanziale accordo col fondatore e segretario del partito, don Luigi Sturzo, da cui pure lo separavano molte cose (Sturzo era un prete e un intellettuale meridionale, De Gasperi era un cattolico di formazione asburgica, con la vocazione dell’uomo di Stato). Alla segreteria del Ppi De Gasperi arriva nel maggio del ’24, un anno dopo che Sturzo è stato costretto a lasciare la guida del partito: siamo alla vigilia della crisi Matteotti e della secessione aventiniana, che avrà De Gasp...