Funzioni della mente: azioni, emozioni, esperienze
Il controllo dell’azione
Una delle funzioni più importanti del sistema nervoso è quella motoria: nel corso dell’evoluzione il controllo dei movimenti si è sempre più perfezionato grazie allo sviluppo di strutture nervose in grado di controllare l’esecuzione di schemi motori molto complessi. La precisione dei movimenti umani, ad esempio quelli della mano, dipende dalla massiccia presenza di neuroni motori sulla corteccia. Un gran numero di neuroni motori implica infatti una motricità più selettiva: perciò nella nostra specie esistono molte cellule piramidali (corteccia motoria) che controllano la mano, mentre le cellule nervose che controllano l’arto di una scimmia, o peggio l’arto anteriore di un cane o di un gatto, sono molto meno numerose.
Un altro aspetto della motricità è che essa non è soltanto un prodotto del cervello, controllato dalla mente, ma anche un meccanismo che dà forma alla mente e alla stessa coscienza. I movimenti, infatti, non sono un puro congegno, un mezzo per ottenere qualcosa: essi sviluppano la logica della mente, fanno sì che cogliamo nessi temporali come il prima e il dopo, nessi di causa ed effetto, la concatenazione dei diversi anelli che unendo sensazioni e azione formano la catena del pensiero, come indicano, ad esempio, André Berthoz o Silvano Tagliagambe.
Anzitutto, dove originano i movimenti? Ormai da molto tempo è noto che quando compiamo un’azione, ad esempio giriamo la pagina di questo libro, afferriamo un oggetto, camminiamo e via dicendo, ciò si verifica grazie all’entrata in funzione dei neuroni situati sulla corteccia motoria che fa parte del lobo frontale.
Come abbiamo visto, le caratteristiche della corteccia motoria sono note da oltre un secolo e mezzo fa, da quando due studiosi tedeschi, Fritsch e Hitzig, stimolando con una blanda corrente elettrica la corteccia frontale di un cane, si resero conto che nell’animale si verificavano dei movimenti muscolari. Essi notarono anche che la corteccia motoria dell’emisfero destro controllava la metà sinistra del corpo e viceversa. Un secolo dopo uno studioso canadese, Wilder Penfield, tracciò una mappa molto accurata che metteva in luce i rapporti tra gruppi di neuroni situati sulla corteccia motoria umana e i muscoli da essi controllati. Questa mappa ha il nome di omuncolo motorio. Si parla di omuncolo, e non di uomo, in quanto la sagoma corporea è deformata: sulla corteccia esistono infatti molti neuroni che controllano aree importanti come la faccia o le mani e meno neuroni per controllare aree come il tronco o le gambe. Maggiore è il numero dei neuroni, più vaste sono le aree del corpo rappresentate sulla corteccia motoria, più selettivi e raffinati i movimenti muscolari.
Va anche detto che sulla corteccia somatosensoriale (che a livello del lobo parietale, a contatto con quella motoria, decodifica le sensazioni tattili che provengono dalle varie aree del corpo) è possibile identificare un altro omuncolo, anch’esso deformato in quanto gli stimoli sensoriali che provengono dal volto o dalle mani (dove esiste un maggior numero di recettori tattili rispetto al tronco o alla schiena) sono più rappresentati nella corteccia: per questo motivo possiamo identificare due punte di un compasso distanti due millimetri che vengano premute sul polpastrello di un dito, mentre sulla schiena la sensazione è di una sola punta anche se esse sono distanziate di tre centimetri.
Il sistema muscolare è un sistema ad alta priorità: quando è attivato, gli altri sistemi, come quelli responsabili della percezione delle sensazioni, dell’attenzione, delle attività cognitive ecc., sono in uno stato di relativo blocco, il che può essere facilmente compreso se si pensa che negli animali i movimenti sono legati all’esecuzione di azioni importanti per la sopravvivenza come la fuga, l’attacco, la ricerca del cibo, di un partner sessuale, del nido. Attivare i muscoli, anche senza che si verifichi un movimento come avviene negli stati di tensione muscolare, significa anche coinvolgere altri muscoli, ridurre le sensazioni, limitare il flusso delle idee. Ad esempio, se siamo abituati a stringere i pugni o a serrare le mascelle difficilmente il nostro corpo (vale a dire i nostri muscoli) sarà veramente rilassato, difficilmente la nostra mente percepirà le sensazioni con la stessa intensità e purezza caratteristiche degli stati di relax muscolare.
La motricità non ha quindi soltanto aspetti motori, ma ha conseguenze più generali, poiché coinvolge altri sistemi, come quello percettivo. Anche se i movimenti dipendono prevalentemente dalle aree e dai sistemi motori del cervello, tutto il cervello è in qualche modo coinvolto nel controllo della motricità. Anche le aree che decodificano le sensazioni, attraverso le quali percepiamo lo stato di tensione dei muscoli o la posizione di un arto, esercitano un loro ruolo in quanto, attraverso il loro feedback, cioè attraverso informazioni retroattive, ci informano su come un particolare movimento viene eseguito: senza queste informazioni il movimento è impreciso, grossolano o addirittura bloccato. Pensate a quando si prova un formicolio a una gamba: questa sensazione deriva dalla compressione di un nervo che trasmette le sensazioni al sistema nervoso o dalla compressione di un vaso che irrora quel nervo e gli consente di essere attivo. Ma quando si hanno le formiche, quando un arto è intorpidito, i sistemi motori, pur non essendo coinvolti direttamente, funzionano male perché sono alterati i meccanismi sensoriali, in particolare le informazioni propriocettive, quelle che ci permettono di renderci conto della localizzazione spaziale degli arti, dello stato di tensione muscolare ecc.: in qualche misura, per rispondere alla domanda “Chi sono io?” bisogna anche rispondere alla domanda “Dove sono io?”.
I muscoli sono controllati dai neuroni piramidali (hanno una forma a piramide) situati sulla corteccia motoria o di Rolando, l’anatomista italiano che per primo la descrisse. Da quest’area della corteccia partono gli ordini per i singoli muscoli, ordini che vengono incanalati lungo le vie nervose piramidali che giungono al midollo spinale, entrano in contatto con i neuroni motori situati nel midollo e da lì raggiungono le fibre muscolari. Quando flettiamo un dito, il comando parte dalla corteccia motoria e nel giro di una frazione di secondo giunge ai muscoli flessori: il dito, quindi, si flette grazie all’eccitazione dei neuroni che lo controllano, situati sull’omuncolo motorio. Questo fenomeno può essere visualizzato grazie a quelle tecniche, come la PET, che mettono in evidenza le parti del cervello che sono più attive, in quanto hanno un metabolismo più elevato e perciò consumano più zucchero per il loro fabbisogno energetico. Se una persona flette la mano o il dito indice, la PET rivela il gruppo di neuroni piramidali che ha dato inizio a quest’azione. Tutti i movimenti muscolari comportano l’attivazione di neuroni della corteccia motoria: muovere un dito, la mano, sorridere, chiudere le palpebre dipende dall’azione di neuroni che si attivano e trasmettono la loro eccitazione alle fibre nervose e infine ai muscoli. Sebbene non ce ne rendiamo conto, quando compiamo un movimento non sono soltanto i nostri muscoli a consumare energia, ma anche le cellule nervose che li pilotano.
L’attività motoria è in realtà ancora più complessa di quanto abbiamo visto finora. Afferrare un oggetto ci sembra un’azione quasi istintiva, ma in realtà dipende da diversi sistemi: il sistema piramidale, costituito da lunghe fibre nervose che corrono dal cervello al midollo spinale e quello extrapiramidale. Il primo sistema dipende da neuroni situati nella corteccia motoria, il secondo dai neuroni dei gangli della base, situati nella profondità del cervello. Quando uno dei due sistemi è leso, si verificano diversi tipi di danni motori: ad esempio, nei casi di lesioni delle fibre piramidali, che originano dalla corteccia motoria, si riduce l’efficienza di movimenti selettivi come afferrare un oggetto con le dita, ma non dell’accuratezza e dei tempi implicati nel raggiungimento dell’oggetto, cioè nel posizionamento nello spazio dell’arto e della mano, controllati dal sistema extrapiramidale. Nel caso in cui quest’ultimo non funzioni correttamente, come avviene nel morbo di Parkinson in cui degenerano i neuroni dei gangli della base, i movimenti non sono più fluidi, non sono automatici e continui, sembrano simili a quelli di un braccio meccanico che si muove a scatti e deve aggiustare il proprio posizionamento mediante diversi tentativi. La com-po-sizione dei movimenti, la loro armonia, è assicurata dall’entrata in gioco dei gangli della base e del cervelletto: in queste strutture nervose sono registrate le memorie di quegli schemi motori (l’entrata in funzione di una sequenza di muscoli) che ci permettono di colpire un pallone in corsa, di volteggiare alle parallele, di battere il crawl o di nuotare a delfino.
Questa appena descritta è l’architettura del movimento, ma la sua programmazione è più complessa: oltre alla corteccia motoria, ai gangli della base, al cervelletto, altre aree controllano la motricità. Davanti alla corteccia motoria sono situate quella premotoria e quella supplementare, aree che selezionano il tipo di movimenti che saranno eseguiti dalla corteccia motoria. La corteccia premotoria genera i movimenti in risposta a stimoli esterni, come ad esempio avviene quando ci si alza dal tavolo per aprire la porta in risposta al suono del campanello o quando si digita un numero del telefono che ci hanno appena indicato. La corteccia supplementare seleziona invece i movimenti in risposta a stimoli interni, come quando ci si alza dalla seggiola perché si sentono i muscoli irrigiditi o quando si digita un numero di telefono a memoria. Cosa succede però quando decidiamo di muoverci, ad esempio quando pensiamo di iniziare un’azione senza ancora eseguirla? Prima che si verifichi il movimento, nel momento in cui stiamo pensando di realizzarlo ma non lo abbiamo ancora eseguito, la corteccia premotoria, situata anteriormente alla corteccia motoria nel lobo frontale, diviene attiva, il che indica come vi siano aree del cervello che predispongono il movimento e aree che lo realizzano: la corteccia premotoria predispone l’azione motoria senza però che questa venga eseguita, senza che la corteccia motoria si attivi. In altre parole, pensare un movimento significa anche realizzarlo a metà, come indicano alcune ricerche basate sul brain imaging (PET), che visualizza la sequenza delle aree implicate nella programmazione ed esecuzione motoria. La pianificazione precede sempre il movimento reale e i muscoli sono in uno stato di preallarme, uno stato diverso rispetto a quello che si verifica quando, ad esempio, si alza veramente il braccio.
La corteccia premotoria ha quindi il compito di preparare all’azione, anche se la risoluzione di compiere un movimento dipende da decisioni prese dalle aree anteriori della corteccia frontale – l’area 46 – che si attivano qualche millesimo di secondo prima della corteccia motoria. Quando l’io decide di compiere un movimento, ad esempio voltare la pagina di questo libro, la decisione viene quindi presa dalla corteccia prefrontale e successivamente dall’attivazione della corteccia premotoria e infine di quella motoria. Questa descrizione dell’esecuzione dei movimenti sembra indicare un totale controllo sull’azione da parte del soggetto: in realtà i movimenti sono talmente importanti e la motricità ha un ruolo talmente significativo nei nostri rapporti con la realtà che l’evoluzione ha fatto sì che nel nostro cervello fosse presente un meccanismo imitativo, in grado di reagire ai movimenti eseguiti da altri esseri umani e di copiarli, incamerandone lo schema. La nostra corteccia premotoria si attiva infatti anche quando osserviamo gli altri compiere un movimento, anche quando non abbiamo alcuna intenzione di muoverci ma sono gli altri a muoversi. Anche se non ce ne rendiamo conto, la corteccia cerebrale fotocopia i movimenti che vediamo effettuare intorno a noi: ci potrà dispiacere pensare di essere delle specie di macchine che rispecchiano le azioni altrui, ma questo è proprio quanto si verifica nei mirror neurons (neuroni specchio), un particolare tipo di neuroni caratterizzati dalla capacità di rispecchiare i movimenti eseguiti da altri.
I mirror neurons sono localizzati nella corteccia premotoria dei primati e si attivano quando un animale – o un essere umano – osserva un altro animale compiere un movimento. Ad esempio, se una scimmia afferra un oggetto, nella scimmia che la osserva si attivano quei neuroni che, nella corteccia premotoria, potrebbero preparare i neuroni della corteccia motoria a realizzare una simile azione. I mirror neurons stabiliscono quindi una sorta di ponte tra l’osservatore e l’attore, sono attivi anche nella nostra specie e sono al centro di comportamenti imitativi, molto importanti soprattutto nella fase infantile. Pensate a un bambino che, per la prima volta, vede un altro bambino fare una capriola: nel suo cervello, in modo automatico, si attivano gruppi di neuroni che elaborano lo schema di un movimento che, fino a quel momento, il bambino-osservatore non ha mai compiuto. Lo schema implica sequenze muscolari, come puntare le braccia, raccogliere il corpo, estendere le gambe, flettere la testa, compiere un giro su se stessi, ritornare in piedi. Nessuna parola riuscirebbe a trasmettere al bambino l’informazione necessaria per descrivergli la capriola, nessuna astrazione è in grado di emulare la concretezza del movimento: il bambino deve provare, azzardare la sua prima capriola, anche se quella capriola è stata in qualche modo già preparata dai mirror neurons che hanno interiorizzato le sequenze motorie necessarie. Questi stessi neuroni giocano un ruolo fondamentale nell’intelligenza linguistica, quando un bambino piccolo impara a imitare i suoni degli adulti, a compiere quei movimenti delle labbra e del volto che lo porteranno a imitare, sia pure con qualche sforzo, i movimenti che ha visto mettere in atto dagli adulti: la motricità, e i mirror neurons che ne facilitano alcuni aspetti, è quindi un aspetto fondamentale dello sviluppo infantile. È attraverso l’osservazione e l’azione motoria che un bambino fa una serie di apprendimenti concreti che, man mano, si trasformeranno in concetti astratti.
Il meccanismo dei mirror neurons è talmente potente che questi neuroni non si attivano soltanto quando osserviamo il movimento compiuto da un’altra persona che, ad esempio, prende una chiave inglese e stringe un bullone: a Parma, Giacomo Rizzolatti e i suoi collaboratori hanno dimostrato che questi neuroni si eccitano anche quando vediamo sullo schermo del computer un braccio virtuale che compie lo stesso movimento o lo schema stilizzato di un essere umano che cammina o corre. In tutti questi casi, i segnali visivi vengono inviati alla corteccia premotoria e questa reagisce attivando gruppi di neuroni che anticipano un’azione che non necessariamente si verificherà. Perciò la corteccia di un bambino che assiste a un filmato o a un cartoon, i cui personaggi compiono movimenti mirabolanti, si attiva freneticamente, preparando quei movimenti e in qualche misura contribuendo a eccitare il sistema nervoso del bambino.
I movimenti e la mente
Ritorniamo al nostro interrogativo: è la mente che costruisce movimenti e li realizza attraverso i muscoli oppure la motricità contribuisce a costruire la mente? I movimenti muscolari alla base di automatismi e operazioni raffinate quali camminare, allacciarsi le scarpe, scrivere, parlare, sono un prodotto della mente, sia pur mediato dal cervello, o rappresentano anche i mattoni su cui vengono edificate un insieme di complesse capacità mentali? In altre parole, è l’io a produrre movimenti o sono i movimenti a produrre l’io?
Forse questa affermazione può sembrare paradossale, ma non è fuori luogo domandarsi se non sia possibile rovesciare una concezione della mente che considera il movimento come una semplice operazione motoria, dettata dall’alto, in favore di una concezione in cui il movimento occupa un ruolo centrale e costituisce il punto di partenza per lo sviluppo delle funzioni mentali. Per addentrarci più a fondo nel campo dei rapporti tra motricità e mente si può cominciare dal processo di costruzione della memoria, che inizia a partire dalle prime fasi della vita postnatale e che si basa sulla capacità del neonato di riconoscere ciò che avviene regolarmente intorno a lui. All’inizio il neonato ha un ruolo prevalentemente passivo e si limita a notare una serie di movimenti e azioni che sono causa di eventi che riguardano il suo benessere. Ogni movimento della mamma ha conseguenze positive sul neonato: le carezze soddisfano la necessità di un contatto fisico, il cibo soddisfa la fame, i gesti e le parole della mamma rispondono alla sua curiosità e alla sua necessità di esplorare il mondo. Un adulto che si avvicina, che gli parla, che gli sorride, che lo culla, che lo sfama: questo è il mondo iniziale del neonato, fatto di movimenti dell’adulto che comportano effetti positivi.
Ben presto, però, è il neonato stesso, con i suoi movimenti sempre più precisi e selettivi, a produrre azioni che implicano modifiche nell’ambiente che lo circonda. Lo sviluppo della motricità avviene gradualmente dopo la nascita e attraverso tappe ben precise. Dopo qualche settimana, il neonato è in grado di compiere movimenti grossolani, ad esempio di avvicinare al suo corpo un oggetto attraverso un movimento poco selettivo del braccio; dal secondo al quarto mese può afferrare qualcosa, ad esempio il proprio piedino, stringendo simultaneamente tutte le dita della mano; in seguito è in grado di orientare le mani e di sviluppare quella che si chiama una presa di precisione, vale a dire opporre l’indice e il pollice della mano per afferrare un piccolo oggetto, ad esempio un cucchiaio. Queste azioni motorie sono man mano sempre più coordinate e basate su un susseguirsi di atti che dipendono da memorie che codificano concatenazioni di movimenti in grado di rispondere a situazioni specifiche. Queste sequenze si arricchiscono ben presto di complesse successioni muscolari volte a imitare le espressioni facciali dell’adulto. I movimenti degli arti e la mimica sono un nucleo iniziale di schemi motori, memorie muscolari intorno a cui si addensano le memorie successive, come una specie di ordito che man mano verrà lavorato dal succedersi di esperienze e attività della mente. Queste stesse memorie muscolari o corporee – il termine tecnico è procedurali, in quanto implicano una serie di procedure e non di significati, come avviene per le memorie semantiche – costituiscono il punto di partenza dei successivi apprendimenti linguistici, anch’essi fondati su sequenze motorie che non sono molto differenti dall’organizzazione dei movimenti della mano o della testa ma che servono per produrre una serie coordinata di suoni significativi.
Lo sviluppo della memorie motorie nel corso dell’infanzia indica che la memoria non è soltanto un fatto mentale ma anche corporeo, basato su procedure non esplicitabili, dato che è molto difficile, se non impossibile, formalizzarle in termini linguistici. Come si fa a descrivere la sequenza di movimenti delle labbra e della lingua che servono per produrre suoni come “mamma”, “pappa”, “nanna”? L’azione racchiude in sé un sapere del corpo che può essere acquisito soltanto attraverso l’imitazione e la pratica, come nel caso del linguaggio che si realizza a partire da catene coordinate di movimenti degli organi vocali, memorizzati attraverso ripetizioni successive.
Azioni e movimenti hanno un ruolo centrale nei processi di rappresentazione mentale a partire dalle fasi embrionali, quando l’embrione comincia a manifestare attività riflesse che costituiscono i mattoni dei futuri comportamenti motori. L’embrione è anzitutto un organismo motorio, prima ancora di essere un organismo sensoriale: nella fase embrionale, in quella fetale e in quella della prima infanzia l’azione precede la sensazione e non il contrario: vengono compiuti dei movimenti riflessi e poi se ne ha la percezione. Noi siamo invece portati a porre l’enfasi sulle sensazioni e sulla percezione e a ritenere che il movimento dipenda essenzialmente da loro: ma potremo invece rappresentare questa sequenza in modo inverso attraverso uno schema in cui si parte dal passo iniziale, il movimento, per poi considerare le conseguenze che questo esercita sull’ambiente circostante, vale a dire la percezione di queste conseguenze e le modifiche che questa percezione esercita su movimenti successivi.
Le funzioni motorie vengono spesso considerate di basso livello, subordinate alle più elevate attività cognitive, alla razionalità del pensiero puro. Il corpo, perciò, viene considerato nella maggior parte delle culture come un’entità inferiore a quella mentale. Non si tiene invece conto del fatto che i movimenti e il corpo sono all’origine di quei comportamenti astratti di cui siamo fieri, come dello stesso linguaggio che dà forma alla nostra mente. Ad esempio, l’evoluzione di alcuni comportamenti motori, come la capacità di costruire e manipolare strumenti, ha fatto sì che si affermasse una logica dei movimenti basata su una sequenza di passi concatenati, di nessi di causa ed effetto. Progressivamente, la corteccia motoria (dove sono i neuroni che controllano i muscoli) e quella premotoria (dove sono i neuroni che pianificano i movimenti muscolari) hanno sviluppato una crescente capacità di generare sequenze di movimenti concatenati e hanno contagiato anche l’area di Broca, che controlla la motricità del linguaggio, a produrre quelle sequenze di sillabe che sono alla base della parola. Parlare, cioè articolare una sequenza di sillabe, rassomiglia, in termini di eventi muscolari sequenziali, all’azione di scheggiare una selce o scagliare una lancia.
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