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La violenza è inevitabile?
Informazioni su questo libro
La violenza sembra essere un filo che percorre l'intero tessuto della storia. La domanda ricorrente che ci poniamo è come sia possibile che esseri umani ordinari, 'normali' diventino produttori di orrori straordinari e inauditi. Tanto da chiederci se la violenza sia parte costitutiva della nostra specie. Adorno, Arendt, Sartre, Anders, sono tra i filosofi del '900 che hanno contribuito a questo dibattito.
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Argomento
FilosofiaCategoria
Saggi di filosofiaLa violenza è inevitabile?
La violenza sembra essere un filo che percorre l’intero tessuto della vita.
Nel mondo animale – di cui noi facciamo parte – è spesso evidentemente legata alla sopravvivenza dell’individuo e della specie. I maschi di alcuni mammiferi, per esempio, possono uccidere i piccoli di una femmina affinché essa si renda disponibile per l’accoppiamento, in modo da propagare i loro geni. E l’etologia contemporanea continua a riflettere su comportamenti animali diffusi, ma enigmatici e opposti, quali l’infanticidio, per un verso, e l’altruismo, per un altro.
Se la natura è evidentemente intessuta di violenza, non bisogna pensare, però, che sia nettamente distinguibile dalla cultura. Mangiare, per esempio, è naturale: se non mangiassimo, non sopravvivremmo. Eppure, cosa mangiamo, come ci procuriamo e prepariamo i cibi, quali tabù alimentari osserviamo, il modo in cui consumiamo i nostri pasti, sono tutte scelte culturali.
Non è corretto, quindi, pensare che la violenza sia tutta naturale, e la ‘nonviolenza’ tutta culturale.
Ma quando parliamo di violenza, di che cosa stiamo parlando?
Si potrebbe riservare il termine ‘violenza’ ai soli atti intenzionali, quelli mediante cui si infliggono sofferenze a esseri umani e non umani, fino all’estremo dell’uccisione. Da questo punto di vista, non ogni violenza prevista è da considerarsi anche intenzionale: per esempio, se con un bombardamento aereo si intende distruggere un deposito di armi nemiche nascosto nel centro di una città, è facile prevedere che vi saranno gravi ‘effetti collaterali’, e cioè molte vittime civili; ma la loro morte non è stata causata intenzionalmente. Lo sarebbe stata solo se i piloti avessero ricevuto l’ordine di colpire, oltre al deposito di armi, anche gli edifici circostanti.
Ma che dire della violenza che si palesa nella forza che vuole mettere fine a un’altra violenza, a ingiustizie colossali, a rapporti di sfruttamento, a una condizione di vessazione quotidiana? La violenza degli schiavi che uccidono i loro padroni, quella di un popolo oppresso dalla colonizzazione, quella di gruppi partigiani o guerriglieri che vogliono scacciare una forza nemica, crudele e tirannica, o quella – tristemente famosa ai nostri giorni – di chi è così convinto della necessità della propria ‘controviolenza’, tanto da essere disposto a farsi saltare in aria insieme all’esplosivo in mezzo alle file nemiche, o tra la popolazione civile? E, infine, quella violenza suprema che è la guerra, non è talvolta preferibile alla pace, se viene condotta contro chi viene percepito come una minaccia mortale?
C’è poi la violenza che si annida in atti di per sé non violenti. Se io ho estremo bisogno di qualcosa che un altro possiede in abbondanza, ma che non è disposto a darmi, la mia aggressione è un atto esecrabile di violenza o una necessaria e giusta ‘controviolenza’? E se, non intenzionalmente, alimento un sistema che richiede una certa forma di violenza, sono anch’io un violento? Se compro scarpe o palloni prodotti da bambini di altri continenti, fatti lavorare in condizioni semischiavistiche, partecipo alla violenza di quello sfruttamento? Per essere nonviolento, dunque, dovrei diventare vegetariano, acquistare prodotti che provengono esclusivamente dal commercio ‘equo e solidale’, rinunciare a molti privilegi?
La storia umana è costellata dalle violenze più sfrenate: ‘conquiste’ di interi continenti (per lo più, genocidi), gloriose vittorie militari (incarnate da indicibili sofferenze individuali, da parte dei vincitori e dei vinti), spietati stermini, torture fisiche e psicologiche, produzione di armi di distruzione e di morte sempre più sofisticate. E anche adesso, mentre leggete queste righe, è molto probabile che da qualche parte si stia consumando un massacro, che un prigioniero venga torturato a morte, che una bomba stia esplodendo, provocando dolore, mutilazioni e morte; che qualcuno – non importa se giocando, lavorando o combattendo – stia per mettere un piede su una mina, e che qualcun altro stia fabbricando e vendendo quelle stesse mine, o stia studiando e producendo nuovi armi di distruzione di massa (atomiche, chimiche, biologiche).
Il secolo appena trascorso, però, è stato forse «il secolo più terribile della storia occidentale» (Isaiah Berlin, filosofo), o addirittura «il secolo più violento nella storia dell’umanità» (William Golding, Premio Nobel per la letteratura), o il secolo «che ha suscitato le più grandi speranze che l’umanità abbia mai avuto e che ha cancellato tutte le illusioni, tutti gli ideali» (Yehudi Menuhin, musicista), o «solo un secolo di massacri e di guerre» (René Dumont, agronomo, ecologo). Nonostante gli innumerevoli massacri e genocidi, le innumerevoli gue...
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