Cultura sul corpo
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Cultura sul corpo

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Dalla profumazione ai piercing, dalle diete ai tatuaggi, dalla scarificazione fino alla chirurgia estetica. Uno dei più autorevoli antropologi italiani, Francesco Remotti, analizza i principali interventi estetici che l'uomo compie sul proprio corpo, dalle comunità native della Nuova Guinea fino alle società occidentali contemporanee.

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Informazioni

Cultura sul corpo

1. Una teoria antropo-poietica

Nel Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, Ermia, innamorata di Lisandro, rifiuta di sposare Demetrio, opponendosi in tal modo alla volontà del padre, Egeo. Il duca di Atene, Teseo, la rimprovera aspramente, facendole notare che per lei suo padre dovrebbe essere simile a un dio, un dio «che modellò le tue grazie» e che, proprio per questo, ha il potere o di conservare intatta la “tua” figura o, all’opposto, di sfigurarla: tu, Ermia, «altro non sei che cerea forma da lui plasmata» (Shakespeare 1991: 6-7).
In queste poche righe Shakespeare praticamente espone le linee fondamentali della teoria dell’antropo-poiesi: 1) l’essere umano può / deve essere plasmato; 2) essendo l’essere umano una sostanza malleabile, simile a “cera”, esso richiede un intervento che gli dia “forma” e “figura”; 3) l’intervento plasmatore, reso necessario dalla mancanza di forma originaria, è in quanto tale di tipo estetico: ha a che fare immediatamente con la “bellezza”; 4) l’intervento plasmatore è anche una faccenda di “potere”: nel caso di Ermia, si tratta del potere che il padre Egeo esercita sulla figlia; 5) plasmare un essere umano è un potere enorme e terribile, tale per cui il padre Egeo può dire che Ermia «mi appartiene, ed io disporrò di lei» (I, i, 42); 6) chi detiene (chi si arroga o colui a cui venga riconosciuto) un potere siffatto è assimilabile a un “dio”: plasmare a proprio piacimento gli esseri umani è un potere di natura divina; 7) come Ermia, è possibile però ribellarsi a questo potere, sfuggire alla sua presa e modellare diversamente se stessi o la propria vita.
Se non ci si può sottrarre all’antropo-poiesi, se in un modo o nell’altro occorre provvedere a un modellamento, si aprono diverse alternative inerenti ai gradi, tipi e livelli di attività antropo-poietiche, nonché ai soggetti che subiscono oppure esercitano capacità di tal genere. Ma, quali che siano le attività e i soggetti considerati, è altrettanto vero che ogni intervento antropo-poietico, per il fatto stesso di modellare e dare forma, presenta implicazioni di natura estetica. Colui (dio o uomo) che modella si imbatte nel problema della forma, della sua bellezza, grazia, appropriatezza, oltre che della sua funzionalità. Il perseguimento di un fine estetico può risultare secondario rispetto a fini più propriamente funzionali. Ma gli effetti estetici sono comunque ineludibili, essendo connaturati all’idea di forma, di immagine, di modello. Nella Genesi biblica fu Dio a volere “fare” l’uomo («facciamo l’uomo») e lo fece non esattamente dal nulla, ma “modellando” – come il vasaio – la terra; inoltre Dio fece gli uomini «a norma della sua immagine» (Genesi 1, 26-27; 2, 7 – La Bibbia 1987: 10-11), e con ciò impresse un modello da cui non è lecito discostarsi.
Attribuito a Dio oppure agli uomini, il lavoro antropo-poietico è globale e pervasivo. Certo, secondo le sue finalità può dirigersi prevalentemente verso questo o quell’aspetto dell’essere umano. È quindi del tutto plausibile che si determini una gerarchia di fini antropo-poietici, nel senso che si potrà dare, per esempio, maggiore importanza al modellamento morale, piuttosto che all’educazione intellettuale, oppure privilegiare le dimensioni intellettuali e morali rispetto a quelle sensibili o, al contrario, curare maggiormente il corpo rispetto all’anima o allo “spirito”. Anche quando l’antropo-poiesi si concentra sulle dimensioni spirituali è bene non dimenticare che vi è in effetti un’estetica dello spirito, ovvero che le preoccupazioni estetiche non si riducono affatto alla cura del corpo1. È indubbio, tuttavia, che come la dimensione estetica è ineludibile per qualsiasi tipo di foggiatura antropo-poietica, così non ci si può mai sottrarre del tutto alle preoccupazioni per gli aspetti del corpo. Ammettere la dimensione estetica di qualsiasi tipo di intervento antropo-poietico significa riconoscere l’onnipresenza del corpo in ognuno di questi tipi di interventi. Anche quando il corpo viene trascurato o condannato, esso subisce effetti estetici di indubbio rilievo: il rifiuto di curare l’estetica del corpo è comunque una scelta di tipo estetico. Pure quando non si perseguono obiettivi di bellezza, e al contrario si abbandona volutamente un simile tipo di preoccupazioni, non si esce affatto da un’estetica del corpo.
Sosteniamo dunque le seguenti tesi. 1) Ogni progetto antropo-poietico, per il fatto stesso di essere un modellamento, comporta inevitabilmente una dimensione estetica. 2) Tale dimensione passa attraverso una scelta estetica relativa al corpo. 3) Tale scelta può essere conforme ai canoni di bellezza di una determinata società, oppure contraria e alternativa ad essi. 4) Più precisamente, tale scelta può configurarsi: a) come una scelta di conformità rispetto ai canoni di bellezza comunemente accettati; b) come una scelta alternativa rispetto ai canoni di bellezza vigenti; c) come una scelta di non intervento. Se nel caso a) gli individui si impegnano a realizzare sul loro corpo modelli e tipi ampiamente diffusi nella loro società, e se nel caso b) gli individui si ingegnano invece a ricercare modelli di bellezza difformi rispetto a quelli vigenti, contravvenendo ai canoni particolari della propria società, nel caso c) gli individui si spingono ai limiti della stessa estetica del corpo, non già scegliendo interventi difformi, alternativi o contrastanti, bensì scegliendo il “non-intervento” (o una serie di “non-interventi” su singoli aspetti particolari).
L’estetica del corpo si articola quindi in “Interventi” e in “Non Interventi”, intendendo che anche i “Non Interventi” (singoli o globali che siano) rappresentano una scelta che riguarda l’estetica del corpo: ci si spinge ai suoi confini, ma tutto sommato ci si mantiene entro i suoi limiti. Per quanto ideologicamente si possa scegliere il “non-intervento” globale (ritenendo che il corpo debba essere del tutto ed esclusivamente affidato alle sue manifestazioni, funzioni e processi naturali), sembra inevitabile che ci si debba accontentare però di una serie di “non-interventi” particolari (si lasceranno crescere, per esempio, barba e capelli, ma ci si adatterà a tagliare le unghie o a togliere certa sporcizia dal proprio corpo). Potremmo aggiungere che i “Non Interventi” rientrano nella categoria delle “Sospensioni” culturali che abbiamo indagato di recente: può succedere che gruppi o individui decidano di non estendere le proprie attività di intervento in determinati settori, ovvero di arrestare l’esercizio di attività che pure caratterizzano la propria cultura (Remotti 2011: cap. VIII).
Gli interventi estetici sul corpo (d’ora in avanti designati con l’acronimo IEC) possono essere classificati secondo una tipologia più o meno estesa e articolata. Ma, qualunque sia il numero delle categorie di IEC individuate, possiamo ipotizzare tre diversi generi di situazioni: i) società (o al loro interno individui) che tendono ad accumulare tutti i possibili tipi di IEC; ii) società (o individui) che adottano soltanto alcuni tipi di IEC; iii) società (o individui) che rifiutano ogni tipo di IEC e che anzi intendono rifiutare l’idea stessa di intervento estetico sul corpo. Come è facile intuire, i due estremi (tutti / nessun tipo di IEC), per quanto teoricamente ipotizzabili, ben difficilmente corrispondono a situazioni reali (sia a livello individuale, sia a livello sociale). Decisamente più probabile è invece la situazione intermedia, in cui società e individui inventano, elaborano o adottano un certo numero di IEC, quantitativamente variabile secondo le scelte operate, con esclusione di altri. Ciò significa che società e individui si differenziano tra loro sia per i tipi di IEC adottati sia anche per il numero di IEC prescelti. A un estremo vi sono società e individui che si riempiono di segni e che dunque manifestano in modo del tutto palese l’esigenza antropo-poietica di intervenire sul corpo al fine di modificarlo; all’altro estremo troviamo invece società e individui che al contrario tendono a ridurre al minimo gli IEC e per i quali è decisamente più importante astenersi da certi interventi (specialmente dagli interventi più invasivi) e cercare di mantenere il corpo nella sua integrità “naturale”. In altri termini, società e individui possono esibire prospettive antropo-poietiche per così dire barocche (in cui si combinano tipi molto diversi di IEC) e prospettive antropo-poietiche scarne ed essenziali, centrate su modelli fortemente selettivi di IEC.
Potremmo allora richiamare il concetto di “densità” relativa, suggerendo che vi siano culture più dense e culture meno dense per quanto riguarda gli interventi estetici sul corpo. Facendo intervenire, insieme a quello di sospensione, il concetto di densità culturale (Remotti 2011: cap. VII), ci apriamo la strada a un’ulteriore considerazione. Sospendere, scegliere di non intervenire, significa lasciare spazio a forze, fattori, fenomeni, processi di altra natura, rispetto agli interventi di ordine culturale (si lasciano crescere unghie o capelli sul proprio corpo, così come tra i BaNande del Nord Kivu si lasciano crescere del tutto spontaneamente gli alberi che formano le tombe arboree dei loro capi). Come abbiamo già detto, anche questa è una scelta di tipo estetico, esattamente come le tombe arboree dei capi nande sono opere d’arte, pur affidate nella loro costruzione alle forze naturali degli alberi di foresta: scelta che si spinge ai confini, pur rimanendo entro i confini dell’estetica. Ma se possiamo immaginare gli interventi estetici sul corpo come un’area a densità variabile, con sospensioni più o meno volute e progettate, è inevitabile pensare anche ai confini e ai limiti che quest’area subisce e alle situazioni e fattori che agiscono contro le possibilità di intervento estetico, impedendone la realizzazione e finanche l’ideazione. Come è facile immaginare, l’antropo-poiesi subisce impedimenti e arresti organici (si pensi alle malattie) e soprattutto conosce nella morte il suo scacco definitivo.
Obiettivi di questo scritto è però quello di concentrarsi sulla molteplicità degli interventi positivi sul corpo, elaborando una tipologia sufficientemente articolata di IEC. Proprio analizzando tale tipologia ci si renderà conto dell’impossibilità da un lato di adottare e dall’altro di evitare tutti i tipi di interventi; ovvero le società oscillano tra i due estremi, posizionandosi – spesso in modo temporaneo – più verso un estremo o più verso l’altro. Inoltre, per quanto una società possa definirsi attraverso la scelta di particolari tipi di IEC (Maori e isole Marchesi, per esempio, attraverso il tatuaggio), ben difficilmente gli IEC prescelti riguarderanno tutti i membri di quella società, nello stesso modo e nella stessa misura. Nel campo IEC le variazioni individuali, spesso in relazione a differenze di rango, di età, di genere e così via, sono all’ordine del giorno. Questa osservazione del resto apre la strada a un’altra riflessione, ovvero la tendenza da parte degli individui a esplorare vari tipi di IEC, così che in una società si possono riscontrare fluttuazioni, tentativi, soluzioni temporanee, abbandoni. Alla base degli IEC presenti nelle diverse società (e nei diversi individui) vi sono dunque selezioni mirate, principi e atteggiamenti che esprimono nello stesso tempo convinzioni e incertezze, ricerche ostinate e perplessità di fondo.

2. Tipologia di interventi estetici

Costruire una tipologia di IEC ha il significato di provare a mettere un po’ di ordine in una molteplicità incredibilmente complessa e variegata di fenomeni culturali. Si è già cercato in diverse occasioni di elaborare una tipologia di IEC. In particolare nel volume Fare umanità (Remotti 2013: cap. IV) sono state proposte 23 categorie di IEC, includendo anche gli interventi in vista della morte e sui corpi morti. Qui ci limitiamo invece agli interventi sui corpi vivi, essendo questa una matassa di per sé assai intricata.
La tipologia che adotteremo non è altro che un’ipotesi di lavoro. Non raggiunge cioè il livello di una tassonomia vera e propria, se a questa nozione intendiamo annettere un valore sistematico. Nel tentativo proposto il sistema è piuttosto carente, e comunque non è stato perseguito come obiettivo. Si è voluto sacrificare un impianto sistematico per conseguire invece un altro scopo: quello di offrire un’immagine ampia e sufficientemente articolata delle possibilità di IEC. Per fare questo era assolutamente inevitabile costruire dei “tipi” o delle “categorie” dotate di una certa plausibilità e aderenza ai casi concreti: solo mediante questi mezzi ci è sembrato possibile provare ad addentrarsi nella foresta intricata degli interventi estetici a cui il corpo può essere sottoposto. Ridurre in qualche modo la varietà ed eterogeneità degli IEC, sottoponendole a una sorta di controllo concettuale e tipologico, ci è sembrato una via obbligata per potersi rendere conto con ma...

Indice dei contenuti

  1. Cultura sul corpo
  2. Riferimenti bibliografici
  3. L’autore