L'azienda sostenibile
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L'azienda sostenibile

  1. 152 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'azienda sostenibile

Informazioni su questo libro

Il rispetto delle persone e dell'ambiente deve essere al centro dell'impresa che guarda al futuro. Questo è in sintesi il paradigma dello sviluppo sostenibile, che chiama in causa non solo le aziende ma anche i consumatori e lo Stato. La sfida sarà vinta solo se il cambiamento culturale sarà preso in carico da tutti.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858145647
Argomento
Economia
Categoria
Finanza

1.
I concetti base
della sostenibilità

1.1. Introduzione

Quando si fa riferimento a un’organizzazione o a un’azienda, è necessario innanzitutto focalizzarsi su una serie di fattori chiave tra loro interconnessi, che permettono di leggere e analizzare nel dettaglio il concetto di sostenibilità secondo una prospettiva economico-aziendale:
– il paradigma;
– l’azienda;
– le pratiche manageriali;
– i settori.
Ciò equivale ad analizzare il perché (paradigma), il chi e il come (l’azienda e le pratiche manageriali), il che cosa (il settore) della sostenibilità. È la combinazione di questi elementi che connota in modo univoco il modello sostenibile: la presenza di uno soltanto di essi, pur essendo in sé apprezzabile, non è sufficiente a definire sostenibili le esperienze e le prassi. Si tratta, inoltre, di aspetti propedeutici ai temi che affronteremo nei capitoli successivi.
L’idea di fondo è che un’azienda sostenibile è in grado non solo di conseguire redditi tali da soddisfare le aspettative dei soci/azionisti e garantire la durabilità e lo sviluppo dell’istituto in condizioni di economicità, ma anche di diffondere innovazione a vantaggio dell’intera società. Un esempio emblematico? L’impresa sociale Embrace, della quale è cofondatrice e CEO Jane Chen, insieme ad altri giovani imprenditori, ha sviluppato una sacca termica (Thermpod Embrace) per i bambini nati prematuri che permette di tenerli al caldo anche in contesti disagiati, in cui magari gli ospedali sono lontani, oppure l’elettricità manca o è intermittente. La startup si è prefissata l’obiettivo di contribuire a risolvere una sfida sociale (l’elevato tasso di mortalità infantile nei paesi poveri) attraverso una risposta economica, di mercato (il bene realizzato) e sociale (l’empowerment delle donne/madri, necessario per comprendere l’uso del prodotto).
Vediamo ora nel dettaglio il paradigma, l’azienda e i settori, mentre le pratiche manageriali, con particolare riferimento al sistema di controllo e alla misurazione delle performance, sono rinviate al capitolo 5.

1.2. Il paradigma

Con il termine paradigma, nell’accezione data dal filosofo della scienza Thomas Kuhn, si intende la prospettiva teorica, o struttura concettuale, condivisa e riconosciuta dalla comunità di studiosi di una determinata disciplina, fondata sulle acquisizioni precedenti della disciplina stessa e in grado di indirizzare le attività di studio e di ricerca in termini di scelta dei fatti da investigare, ipotesi da formulare e tecniche di ricerca empirica da impiegare (Corbetta, 2003).
Il paradigma a cui si ispira il concetto di sostenibilità è strettamente legato a tre differenti ambiti: charity, responsabilità sociale d’impresa e sostenibilità (o value creation).
La charity, o donation, ovvero l’azione caritatevole, si determina quando l’impresa2 dona un ammontare di risorse o parte dei propri profitti a un’iniziativa benefica, per sopperire a determinate forme di ingiustizia o sofferenza. La charity è molto diffusa e origina da motivazioni filantropiche, ma di fatto non affronta alla radice il problema delle ineguaglianze: la si può considerare, piuttosto, una forma di momentaneo sollievo. Attraverso le donazioni, l’impresa si fa in parte carico dell’ingiustizia, cercando di ridurre il peso della sofferenza che grava su singoli o su comunità, ma agisce dall’esterno, in un’ottica compassionevole e non in un quadro di intervento sistematico. L’attività svolta, in questo caso, è di pura erogazione, di beneficenza, senza il bisogno di attuare specifici e rilevanti processi di trasformazione tecnica, né di affrontare questioni strategiche o operative.
La charity, che affonda le radici in tempi lontani anche in Italia, ha trovato grande diffusione soprattutto nel mondo del capitalismo anglo-americano, in cui la cultura di riferimento è sostanzialmente protestante. Secondo tale visione – semplificando un po’ – l’imprenditore è consapevole che il proprio successo non è ascrivibile a sé e alle proprie qualità, bensì alla grazia di Dio, che ha ricevuto come dono gratuito. Egli può quindi perseguire i propri interessi lucrativi – anche per non sprecare quanto ha ricevuto in dono –, ma si sente eticamente in dovere di riversare, a sua volta, nella comunità parte di questa ricchezza e di perseguire una vita moralmente ineccepibile. L’imprenditore che aderisce a questo modello non agisce tanto in un’ottica sinallagmatica, guidato cioè da una logica per cui si dà nella misura in cui si è ricevuto, bensì spinto da un’etica weberiana, secondo cui la scelta di interessarsi agli altri è puramente libera, senza alcuna motivazione ulteriore se non la propria naturale inclinazione. In ambito cattolico, la carità si esprime con maggiore difficoltà, perché spesso interpretata secondo una logica per cui l’atto di donazione è funzionale alla richiesta di perdono, è un atto oblativo, per la remissione dei peccati, o va nella direzione di una captatio benevolentiae. In ogni caso, e quale che sia la matrice culturale di questi comportamenti, è evidente che la charity non produce un cambiamento sostanziale nella società. Per quanto doverosa e importante, è quindi un modello non del tutto soddisfacente, soprattutto nel lungo termine e valutando gli effetti delle risorse dedicate.
Il secondo ambito di azione è la Corporate Social Responsibility (CSR), ovvero la Responsabilità sociale d’impresa (RSI): una condotta aziendale che integra volontariamente, oltre alle prescrizioni legislative, gli aspetti ambientali e sociali, accanto a quelli economico-finanziari, nello svolgimento delle proprie attività e nelle relazioni con i diversi soggetti portatori di interesse, che devono essere sistematicamente coinvolti entro un sistema di governance allargata, istituzionalizzando un percorso condiviso di dialogo e confronto. In questo senso, la CSR enfatizza la componente etica nell’attività economica, considerando l’impresa come un soggetto moralmente responsabile che, attraverso un insieme di iniziative mirate e consapevoli, agisce da garante nei confronti di alcuni stakeholder: i dipendenti (le risorse umane), la comunità esterna e l’ambiente, inteso come lo spazio che ci circonda e in cui viviamo. Dato per assodato e immutabile il sistema di produzione dell’impresa, il tentativo è quello di rendere più efficace e funzionale il rapporto con tali stakeholder, attuando iniziative di welfare aziendale orientate al benessere dei dipendenti e delle famiglie, quali la creazione di asili nido, palestre e altri servizi; la concessione di permessi, pensioni integrative, ecc. Similmente, nei confronti delle comunità locali, l’impresa responsabile si fa carico di ottimizzare e migliorare il proprio rapporto con esse, sviluppando una serie di azioni che rendano più fluida e positiva la loro interazione. Lo stesso avviene nei confronti dell’ambiente: in quanto responsabile del contesto ambientale in cui opera, l’impresa ritiene che sia fondamentale mantenere un livello minimo di inquinamento (una certa percentuale è comunque inevitabile) per preservare l’equilibrio naturale. Tra le iniziative intraprese, molto diffusa è l’introduzione, alla fine del ciclo produttivo, di sistemi di filtrazione, in modo da ridurre al massimo le emissioni che potrebbero risultare nocive per gli esseri viventi.
Anche questo modello, però, risulta poco sostenibile: vengono attutiti gli effetti nocivi sull’ambiente, l’azienda migliora la qualità della relazione con le risorse umane e la comunità, ma di fatto il sistema di produzione rimane immutato. Con la CSR non è possibile affrontare la sfida globale della finitudine delle risorse, non si riesce a risolvere il problema della tenuta di lungo periodo dell’ecosistema. Le soluzioni proposte sono sforzi apprezzabili, ma incapaci di cambiare la rotta del sistema economico basato sull’uso acritico delle risorse naturali. Inoltre, la CSR non si ritiene responsabile delle grandi sfide sociali, dell’ineguaglianza, della povertà: il suo approccio è concentrato sulla relazione azienda-comunità, di fatto accettando lo status quo.
Il concetto di responsabilità sociale d’impresa, in virtù del quale le imprese hanno delle responsabilità sociali, oltre alla finalità dominante di natura economica, ha generato nel tempo un ampio dibattito tra economisti e studiosi e contrapposizioni tra linee di pensiero. Una di queste, espressa dal premio Nobel per l’economia Milton Friedman nel celeberrimo articolo The Social Responsibility of Business Is to Increase Its Profits, pubblicato nel 1970 dal «New York Times», in sintesi afferma che, in una società libera, l’unica responsabilità delle imprese è quella di massimizzare il reddito in favore dei conferenti capitale di rischio (proprietari/azionisti), nel rispetto delle leggi e delle norme sociali del contesto in cui esse operano, senza ricorrere a inganni o frodi. Secondo questa prospettiva, i manager sono delegati a prendere decisioni da parte del soggetto economico, e qualsiasi iniziativa che non sia finalizzata alla generazione di reddito rappresenta un’inosservanza del mandato ricevuto, nonché una distrazione di risorse. In antitesi a questa posizione, che si colloca alla base della cosiddetta shareholder-based view, la teoria degli stakeholder, nell’impostazione elaborata da Edward Freeman e contenuta nel volume del 1984 Strategic Management: A Stakeholder Approach, postula che le imprese sono in grado di perdurare nel tempo in un ambiente mutevole soltanto se mantengono rapporti positivi con i diversi portatori di interesse, senza attribuire priorità assoluta agli interessi economici dei conferenti capitale di rischio. In questo senso, l’obiettivo dell’impresa è pertanto quello di soddisfare le attese di tutti i portatori di interesse e non soltanto dei proprietari/azionisti (ad esempio i lavoratori, i fornitori, i clienti, le comunità locali), il che presuppone l’adozione di iniziative su base volontaria che vadano oltre quelle obbligatorie per legge. Si noti come queste due linee di pensiero, la shareholder-based view e la stakeholder theory, benché difformi nei presupposti teorici e nelle implicazioni manageriali, possano, a uno sguardo meno dogmatico, presentare alcune complementarità, dal momento che l’approccio stakeholder non esclude la generazione di reddito per i conferenti capitale proprio, che anzi è condizione irrinunciabile di equilibrio economico, ma semplicemente richiede di tenere conto delle aspettative dei diversi portatori di interesse.
Tuttavia, è nella cornice della teoria degli stakeholder che, a ben vedere, affonda le proprie radici – muovendo per giunta in chiave evolutiva dalla responsabilità sociale d’impresa – il paradigma della sostenibilità.
La sostenibilità può essere definita come la creazione di valore nel lungo periodo: sia per l’impresa, nella dimensione economico-finanziaria (ad esempio incremento del fatturato, dell’efficienza, dei flussi monetari, del corso azionario) e non (ad esempio accresciuta reputazione, maggiori opportunità, riduzione del rischio), sia per un ampio insieme di stakeholder. La sostenibilità può essere una sfida particolarmente importante per le società quotate, il cui obiettivo primario riguarda la remunerazione congrua degli azionisti, laddove in generale molte aziende, di ogni tipo, stanno sperimentando il modo in cui riconoscere e comunicare il valore creato nelle differenti dimensioni (IFAC, 2015).

1.2.1. Le qualificazioni della sostenibilità

Per comprendere meglio la definizione di sostenibilità e metterne a fuoco i risvolti sono necessarie alcune qualificazioni.
Una prima qualificazione sottesa alla definizione è che il valore non sia già esistente, ma che debba essere creato (nei modi che saranno chiariti più avanti, anche attraverso casi aziendali ed esempi). La sostenibilità presuppone un’azione creatrice: se il valore non è creato, generato, esso non c’è, non lo si identifica in qualche dove, non lo si riconosce sotto altre forme.
Una seconda qualificazione riguarda l’oggetto di riferimento della sostenibilità. Il che equivale a replicare alla domanda: a quale valore si fa riferimento? Risposta: al valore condiviso (shared value), ripartito tra più soggetti. Valore, cioè, non soltanto nel senso di remunerazioni economiche per gli azionisti/proprietari, ma anche come benefici per i diversi portatori di interessi economici e non economici (dipendenti, clienti, fornitori, società nel suo complesso), ricercando i punti di contatto tra vantaggio competitivo e benessere sociale e ambientale. Condiviso, pertanto, da un set di portatori di interesse (stakeholder) potenzialmente ampio.
Il concetto di shared value è stato illustrato da Michael Porter e Mark Kramer in un articolo pubblicato nel 2011 sulla «Harvard Business Review». Lo shared value è correlato a scelte strategiche e a pratiche operative volte a migliorare la competitività di un’impresa e contemporaneamente a promuovere le condizioni ambientali, sociali ed economiche nelle comunità in cui essa opera. Come già spiegato nell’Introduzione, la dimensione ambientale, quella sociale e quella economica sono i tre pilastri su cui poggia il concetto di sostenibilità (da cui l’acronimo ESG: Environmental, Social, Governance). La creazione di valore condiviso si concentra pertanto sull’identificazione e sul rafforzamento delle connessioni tra benessere sociale e risultati economici positivi, e presuppone il riconoscimento delle interdipendenze esistenti tra l’agire d’impresa e il contesto sociale di riferimento.
Il valore, inoltre, va inteso come il beneficio ottenuto in relazione ai costi, e non come beneficio tout court. La missione di Tesla, ad esempio, consiste nell’accelerare la transizione a un mondo che utilizzi fonti di energia sostenibili. Per l’azienda è primario riconoscere il valore del capitale naturale, facendone il fine stesso dell’attività economica. Tesla oggi non produce soltanto veicoli interamente elett...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. I concetti base della sostenibilità
  3. 2. Né buoni né cattivi: Stato e mercato alla prova della sostenibilità
  4. 3. La forza dei consumatori: tutti noi possiamo fare qualcosa
  5. 4. Tutto quello che bisogna sapere sull’economia circolare
  6. 5. Quello che può fare (e che già fa) la finanza sostenibile