L'esecuzione
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L'esecuzione

5 Stelle da movimento a governo

  1. 312 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'esecuzione

5 Stelle da movimento a governo

Informazioni su questo libro

Il ritratto degli uomini chiave del movimento che oggi, dai banchi del governo, eseguono il disegno originario concepito da Casaleggio padre. I legami e le collaborazioni con personaggi e movimenti dell'ultradestra internazionale. La relazione con la Lega, cominciata molto tempo prima delle elezioni del 4 marzo 2018. Dopo il libro L'esperimento, Jacopo Iacoboni prosegue il suo viaggio-inchiesta nel mondo dei 5 Stelle mettendo a nudo tutti gli aspetti della loro transizione da movimento a partito al potere.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858137079
Argomento
Economia

1.
Casaleggio e la Lega

L’esperimento prevedeva, fin dall’inizio, un’esecuzione: la presa del potere. Andare al governo, a tutti i costi. Che avvenga con la Lega non è assolutamente frutto del caso. Esecuzione perché, diceva Gianroberto Casaleggio, «parlamentari o ministri dovranno essere dei portavoce esecutori del nostro programma, revocabili con il recall. La delega parlamentare è morta, il compito dei nostri eletti è solo un’esecuzione delle nostre idee». Ma esecuzione anche per tanti altri motivi che capiremo via via, forse. Il figlio Davide, tanti anni dopo, si spingerà a spiegarne uno: «Tra qualche lustro è possibile che il Parlamento non sarà più necessario». Altri motivi giacciono nel sottosuolo.
L’esperimento in cui consiste il Movimento cinque stelle aveva dunque bisogno di un premier esecutore di un contratto, prevedeva non lontana l’esecuzione capitale del Parlamento, infine la convergenza in qualche forma di due movimenti paralleli, sia pure diversi: il Movimento cinque stelle e la Lega. Convergenza che non è affatto dettata dalle contingenze politiche successive al voto del 4 marzo 2018, e che porta anzi con sé una sorta di necessità immaginata da molto lontano, sulla base di tre presupposti: rivoluzione nordista contro fisco e tasse, chiusura ai migranti e – negli anni successivi – piano B per un’eventuale uscita dall’euro. In un video pubblicato dal «Corriere» il 19 maggio 2018, nei giorni convulsi della formazione del governo, si vede Matteo Salvini: «Il premier? Né io né Luigi Di Maio, ma ministri esecutori del programma». Le medesime parole dell’esperimento.
«C’era un grandissimo interesse da parte di Gianroberto per l’esperimento della Lega», ricorda Roberto Giacomelli, psicologo e naturopata, amico di vecchia data di Casaleggio e oggi socio dell’Associazione Gianroberto Casaleggio assieme a Davide Casaleggio e alla seconda moglie di Gianroberto, Sabina; solo loro tre, il che dice quanto sia intimo di quella famiglia. Anche la Lega, dunque, definita come un esperimento. «All’inizio Gianroberto vedeva la Lega come una forza rivoluzionaria nel panorama politico italiano», è la testimonianza di Giacomelli alla «Stampa», «ci consultavamo a lungo parlando delle spinte leghiste delle origini. C’era una fascinazione, da parte sua, non tanto per il disegno politico leghista, ma per il suo substrato culturale. Il mondo nel quale la Lega era cresciuta lo attraeva e incuriosiva. Dai riferimenti alla religiosità dei popoli nord europei alla secessione della Padania, dal linguaggio nuovo ai raduni di Pontida, fino ai riti dell’ampolla del Po».
L’appassionato di letteratura fantasy e fantascienza, il lettore onnivoro di Isaac Asimov e Ray Bradbury, di Tolkien e dello hobbit, l’oratore incerto che – dal palco di piazza San Giovanni a Roma – concluderà il suo intervento nel 2013 citando Obi-Wan Kenobi di Guerre stellari, «che la forza sia con voi», aveva un’inclinazione naturale verso i riti con i quali Bossi aveva inteso nobilitare l’epopea secessionista della prima Lega. Casaleggio semplicemente viveva quei riti e quel bizzarro esoterismo in modo più noir e cupo, più cerebrale e intellettuale, più Gurdjieff e meno Mel Gibson di Braveheart, privilegiando un lato dark che ha sempre fatto da sottofondo a questa storia.
Giacomelli, la persona scelta dalla famiglia per aprire la prima convention di Ivrea in ricordo di Casaleggio, citò in quell’occasione «una visione che gli sarebbe piaciuta profondamente», una frase della Bhagavadgītā, il poema sacro agli induisti: «Coloro che saranno ancora desti nel buio della notte, saranno i primi ad essere svegli nella luce dell’alba». Casaleggio, pur essendo nato a Milano, aveva le sue radici in un’altra provincia settentrionale, l’Astigiano. Era nato in una famiglia particolare (ci torneremo), e ha passato tutta la vita al Nord: dal Nord paterno nell’Astigiano fino a Milano, scegliendo infine come luogo d’elezione il misterico Canavese sopra Ivrea.
Sostiene Giacomelli che i due mondi, Lega e Cinque stelle, non sono affatto così distanti, come tende a spacciare il modesto dibattito pubblico italiano: «La base del Movimento sembra favorevole all’idea di un governo con la Lega, perché viene riconosciuta una comune visione su molti dei loro punti programmatici». Il governo guidato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte era assai difficilmente evitabile perché le sue premesse vengono da molto lontano nel tempo e, a guardarle dall’alto, appaiono spinte da una potente necessità. Lo fa capire una persona, come Giacomelli, che ha avuto accesso ai pensieri più riservati dell’inventore del Movimento cinque stelle. L’esecuzione è come contenuta, e prefigurata, nell’esperimento.
«Se il M5s facesse un governo con il Pd, io uscirei dal Movimento», risponde Gianroberto Casaleggio a Gianluigi Nuzzi il 21 luglio 2013, in un’intervista che nessuno nel Movimento avrebbe mai potuto ignorare; se e quando il Movimento fosse andato al governo, l’indicazione tassativa dell’uomo che ha inventato questa macchina è molto chiara: non andarci mai col Pd. Attorno, gli ospiti salottieri del festival Ponza D’Autore animato da Nuzzi e Paolo Mieli – festival per il quale l’intervista viene realizzata, e che quell’anno avrà come ospiti illustri altri personaggi interessanti, l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, e il giorno dopo Luigi Bisignani – non fanno particolarmente caso a questa profezia. Ma la profezia c’è, anzi è un ordine: sono le colonne d’Ercole del Movimento, mai pronunciate in pubblico con tanta chiarezza. Mai col Pd.
Non si capisce in base a quale spinta, allora, cinque anni più tardi Davide Casaleggio dovrebbe, nel momento cruciale della trattativa per formare il governo nei quasi tre mesi dopo il voto del 4 marzo 2018, andare con il Pd anziché con la Lega, seguire cioè le pressioni di pezzi anche assai in alto nel sistema istituzionale italiano, o le vaghe sirene di Roberto Fico, o le campagne del «Fatto Quotidiano» di Marco Travaglio, o i talk show di La7 di Urbano Cairo, o le manovre di eterni ex ministri democristiani ansiosi di ritornare in sella, anziché il lascito consegnatogli espressamente, testualmente, dal padre.
La Lega appare invece una strada aurea, illuminata, predestinata, ai due Casaleggio, in questo in totale sintonia. Casaleggio senior era filoleghista essenzialmente nella rivolta fiscale e nella protesta contro i partiti. Marco Canestrari, suo ex dipendente in Casaleggio Associati, racconta qualcosa che pochi sanno con tale chiarezza: «Casaleggio era un vecchio leghista. Tentò di convertire perfino Di Pietro al federalismo fiscale: i più attenti ricorderanno il programma dell’Italia dei Valori del 2008: 75 per cento delle tasse alle regioni... Roberto commentò, ridendo: “Questi impazziranno, ho convinto Di Pietro a un programma più leghista di quello di Bossi”». Rideva, Gianroberto.
Le poche volte in cui parla in pubblico, anche suo figlio Davide espone concetti graditi alla Lega. Naturalmente una Lega diversa, non più quella di Bossi, ma sovranista, salviniana: per esempio quando, a fine marzo 2018, davanti a una platea di economisti, propone in Italia, sul modello francese, la creazione di una banca pubblica di investimento che faccia ordine tra tutte le finanziarie statali locali: «Il nostro Paese possiede già tutte le soluzioni al problema del finanziamento dell’innovazione. Ma il coinvolgimento di attori esteri come advisor, il finanziamento statale di soggetti esteri e gli investimenti all’estero e non in Italia da parte dei fondi istituzionali italiani sono sicuramente parte di questo problema». Musica per i leghisti Matteo Salvini e in particolare Giancarlo Giorgetti, poi potente sottosegretario a Palazzo Chigi. Nel mese di ottobre il settimanale «Panorama» domanderà a Davide Casaleggio: suo padre avrebbe gradito questa alleanza con la Lega? Risposta inequivocabile del figlio: «Sarebbe stato felice di vedere il Movimento al governo, che quel processo iniziato nel 2013 si sia completato».
Nei lontani anni in Webegg Gianroberto Casaleggio aveva anche un altro gruppo di lavoro, oltre a quello di cui abbiamo parlato in L’esperimento – oltre cioè a quel team ristretto di lavoro di cinque-sei persone che nel 1997 già testava le modalità di formazione, distribuzione, eventuale manipolazione del consenso interno utilizzando le possibilità offerte dalle prime reti intranet aziendali. Si trattava in questo caso di un gruppo più largo, non di cinque-sei persone ma di venti, nel quale ai dipendenti venivano insegnate tecniche di PNL (programmazione neurolinguistica, che si riteneva capace di modificare pensieri e comportamenti delle persone). Le classi, nelle quali c’erano sempre uno psichiatra e una psicologa – ha raccontato Carlo Baffè, l’allora ventottenne ingegnere informatico che faceva parte di entrambi i team, a un reporter britannico, Darren Loucaides –, a un certo punto cominciarono a focalizzarsi su uno psichiatra, Milton H. Erickson: «Ci dissero che questo ipnotista era capace di ipnotizzare le persone con un singolo gesto», ha spiegato Baffè. Le persone a quel punto diventavano meri esecutori. «I gruppi ai quali venivano insegnati i rudimenti di PNL erano più d’uno», spiega ancora meglio Baffè. «A rotazione venivano insegnate tecniche di ascolto e comunicazione, e cenni di PNL». Il lavoro si organizzava attraverso «due o tre gruppi, da 6 o 8 persone. Quello che ci venne detto su Erickson, oltre alla capacità di ipnotizzare, era che grazie all’ipnosi era in grado di fare terapia perché “parlava direttamente all’inconscio dei pazienti”, e “li aiutava a rimuovere i loro blocchi mentali”. Viene da sé che un’arma così potente potesse poi essere sfruttata anche per scopi non necessariamente curativi».
Nei mesi successivi al 4 marzo 2018, in cui tutti in Italia paiono non voler capire cosa accadrà e quale esecutivo nascerà, basta guardare due semplici bussole per intuirlo: i sondaggi e gli analytics dei social network, unici due parametri sui quali l’esperimento del Movimento si è sempre regolato. E Casaleggio junior sa che tutti i sondaggi parlano chiaro: metà dell’elettorato grillino (il 46 per cento, citiamo qui da Demopolis) vuole un accordo con la Lega, solo il 18 per cento col Pd, e appena il 25 per cento vuole tornare alle urne. I numeri sono concordi per tutti gli istituti di ricerca, in quel periodo. Tutti, nessuno escluso. Sarebbe possibile citarne tanti.
Quando a due passi da Montecitorio, in piazza Capranica, nel marzo 2018 appare il murale di Tvboy, nome d’arte di Salvatore Benintende (artista di strada ed esponente del movimento NeoPop), con il celebre bacio tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini – un disegno fatto cancellare in meno di mezz’ora dagli agenti, con uno zelo che sarebbe degno di miglior causa – si assiste alla lettura più acuta e corretta di quanto sta avvenendo nel processo tortuoso di formazione del nuovo governo: peccato che venga da un artista, e che invece la stragrande maggioranza dei commentatori e degli osservatori italiani sbagli o, peggio, svii di proposito la pubblica opinione italiana, diffondendo la tesi per cui «in fondo il M5S è più vicino al centrosinistra».
Nulla di più falso e manipolatorio, fatti e documenti alla mano. L’esperimento non è congegnato per andare al potere con il centrosinistra. Casaleggio lo ha sempre detto, a chiunque gli abbia parlato, mentre ha più e più volte parlato bene della Lega, e delle politiche care a quel mondo. E Casaleggio, non altri, è stato il cervello della macchina. Il figlio, da parte sua, non può tradire il padre su questa consegna che gli è stata affidata esplicitamente anche nella fase finale della vita di Gianroberto. Una specie di testamento: non andare mai col Pd. È questa la vera eredità dinastica lasciata dal padre al figlio, oltre naturalmente alle chiavi notarili dell’Associazione Rousseau, della quale il Movimento diventerà sempre più un asset e un ramo d’impresa. L’abdicazione dinastica, politico-aziendale, consegna a Davide un mandato chiaro di governo: l’esecuzione con la Lega.
Umberto Bossi e Gianroberto Casaleggio si stimavano a vicenda, come vedremo, pur senza frequentarsi. Condividevano più di un’idea: la sfiducia (eufemismo) verso lo Stato centrale, la riluttanza anche fisica a scendere a Roma, un atteggiamento di sostanziale chiusura verso l’idea di società multietnica, soprattutto la volontà di aiutare le piccole e medie imprese del Nord-Est con sostanziosi tagli alle tasse. Non è ancora la flat tax promessa dal governo Lega-Movimento, ma le sue premesse ideologiche sono chiarissime. Uno dei migliori amici di Gianroberto Casaleggio, Massimo Colomban, fondò un think tank essenzialmente nordista al quale Casaleggio era molto vicino: il Think Tank Group, che raccoglieva imprenditori prevalentemente veneti e lombardi, di idee spiccatamente filoleghiste, patrimonio condiviso con Gianroberto. Colomban, assieme ad Arturo Artom, uomo d’affari in passato vicino alla Lega e poi grande amico di Gianroberto, portò Casaleggio e Grillo a Treviso già durante la campagna elettorale del 2013 a spiegare le loro idee a questo mondo che appariva entusiasta di loro. Si tratta di un vero, persistente network di relazioni che si riuniva anche in una rete di associazioni chiamata Si – Salviamo l’Italia, creata «per uscire dalla crisi e rinascere come paese» e «mandare a casa la casta dei governanti», slogan programmatici in totale, evidente sovrapposizione tra la propaganda Cinque stelle e quella leghista.
Due castelli stanno all’origine dell’esperimento e dell’esecuzione. Salviamo l’Italia aveva sede a Cison di Valmarino, provincia di Treviso, al castello di Castelbrando di Colomban. In un altro castello – a Belgioioso, provincia di Pavia, echi della tavola rotonda di re Artù – Casaleggio riuniva spesso i dipendenti del suo team di lavoro in Webegg, alla fine degli anni Novanta. L’idea di fondo di questo supergruppo nordista, mi disse Artom già nel 2013, era «una rivoluzione fiscale a favore delle piccole e medie imprese».
Inizialmente il nome di Casaleggio compariva anche nel board dell’associazione. Fu detto che era un errore. Quindi fu tolto. Ogni tanto, quando vedeva il Movimento deragliare troppo sul tema del reddito di cittadinanza, che lui temeva virasse eccessivamente verso un assistenzialismo orientato al Sud, Casaleggio tornava a dire che occorreva riequilibrare la corsa del Movimento con temi del Nord, e lo faceva attraverso i parlamentari Cinque stelle del Nord. Sempre Casaleggio mostrò a uno dei suoi più intelligenti collaboratori alcuni grafici che non sono mai sostanzialmente cambiati: un cruccio del fondatore era che al Nord il Movimento non sfondava (e non sfonda), se si eccettuano Torino e la Liguria. L’asse che va da Vercelli al Veneto ha sempre visto il Movimento cinque stelle piazzato, a volte anche bene, ma assolutamente incapace di decollare.
In seguito Colomban – poi assessore alle società partecipate della giunta Raggi per un anno, a partire dal settembre 2016 – nei giorni delle trattative per la formazione del governo ha fornito una delle poche bussole per orientarsi su quanto stava accadendo: «Spero che Movimento e Lega si mettano d’accordo, e che si formi al più presto un governo, per il bene dell’Italia e dell’economia, che altrimenti va a picco». Una simpatia originaria tra i due movimenti che Colomban mi lasciò più che intuire nel 2017 a Ivrea, chiacchierando nelle Officine H della Olivetti alla prima convention dell’Associazione Casaleggio: allora ancora assessore in Campidoglio, spiegava – da vero imprenditore veneto e in pieno spirito culturale leghista – che solo tagli e privatizzazioni avrebbero potuto salvare un’azienda come Atac. «Non mi faccia dire quello che sarebbe necessario con i dipendenti ipersindacalizzati di Ama e Atac». Bisognava licenziarli in tronco, almeno così capii io.
Il giorno del funerale di Casaleggio a Milano, nell’aprile 2016, Bossi fu uno dei pochi politici di spicco presenti (l’altro era Antonio Di Pietro). Dopo la cerimonia espose, a chi lo aveva avvicinato, questa considerazione: «Ho sempre sentito affinità tra il Movimento cinque stelle e la Lega. Casaleggio vedeva in Internet lo strumento per collegare la politica alla gente e noi abbiamo inventato i gazebo, per lo stesso motivo. C’era qualcosa di simile tra noi». Cosa non molto diversa da quanto raccontava ai suoi dipendenti in via Morone, sede della Casaleggio Associati, il manager milanese: il Movimento dovrà essere nella rete ma anche nei luoghi fisici, nei bar delle valli, come la Lega delle origini, dove ad ascoltare Bossi «c’erano quattro gatti: ve lo dico perché uno di quei quattro gatti ero io». Ma Bossi, ricordando Casaleggio, disse anche qualcosa di più, da leggere tra le righe: alla domanda se i giovani eredi del Movimento, senza Gianroberto, sarebbero stati capaci di resistere, rispose sicuro: «andranno avanti. Casaleggio ha avuto l’intuizione che non si può far politica da soli».
Non si può fare da soli. Stava dicendo in modo clamorosamente esplicito che un dialogo, sotterraneo, a distanza, culturale, era cominciato da tantissimo tempo, tra i due movimenti. Quando Giancarlo Giorgetti, il potente braccio destro di Matteo Salvini, a fine agosto 2018 va a Marina di Pietrasanta, alla festa del «Fatto Quotidiano», per farsi intervistare da Peter Gomez, viene accolto dal pubblico con applausi scroscianti. Gomez era il direttore predestinato del Tg1. Nell’autunno 2018 racconterà di aver rifiutato l’offerta di...

Indice dei contenuti

  1. 1. Casaleggio e la Lega
  2. 2. Steve Bannon
  3. 3. Arron Banks, Leave.EU. La Brexit in via Morone
  4. 4. Ted Malloch. La rete alt-right
  5. 5. L’esecutore
  6. 6. La notte della Repubblica
  7. 7. Immigrati
  8. 8. Sovranisti e gilet gialli
  9. 9. Asservire la tv
  10. 10. Le password. Il dominio social
  11. 11. Soros. L’antisemitismo
  12. 12. Joseph Mifsud. La Link University
  13. 13. L’incidente, l’anti-Europa. Italexit
  14. 14. La Cina, la Russia
  15. 15. L’hacker. La blockchain
  16. 16. A casa
  17. Fonti