29 luglio 1900
eBook - ePub

29 luglio 1900

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

29 luglio 1900

Informazioni su questo libro

Sono le 22, 00 del 29 luglio 1900. Siamo a Monza e il re Umberto I sta salendo in carrozza dopo aver premiato i ginnasti della società "Forti e liberi". Ad aspettarlo c'è il revolver di Gaetano Bresci, l'anarchico venuto dall'America. Pochi istanti dopo l'Italia intera entrerà in una nuova epoca.

Un suggestivo itinerario nella nostra storia alla svolta tra Ottocento e Novecento, attraverso una serie di cerchi concentrici che si dipartono proprio dal 29 luglio 1900 per investire prima il contesto italiano, poi il modo in cui l'intero Occidente euroamericano, il nostro mondo di allora, visse quello che una canzone anarchica definì «il fosco fin del secolo morente».Giovanni De Luna, "La Stampa"

A molti forse non dice granché la data 29 luglio 1900. Ma quel giorno a Monza il re Umberto I fu assassinato dall'anarchico Gaetano Bresci: uno snodo complesso e cruciale, che Marco Albeltaro ricostruisce con una prosa avvincente."la Lettura – Corriere della Sera"

Un invito a entrare nella storia.Pietro Polieri, "La Gazzetta del Mezzogiorno"

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a 29 luglio 1900 di Marco Albeltaro in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia del XXI secolo. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

eBook ISBN
9788858146491
Argomento
Storia

1.
A Paterson!

Gli anarchici non sono sempre brutti e barbuti come la stampa conservatrice era solita rappresentarli. C’erano anche quelli eleganti, che avevano cura nel vestire. Degli anarchici quasi chic. Gaetano Bresci era uno di quelli. Lo era sempre stato. Quando viveva a Coiano, nella periferia di Prato, dove era nato, lo chiamavano il «paino», il damerino, proprio per quel suo modo di vestire1. Ma gli dava fastidio. Perché mai ai poveri doveva essere tolto il piacere di essere eleganti, di non sentirsi degli straccioni, di avere stile? Era un modo per rivendicare un diritto, un diritto alla nobiltà estetica. Col tempo si sarebbe accorto che vestirsi bene gli avrebbe evitato spesso di essere fermato dai carabinieri, di subire controlli, di dare, insomma, nell’occhio. Per un «sovversivo» non era una cosa da poco. Alto 1,73, capelli neri pettinati con quell’onda che all’epoca andava molto di moda, curava i suoi baffi con grande attenzione, vestiva abiti ben tagliati accompagnati da sofisticati foulard di seta. Aveva anche il vezzo di portare un anello d’oro e una catena, anch’essa d’oro, che gli attraversava il panciotto2.
Bresci era nato il 10 novembre 1869, in giorni importanti per il Regno d’Italia e per i Savoia. L’11, infatti, verrà al mondo anche l’erede al trono, il futuro re Vittorio Emanuele III, quello che sarebbe diventato re un po’ in anticipo sui piani della natura, proprio per sua intercessione. Se i suoi genitori lo avessero chiamato Vittorio Emanuele, in onore del principino in fasce, Bresci avrebbe potuto usufruire di quell’occhio di riguardo: magari anche un posto di lavoro nell’amministrazione pubblica. Ma i suoi erano venuti a conoscenza della coincidenza in ritardo, quando ormai il bambino era stato registrato all’anagrafe3. Le notizie correvano lente, nel 1869, e questa lentezza poteva avere le sue conseguenze, come togliere al proprio figlio il piacere di avere un lavoro in un ufficio statale semplicemente perché si chiamava come il re. Ma, tanto, loro non potevano saperlo: Gaetano, quel lavoro, non lo avrebbe mai voluto.
Gaspero Bresci e Maddalena Godi avevano già altri tre figli, due maschi e una femmina, tutti con destini molto diversi.
Il primogenito, Lorenzo, era venuto alla luce nel 1856 e nella vita avrebbe fatto il calzolaio; Teresa, nata nel 1865, avrebbe invece sposato un ebanista e aperto una piccola azienda in cui si producevano ombrelli. Ma fra Lorenzo e Teresa, ecco che nella famiglia Bresci era nato una sorta di anti-Gaetano. Si tratta di Angiolo, classe 1861, come il Regno d’Italia. E la sua vita sarebbe poi stata sempre legata alla fedeltà alla patria, anzi, alla Patria, con la P maiuscola. Perché Angiolo diventerà ufficiale di artiglieria.
Arrigo Petacco, in un vecchio libro su Bresci4, ha raccontato bene come la crisi economica di fine Ottocento avesse influito sulla vita della famiglia di Gaetano e, in qualche modo, sulle scelte di vita dei figli. In fondo, anche i problemi esistenziali dovuti agli effetti dell’impoverimento possono avere due diverse vie d’uscita, una da sinistra e una da destra. In Gaetano, ma anche nel fratello Lorenzo, avvenne una sorta di presa di coscienza di classe che li avrebbe avvicinati, Gaetano più di Lorenzo, al mondo anarco-socialista. Il più realista Angiolo, invece, aveva trovato nella carriera militare la via più veloce e facile «per inserirsi nella società del suo tempo»5. Quei due modi di affrontare la vita e di leggerne la complessità avrebbero lentamente scavato un abisso fra Gaetano e Angiolo che non si sarebbe mai colmato durante le loro vite.
I Bresci, prima della crisi, non se la passavano tanto male. Avevano una casa grande, una quantità di terreno tale da poter diversificare le colture e vivevano senza grossi problemi. Erano perfino riusciti a far andare Angiolo, il futuro artigliere del Regio Esercito, alle scuole superiori. Fu la crisi a scompaginare le loro carte. Il ceto contadino fu infatti duramente colpito da una svalutazione del prezzo del grano che ridusse drasticamente i margini di guadagno dei produttori, che ora dovevano fare i conti con la velocizzazione del trasporto via mare del grano americano.
È «un senso quasi di disperazione»6 quello in cui il Paese è immerso in questa fase, mentre si consuma il passaggio di consegne fra il marchese Di Rudinì e Crispi che stava ritornando ad occupare lo scranno di presidente del Consiglio. Si tratta di una crisi gravissima, la più grave da quando il Regno d’Italia era stato proclamato. E come ogni “prima volta” portava con sé un surplus di angoscia, di incertezza e faceva sembrare lontana una via d’uscita.
Lo stesso diplomatico che aveva notato in presa diretta la «quasi [...] disperazione» del popolo italiano, aveva scritto in una relazione alcune annotazioni che non possono non farci venire in mente Gaetano Bresci e anche suo fratello Lorenzo, sebbene siano infarcite di un certo snobismo: «A causa della tendenza a esagerare che va tanto d’accordo con il loro temperamento eccitabile e piuttosto fragile, si trovano molti italiani, in tutte le classi sociali, pronti a profetizzare la non lontana disintegrazione del regno, e ad imputare questo grave stato di cose alla debolezza e all’irrisolutezza del sovrano»7. Diciamo che i due fratelli Bresci appartenevano a quanti volevano contribuire alla «disintegrazione del regno» in modo attivo, piuttosto che attenderla come una manna dal cielo o come una maledizione, come invece erano costretti a fare i conservatori. E, al contrario, a loro non pareva affatto che Umberto fosse troppo debole e irrisoluto. Il suo piglio repressivo non faceva che renderlo ai loro occhi il punto di coagulo di tutto il peggio che una classe dirigente poteva rappresentare.
Da un lato abbiamo quindi un re che ai “sovversivi” appare violento e ai conservatori troppo tenero; dall’altro c’è la crisi economica e una politica fiscale che va a colpire le classi subalterne. Alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, infatti, è tutto un fiorire di tasse e balzelli che gravano sui più poveri; se a ciò si aggiungono gli effetti della guerra commerciale con la Francia a cui andava quasi la metà delle esportazioni italiane, si possono immaginare gli esiti: impoverimento dei contadini, polverizzazione della piccola industria di trasformazione, crisi dell’edilizia. Per non farsi mancare nulla, il sistema bancario diede il suo contributo. I nodi delle speculazioni che le sei banche d’emissione italiane8 avevano messo in campo vennero al pettine. In primo piano la Banca Romana, che aveva prestato somme a immobiliaristi spregiudicati e poi a politici e giornalisti e altri personaggi importanti, all’interno di un meccanismo clientelare che mostrò ben presto tutte le sue incongruenze. Anche il re e tanti esponenti della sua corte, comprese la regina e la sua amante, avevano beneficiato della magnanimità della Banca Romana9. Mentre il popolo aveva fame, avrebbe detto Gaetano Bresci.
Quella della Banca Romana è una vicenda che aveva messo in luce tutta l’arroganza del ceto politico e il suo senso di superiorità rispetto alla legge. Esplicito era stato il tentativo di Giovanni Giolitti, all’epoca ministro del Tesoro del governo Crispi e poi nominato presidente del Consiglio, di salvare dalle inchieste giudiziarie il governatore della banca nominandolo senatore. Ma l’operazione non andò in porto perché scoperta da un deputato repubblicano. Governo e monarchia uscivano così fortemente screditati agli occhi di un Paese profondamente impoverito e con una crescente tensione sociale. E la tensione sociale aveva, ora, un partito capace di convogliarla.
Nato nel 1892, il Partito socialista diventava un punto di riferimento per dare sbocco politico alle insofferenze delle classi subalterne. Non è un caso che un anno dopo la sua fondazione, nel 1893, tutta la penisola fosse percorsa da manifestazioni di protesta con uno spiccato intento rivoluzionario. Così Giustino Fortunato aveva descritto nel 1892 la diffusione delle idee socialiste: «È un nuovo ideale che si spande, come da per tutto, anche in Italia si propaga e fruttifica, per tutte le classi, il sentimento del benessere economico e della solidarietà umana. È la coscienza stessa che muta intorno a noi, perché, nonostante gli errori specifici e la concezione eccessivamente ottimista della vita su cui si fonda non poca parte della dottrina, il socialismo ha dentro di sé un concetto morale di gran lunga superiore a quello dell’individualismo; un concetto che indubbiamente varrà – se l’utopia non s’impadronisce delle menti – a riformare la compagine delle nazioni moderne»10.
C’è speranza nell’esito politico di una nuova stagione di conflitto di classe. È qualcosa di inedito, questa tensione che vede il proletariato coalizzarsi e avere un partito che ufficialmente lo rappresenta. È come se il movimento fosse maturato nel giro di pochissimo tempo. Del resto, è vero che il conflitto accelera i tempi e che ciò che si ottiene e si costruisce con il conflitto è più radicato e, soprattutto, viene difeso con maggiore forza e determinazione e con una disposizione al sacrificio più alta.
Genova, Napoli, Livorno, furono teatro di proteste violente per l’assassinio di una decina di operai italiani che lavoravano nelle saline di Aigues-Mortes. Poi Roma, con le barricate su Ponte Sisto incendiate per tenere lontana la cavalleria, e di nuovo Napoli, dove servirono 12.000 militari per riportare la pace in città. E la Sicilia, dove fra contadini ed esercito la lotta fu particolarmente sanguinosa. Per ristabilire l’ordine il siciliano Crispi mandò nella sua isola circa 40.000 soldati e attraverso i tribunali militari e lo stato d’assedio mise in campo una repressione più che aspra, mostrando quanta paura avesse della sinistra estrema. Tutti questi nuovi personaggi, tipo Turati, il giovane avvocato barbuto, o vecchie conoscenze come Felice Cavallotti, sempre pronto a duellare per qualche ragione di principio, lo inquietavano. E il modo migliore che Crispi, uomo d’altri tempi, sapeva mettere in campo era la repressione, condita con un richiamo al patriottismo. Nella sua propaganda aveva infatti insinuato che i moti popolari erano parte, in realtà, di un più ampio progetto di invasione francese del Regno. Una fantasia, certo, ma utile a concedergli maggiore libertà d’azione, a giustificare la violenza, a convincere le persone di buona volontà, la sana borghesia del Paese, a stringersi attorno alla Patria, alla Corona e a lui che, in fondo, ci metteva la faccia in prima persona.
Crispi serrò i ranghi, riuscì a convogliare attorno a sé il consenso della borghesia e poté così varare una serie di provvedimenti fiscali volti a risanare la situazione debitoria del Paese e, contemporaneamente, una serie di leggi contro i «sovversivi» che sempre più si facevano sentire. Scontri, qualche attentato – due ai danni dello stesso Crispi –, ogni tanto una bomba, come quella esplosa nel marzo del 1894 proprio davanti al palazzo di Montecitorio.
L’incremento della censura, la facoltà ai prefetti di sciogliere le associazioni che apparivano sovversive e la possibilità di arrestare quanti mostrassero di avere in animo progetti contrari all’ordinamento sociale, erano solo alcuni dei provvedimenti che si affiancavano a un’operazione volta a diminuire la base elettorale dei socialisti. Attraverso una revisione del test di alfabetizzazione, necessario per ottenere il diritto al voto, venne fatta fuori una bella fetta di elettori che si videro cancellati dalle liste elettorali. Più di 800.000 cittadini furono privati del diritto di voto: tutti poveri, tutti potenzialmente socialisti, moltissimi nel Mezzogiorno.
Crispi sapeva però che almeno una piccola fetta di classi popolari doveva essere accontentata. E quali classi, se non quelle della sua Sicilia? Ma Crispi – il «giacobino deteriore», per usare le parole di Gramsci11 – doveva fare i conti con tutti quei conservatori estremi che gli avevano aperto un grosso credito politico. È così che in Parlamento la sua proposta di affrontare la questione contadina nella sua regione, attraverso una redistribuzione delle terre, venne bloccata perché ritenuta troppo di sinistra. Fu un duro colpo, anche perché aveva di sé una concezione così alta da identificare la propria figura con la nazione, pensando di essere portatore di virtù taumaturgiche, come del resto avevano fatto notare du...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Prologo
  3. 1. A Paterson!
  4. 2. Una Harrington & Richardson calibro 9
  5. 3. Quattro gelati alla crema
  6. 4. Che roba!
  7. 5. Un re morto e un principe in vacanza
  8. 6. Brusii fra il pubblico
  9. Epilogo 1
  10. Epilogo 2
  11. Epilogo 3
  12. Nota bibliografica