Capitolo 1.
Imperi e nazioni
1. Esperienze globali
Un mondo a portata di mano della borghesia
Nel 1872 Phileas Fogg, protagonista del romanzo di Jules Verne Il giro del mondo in 80 giorni, veniva sfidato e accettava di compiere – «tutto compreso, maltempo, venti contrari, naufragi, deragliamenti [...] anche se gli indù o indiani asportano le rotaie [...] anche se fermano i treni, saccheggiano i vagoni, scuoiano i viaggiatori» – il giro del mondo in soli ottanta giorni alternando piroscafi, navi, ferrovie e persino slitte. Cosa rendeva possibile, come mai prima, una simile sfida? Si trattava del semplice entusiasmo positivista di un gentleman britannico negli anni della rivoluzione industriale o, come domandava basito l’avversario, «la terra per caso è diventata più piccola?».
In effetti sì. Anche secondo una felice espressione dello storico britannico Eric Hobsbawm, nell’ultimo quarto dell’Ottocento il mondo era diventato più piccolo; iniziava cioè a sembrare più connesso e per questo più unito. Questa sensazione, fortemente percepita dai contemporanei, era dovuta al fatto che numerose innovazioni tecnologiche introdotte nella prima metà del secolo avevano posto le premesse per un miglioramento dei sistemi di trasporto di persone e merci e di diffusione delle informazioni. Il risultato era che luoghi assolutamente estranei l’uno all’altro fino a poco tempo prima risultarono improvvisamente più raggiungibili, e gli scambi estremamente più facilitati.
La velocizzazione dei trasporti
Se i battelli a vapore avevano sostituito i velieri, permettendo una navigazione più rapida e sicura nelle lunghe percorrenze, i treni e le strade ferrate avevano mutato il paesaggio di vaste porzioni di territorio fino ad allora apparentemente invalicabili, suggerendo l’idea mai avuta prima di un solido dominio dello spazio. Lo sviluppo mondiale delle ferrovie, ad esempio, cambiò radicalmente la percezione del controllo degli spazi e della possibilità di mobilità, consacrando il treno a vero e proprio simbolo della tecnologia moderna. Se la ferrovia New York-San Francisco consentiva già nel 1869 anche a grossi carichi di arrivare a destinazione in soli quattro giorni, percorrendo ben 4.600 km, nell’impero russo la costruzione della ferrovia transiberiana (1905) permise di collegare Mosca a Vladivostok, garantendo così un più capillare controllo del territorio fin nelle sue estreme periferie e una mobilità senza precedenti. D’altro canto, il sogno di una ferrovia che collegasse Berlino e Baghdad attraverso Costantinopoli (1913) guidò non poco la politica tedesca nei confronti dell’impero ottomano, condizionando anche quella del Regno Unito, che vedeva nel disegno tedesco non solo un potente strumento di conquista di futuri spazi territoriali ma anche, più nell’immediato, un pericoloso concorrente commerciale nel Mediterraneo orientale.
Nel 1869, l’apertura del canale di Suez aveva permesso, inoltre, di raggiungere rapidamente l’Asia dall’Europa senza dover circumnavigare l’Africa. Per questo, Phileas Fogg calcolava che il piroscafo Mongolia avrebbe potuto impiegare solo tredici giorni per andare da Suez a Bombay, e che ci sarebbero voluti sette giorni per percorrere in ferrovia (e in slitta) il tragitto tra San Francisco e New York, più nove giorni per attraversare su una nave mercantile l’Atlantico.
Ma non si trattava solo di questo. All’inaugurazione del canale di Suez, il «Bollettino della società geografica italiana» affermava entusiasticamente che «più che un avvenimento commerciale l’apertura del Canale, il quale meglio dovrebbe chiamarsi, se i fatti rispondano ai concetti, faro, o bosforo, o stretto, o euripo di Suez, pare a quelli, che hanno istinto d’avvenire, una rivoluzione cosmica. [...] Tutti si domandano quale sarà la conseguenza di codesto rapido raccostamento delle tre più grandi masse di popoli, che sieno al mondo, le quali fin qui hanno sempre formato come tre costellazioni separate da enormi spazi di tempo, e che ora raddoppiata la forza attrattiva sentiranno quasi l’attrito, il peso e il calore d’un’insolita vicinanza». La percezione di un mondo più unito, insomma, fu ben presto alla base di trasformazioni radicali nelle forme della convivenza umana riflettendosi nella politica, nelle scienze, nell’economia e nelle arti.
La seconda rivoluzione industriale
In questo lasso di tempo, il continente europeo fu protagonista di nuovi e accelerati processi produttivi destinati ad avere conseguenze durature e globali. Idealmente erede della grande trasformazione economica che nel XVIII secolo vide protagonista il Regno Unito, questa seconda rivoluzione industriale fu in realtà un fenomeno più generale ed esteso, sebbene non omogeneo. Con un dinamismo assai maggiore, infatti, essa non si sviluppò nell’ambito di una sola realtà nazionale ma investì una serie di paesi anche molto distanti tra loro: Francia e Germania, ma anche Belgio, Italia e Russia, Giappone.
Nonostante la permanenza di larghe aree del mondo – anche nei paesi appena menzionati – dominate da un’economia agricola, si può dire che tra il 1870 e il 1914 si entrò in maniera inarrestabile e irreversibile nell’era dell’industrializzazione.
Lo sviluppo tecnologico
Lo sviluppo di nuove tecnologie, la scoperta di nuove fonti di energia e i progressi nel campo della chimica furono determinanti nell’incoraggiare questo processo. Petrolio ed elettricità affiancarono il carbone come fonti energetiche di un’industria manifatturiera in rapida crescita, al ferro iniziò a essere preferito l’acciaio – più resistente ed elastico, quindi più facilmente lavorabile – prodotto nei forni di nuova tecnologia e il motore a scoppio iniziò a rivoluzionare il sistema dei trasporti. Nel 1866, lo scienziato svedese Alfred Nobel brevettò la dinamite, un nuovo potente esplosivo meno instabile dei precedenti: essa fu utilizzata in un primo momento a scopi civili (costruzione di strade, sbancamenti, realizzazione di trafori) con risultati eccezionali, soprattutto dopo che nel 1875 lo stesso Nobel la trasformò nella cosiddetta gelatina al plastico, malleabile e adattabile a ogni impiego. L’invenzione del telefono e del telegrafo senza fili, invece, mutò definitivamente abitudini e reti di comunicazione, velocizzando il flusso di notizie e informazioni.
Il capitalismo finanziario
Il grande sviluppo tecnologico non solo aumentò la produzione industriale, ma modificò in profondità il sistema economico di tutti i paesi che ne furono investiti. La necessità di disporre di risorse per gli investimenti nell’industria (e, in particolare, per i nuovi macchinari), in costante espansione, determinò il ricorso, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti, a nuove fonti di finanziamento, che non potevano più limitarsi ai soli capitali privati. In primo luogo, nacquero le società per azioni: la proprietà di una società veniva cioè divisa in quote (le azioni), che venivano acquistate dai soci in cambio di una certa somma di denaro, riutilizzata per gli investimenti. Molte imprese iniziarono a unirsi in grandi concentrazioni industriali, i cosiddetti “trust”, mentre altre cominciarono ad accordarsi sul prezzo di vendita dei loro prodotti, formando i cosiddetti “cartelli”.
Ne derivò una profonda modificazione dei tratti essenziali del capitalismo, che da imprenditoriale diventava finanziario. In questa nuova fase, determinante fu il ruolo guida assunto dai possessori di grossi capitali mobili necessari alla produzione industriale, che creò un legame strettissimo tra banca e industria. Ma da dove provenivano questi capitali investiti? In gran parte certamente dalle ricchezze accumulate da ricchi imprenditori, possidenti e banchieri soprattutto nelle economie più avviate, come quella britannica e quella francese, ma anche dal piccolo risparmio, ora veicolato dalle banche che, attirando sempre più depositi anche di piccola entità, potevano infine disporre di un grande capitale.
L’adozione del gold standard
A favorire l’espansione delle attività finanziarie sul piano globale degli scambi, poi, contribuì l’adozione sempre più diffusa del cosiddetto gold standard, o sistema aureo (già introdotto nel Regno Unito nel 1821), che permetteva la conversione delle valute nazionali in oro stabilendone così il valore in rapporto, appunto, a quello dell’oro. Il grande vantaggio della larga diffusione di un simile sistema consisteva essenzialmente in una sorta di standardizzazione delle valute che favoriva la definizione di valori certi degli scambi nel commercio mondiale e apriva, in prospettiva, la possibilità di un mercato finanziario globale.
Il ruolo dello Stato nell’economia
La nuova fase dello sviluppo capitalista coincise infine con il tramonto dell’epoca del laissez faire (o del free trade), in cui si assumeva una netta separazione tra la sfera politica e quella economica nella convinzione che le dinamiche del mercato potessero autoregolarsi, e con un sempre maggior legame tra economia e Stato. Infatti tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, fiutando le grosse possibilità di espansione date dal capitalismo finanziario, i governi degli Stati nazionali iniziarono ad ambire ad un cresente ruolo nell’economia sotto la duplice veste di protettori degli interessi nazionali e di investitori. Se in quest’ultimo caso era di per sé ovvio che gli investimenti dei governi nelle infrastrutture e nelle opere pubbliche veicolassero capitale alle imprese industriali, il ruolo di protettore degli interessi nazionali era decisamente più poliedrico. Intanto, come vedremo, i governi si assunsero il compito di proteggere lo sviluppo autonomo delle economie nelle aree meno avanzate attraverso nuove politiche (protezionismo) e strumenti di legislazione come l’introduzione di dazi. Ma l’impatto più immediato, forse, lo ebbe la sostituzione sempre più diffusa dello Stato ai privati sia nel finanziamento di grandi opere (infrastrutture, bonifiche ecc.) che per loro stessa natura avevano una valenza politica oltre che economica, sia nella ricerca e costruzione di nuovi mercati commerciali (emblematica la sostituzione delle società geografiche nazionali ai singoli esploratori nelle spedizioni di scoperta nell’Africa continentale).
2. Il mondo globale e la costruzione dell’egemonia europea
Economia-mondo e globalizzazione
Fu soprattutto nello spazio euro-atlantico che si concentrò la produzione di beni di consumo e di mezzi di produzione che venivano esportati in tutto il mondo, e fu qui che il capitalismo finanziario poté attecchire con più facilità. Tuttavia, benché espressione del rapido progresso delle regioni occidentali, questa nuova impostazione economica era destinata a riflettersi su un insieme unitario di connessioni perché contribuiva a includere sempre nuovi territori nell’economia globale attraverso flussi intercontinentali di forza lavoro, capitali e merci. Naturalmente, non tutte le regioni del mondo entravano in contatto allo stesso modo con questo fenomeno; la maggior parte dell’Africa, le province interne della Cina, ad esempio, e in generale tutti quei territori non ancora collegati con le ferrovie o la navigazione veloce ebbero contatti occasionali con l’economia mondiale nei termini in cui l’abbiamo descritta.
I frutti della transizione demografica in Europa
D’altro canto, questi processi furono indubbiamente favoriti dalla generale crescita demografica dovuta, nell’ultimo quarto del secolo, all’assenza di guerre, al miglioramento delle condizioni di vita portate dall’industrializzazione e ai progressi della conoscenza scientifica che, in campo medico, portarono a debellare molte malattie causa di mortalità, soprattutto infantile. La riduzione dei tassi di mortalità e l’aumento di quelli di natalità, dunque, caratterizzarono quel processo di transizione demografi...