VIII. Dal papa amico mi guardi Iddio...
Redazione del «Dialogo»
All’Accademia dei Lincei, dopo l’allusione in versi di Stelluti alle maree, si preferiva aspettare nella speranza che Galileo potesse venire a Roma ed essere ricevuto da Urbano VIII. Era indispensabile ottenere almeno ufficiosamente l’assicurazione che un’opera sul flusso e reflusso del mare non sarebbe stata rifiutata dalla censura. Alla fine il viaggio fu deciso. Dopo un soggiorno a Perugia durante le feste pasquali e quindici giorni ad Acquasparta ospite del principe Cesi, Galileo giunse a Roma il 23 aprile 1624. In una lettera a Curzio Picchena del 27, informava il segretario del granduca di essere stato ricevuto il giorno successivo al suo arrivo per circa un’ora da Urbano VIII, in diversi ragionamenti trattenuto. Il giorno seguente fu la volta del nipote del papa, il cardinale Francesco Barberini, che lo ricevette con altrettanta soddisfazione (EN, XIII.175). Quanto al contenuto delle due lunghe chiacchierate, Galileo non riferiva alcunché. Molto probabilmente, nonostante l’accoglienza calorosa, il Santo Padre non aveva promesso nulla di preciso.
L’udienza accordata il 24 aprile fu la prima di una lunga serie. Galileo fu ricevuto sei volte dal papa. Alla vigilia della sua partenza per Firenze ottenne una pensione per suo figlio. Ma sulla dottrina di Copernico Urbano VIII restava più che riservato. In una lettera dell’8 giugno al principe Cesi, Galileo scriveva che il cardinale tedesco Zollern, prima di partire per la Germania, gli aveva detto di aver parlato con Urbano VIII di Copernico e degli eretici che aderivano alla sua opinione astronomica e la consideravano certissima. Quindi bisognava essere molto circospetti prima di prendere una decisione. Secondo Zollern, Urbano VIII aveva risposto che la Chiesa non l’aveva condannata né stava per condannarla come eretica, ma solamente come temeraria.
La distinzione utilizzata dal pontefice significava che la dottrina eliocentrica non era totalmente contraria alla Scrittura, ma si opponeva ad una sua interpretazione consensuale. Se veniva considerato totalmente contrario alla Scrittura, avrebbe meritato la censura per eresia, mentre in quanto dottrina che si opponeva ad un consenso esegetico era da considerarsi solamente temeraria (BF 2001, 559; BF 2005, 55). Il papa assicurava d’altra parte che non era da temere che alcuno fosse mai per dimostrarla necessariamente vera. Galileo non commentava quest’ultima frase del pontefice e apparentemente non si chiedeva su cosa riposasse la sua convinzione. Indicava d’altra parte che il padre Niccolò Riccardi ed il protestante convertito Kaspar Schoppe (Gaspar Scioppius), nota personalità del mondo culturale tedesco, sostenevano che l’opinione copernicana non era materia di fede e che non conveniva impegnarci le Scritture. Quanto alla verità dei sistemi astronomici, Riccardi non aderiva né a Tolomeo né a Copernico, ma se la cavava introducendo angeli che muovono i corpi celesti e concludeva affermando che tanto ci deve bastare (EN, XIII.182-183).
Benché nulla di preciso gli fosse stato promesso da Urbano VIII, Galileo credeva nell’abrogazione o per lo meno nella non applicazione del Decreto del 1616. Pochi giorni prima della sua partenza per Firenze, il papa aveva indirizzato una lettera al granduca, redatta da monsignor Ciampoli nella sua qualità di segretario dei brevi ai principi, in cui Galileo veniva definito figlio nostro diletto ed era coperto di elogi (EN, XIII.183-184). È verosimile che il contenuto gli sia stato comunicato a Roma dallo stesso Ciampoli. In questo caso come avrebbe potuto non credere alla possibilità di influenzare Urbano VIII in un senso favorevole ai copernicani?
Di ritorno a Firenze verso la metà di giugno, Galileo decise di redigere una risposta agli argomenti sviluppati contro Copernico da Francesco Ingoli nella Disputatio de situ et quiete Terrae. Non aveva osato rispondergli prima, ma ora si considerava sufficientemente protetto per poter esprimere liberamente la sua opinione sulle 20 obiezioni formulate da Ingoli contro il movimento della Terra. Tuttavia Mario Guiducci lo metteva in guardia contro la tentazione di affrontare problemi teologici e gli consigliava, in una lettera del 21 giugno 1624, di rispondere solamente agli argomenti che Ingoli considerava matematici e filosofici (EN, XIII.186).
Galileo seguì il consiglio e si limitò ad esporre le ragioni che gli permettevano di credere nel doppio movimento della Terra, sottolineando che il suo scopo non era di difendere e considerare per vera quella proposizione che era stata dichiarata contraria ad una dottrina superiore alle naturali ed astronomiche discipline. Voleva solamente difendere il proprio onore e l’onore di tutti i cattolici d’Italia di fronte agli eretici, tra i quali quelli di maggior grido condividevano tutti l’opinione di Copernico. Per confonderli, Galileo annunziava ad Ingoli di avere in mente «di trattar questo argomento assai diffusamente, e mostrar loro che noi Cattolici non per difetto di discorso naturale [...] restiamo nell’antica certezza insegnataci dai sacri autori, ma per la reverenza che portiamo alle scritture dei nostri padri e per il zelo della religione e della nostra fede» (EN, VI.510-511).
Alla fine di questa lunga lettera, Galileo indicava ad Ingoli che avrebbe potuto veder trattato più diffusamente questo argomento, se tempo e forze gli avessero permesso di condurre a termine il suo Discorso del flusso e reflusso del mare (EN, VI.561).
Il contenuto della risposta ad Ingoli lascerebbe pensare che Galileo si preparava all’ultima battaglia prima del trionfo dell’eliocentrismo grazie alla prova attraverso le maree. In realtà i segni di incertezza sulla strategia da seguire erano percettibili nel gruppo ristretto dei copernicani meglio informati sulle difficoltà da superare, e sfioravano lo stesso Galileo che aveva sicuramente dei dubbi sull’opportunità di sventolare subito la prova in segno di vittoria. Il 17 dicembre 1624 inviava a Cesare Marsili una copia della risposta ad Ingoli pregandolo nello stesso tempo di tenerla presso di sé senza mostrarla per adesso ad altri (EN, XIII.240). Ingoli era un avversario particolarmente agguerrito ed a suo agio nei labirinti del Sant’Uffizio. Galileo aspettava dai suoi amici indicazioni precise su come comportarsi.
Una copia della risposta era stata inviata anche a Guiducci, il quale, nella lettera già citata del 18 aprile 1625 a Galileo, indicava che il principe Cesi aveva consigliato di differirne l’invio ad Ingoli. In questa stessa lettera c’era una notizia poco piacevole, lasciata cadere quasi distrattamente alla fine di un poscritto. Il cardinale Orsini si conservava affezionatissimo a Galileo, ma si era avvicinato ad Apelle e cioè al gesuita Christoph Scheiner, diventato nemico acerrimo di Galileo in seguito alla controversia sulle macchie solari.
Come si ricorderà, il Discorso del flusso e reflusso del mare era stato redatto all’inizio del 1616 sotto forma di lettera diretta proprio al giovane cardinale Alessandro Orsini, che era fra le personalità che avevano cercato di influenzare Paolo V in un senso favorevole a Galileo. Entrato successivamente nell’Ordine dei gesuiti, rinunziò a difendere il sistema copernicano (FA 1993, 265). Galileo perdeva così la protezione di un personaggio che aveva avuto un ruolo non trascurabile nei primi mesi del 1616.
In seguito alle reticenze di Cesi e di Guiducci la risposta di Galileo non fu mai inviata ad Ingoli, per quel che ne sappiamo. Giovanni Ciampoli, che come si ricorderà ricopriva le importanti cariche di segretario dei brevi ai principi e di cameriere segreto, annunziava a Galileo in una lettera del 28 dicembre 1625 di averne riferito anche gran parte ad Urbano VIII. Il sommo pontefice aveva gustato l’illustrazione di un esempio e le graziose esperienze che lo corredavano (EN, XIII.295). Molto probabilmente Ciampoli aveva sce...