Saperi e competenze
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Saperi e competenze

  1. 170 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Saperi e competenze

Informazioni su questo libro

La ricerca e il dibattito attuale sui saperi scolastici si sono polarizzati intorno alla nozione di 'competenza', area di transizione in cui si realizza il passaggio dalla didattica tradizionale a una didattica più critica e ideativa. Le 'competenze', però, non bastano: per formare una mente autenticamente critica è necessario anche potenziare la 'riflessività'. Il volume inquadra il rinnovamento attuale della scuola nel più recente dibattito sulla nuova immagine dei saperi afferenti alle varie aree disciplinari e sul loro 'impatto' formativo.

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Informazioni

Appendici. Tra competenze e riflessività: percorsi didattici

I. Lingua, scienza e storia. Competenze per la scuola di base. Antologia di testi

1. Le competenze di base dell’educazione linguistica
Seguiamo alcuni punti di riferimento nella definizione degli obiettivi, dei contenuti e delle indicazioni didattiche nei Nuovi Programmi.
In particolare, forte è il richiamo all’operatività del linguaggio nella formazione alle competenze delle quattro abilità di base: parlare, ascoltare, leggere e scrivere. Per ognuna di queste, i programmi, pur individuando percorsi specifici di apprendimento e livelli diversi di complessità, ribadiscono l’interazione tra le abilità e il necessario riferimento ai bisogni reali degli alunni; bisogni che possono essere distinti in rapporto agli usi sociali, personali e curricolari della lingua e che si collegano al grado di sviluppo cognitivo, emotivo e comunicativo degli studenti stessi.
Per sviluppare una competenza adeguata alle quattro abilità, i programmi riconoscono anche l’importanza di condurre in ambito didattico una riflessione sulla lingua che prenda in esame sia gli aspetti sistematici, propriamente grammaticali, della lingua, come la semantica, la sintassi e la fonologia, sia gli aspetti relativi all’uso e che riguardano gli elementi testuali e intertestuali, pragmatici e sociolinguistici.
La riflessione sulla lingua non deve, però, avere carattere normativo, sottolineano ancora i Programmi, come avveniva per la grammatica tradizionale, ma funzioni operative e descrittive, come strumento per scoprire relazioni tra forme e significati, per ripercorrere la storia delle parole, per individuare le fondamentali strutture sintattiche.
L’osservazione grammaticale è, quindi, ridotta ai suoi termini essenziali, come interpretazione e decodificazione dei testi orali e scritti e mira alla sistematizzazione e all’approfondimento delle capacità spontanee degli alunni, sia nella produzione che nella comprensione della lingua.
Si tratta, quindi, di stimolare negli alunni attività di ri-conoscimento sia delle differenze tra lingua orale e scritta sia dei diversi sistemi di comunicazione usati e delle varietà funzionali e contestuali dei messaggi prodotti dagli alunni stessi, così come l’attenzione sarà rivolta al significato e ai suoi rapporti con il contesto a partire dalla comunicazione realizzata in classe, in modo che gli alunni si abituino a un uso più consono e più adeguato del loro linguaggio riflettendo sugli scopi, sugli aspetti contestuali, sulle capacità di comprensione dell’interlocutore, migliorando, al tempo stesso, le loro conoscenze dei meccanismi sottesi all’uso del linguaggio. [...]
Le competenze del parlante. La prima caratteristica del codice verbale evidenziata dai Nuovi Programmi di educazione linguistica è la primarietà del parlato sullo scritto. Il linguaggio verbale è riconosciuto come un tratto costitutivo e universale del genere umano e ha una sua autonomia funzionale e strutturale rispetto alla lingua scritta. Il parlato, diversamente dallo scritto, è caratterizzato, anche se non esclusivamente, dalla massima informalità e dalla compresenza degli interlocutori – si parla per lo più in situazioni «faccia a faccia» – e questo garantisce l’efficacia comunicativa.
Gli elementi non-verbali che intervengono nella comunicazione sono la mimica facciale, lo sguardo, i gesti, le posture, l’intonazione della voce, i riferimenti sottointesi e non esplicitati alla situazione extralinguistica, i valori e le conoscenze presupposte che possono essere segnalate mediante battute dialogiche, manifestazioni di stati d’animo, come lo stupore, l’accordo, la stizza, la perplessità, l’ironia, ecc. Tutti questi mezzi possono integrare o sostituire parti di un enunciato, raccordare tra loro enunciati e sostituire parti di un enunciato, e costituire feed-back che sorreggono e ampliano il successo nella comunicazione.
Il parlato è caratterizzato oltre che dalla maggiore informalità anche da una autonomia strutturale rispetto allo scritto, sia per il numero delle subordinate che per l’ordine delle parole nelle frasi; queste sono infatti meno lineari di quelle scritte e sono organizzate in modo diverso come, per esempio, nell’anticipazione dell’elemento informativo ripreso poi con l’uso del pronome, come nel caso seguente: quel libro, l’hai letto?
Il parlato, rispetto allo scritto, usa una minore varietà di vocaboli, ma si serve di quelle parole che hanno maggiore frequenza e che sono più concrete; i modi e i tempi dei verbi sono semplificati: più frequente è l’indicativo a scapito del congiuntivo e del condizionale, il presente a scapito del futuro e del passato; alcuni pronomi hanno la priorità su altri (gli per loro e per le); le ridondanze e le ripetizioni sono frequenti perché assicurano la riuscita della comunicazione; la coerenza e la coesione sono determinate più dall’intonazione e dall’enfasi che dalla connessione delle frasi per cui risultano ben tollerati accordi a senso, (come per esempio la gente... lo sanno), la presenza degli intercalari fàtici (chiaro?, capito?) e dei riempitivi di silenzio, (cioè, e, ehm), che servono al parlante per prendere tempo in modo da organizzare il proprio pensiero e a non perdere il «turno» nella conversazione.
Queste e altre caratteristiche del parlato possono essere oggetto di attività didattiche in modo da evitare la trasposizione diretta del parlato nello scritto, come avviene frequentemente fra gli studenti.
Il dialogo, poi, ha una valenza formativa centrale per migliorare la competenza comunicativa, specie se la conduzione da parte dell’insegnante in classe è rivolta a curare la precisione terminologica, in particolare quando è specialistica, l’efficacia comunicativa, calibrando le informazioni e le spiegazioni sul grado di competenza linguistica degli studenti, a stimolare la cooperazione e la cortesia, usando le regole dialogiche, a suscitare la varietà dei messaggi, avendo presente le funzioni pragmatiche e interattive.
Dalle caratteristiche della lingua parlata è possibile, in parte, inferire quali possono essere le capacità di produzione che occorre mettere in atto nel dialogo, facendo riferimento ai fattori cognitivi che sono implicati nella pianificazione del discorso, pianificazione che comunque è limitata dalla memoria a breve termine, dai riferimenti contestuali e dal feed-back.
La prima competenza è quella ideativa legata alla pianificazione del contenuto del messaggio e che implica, da parte dell’allievo, tener conto degli scopi della comunicazione, aver chiaro quali informazioni vuole trasmettere e quali gli servono da supporto e sapere qual è l’elemento centrale della conversazione.
La competenza pragmatica serve invece ad analizzare gli elementi della situazione comunicativa alla quale adeguare la propria produzione. [...]
La terza competenza è quella sintattica e testuale, che permette di produrre frasi sintatticamente accettabili, coerenti e dotate di senso, quindi fa attenzione alle concordanze, alle pause, ai rapporti logici, al rapporto soggetto-predicato, ecc.
La competenza semantica riguarda la scelta della modalità espressiva rispetto al significato che vuole comunicare: forma interrogativa, dichiarativa, negativa, ecc.
Infine la competenza tecnica è riferita alla pronuncia, alla voce, al ritmo di emissione e alla posizione rispetto a chi ascolta.
Le competenze dell’ascoltatore. Uno degli aspetti più interessanti dell’abilità all’ascolto è il principio secondo cui ascoltare vuol dire «costruire dei significati» per arrivare a un comprensione attiva dei messaggi o delle informazioni trasmesse dal parlante. Questo principio è tanto più significativo se riferito all’educazione linguistica, in quanto una delle capacità che si vogliono migliorare è proprio quella di elaborare le informazioni e non di recepirle in modo passivo. Ma cosa significa veramente ascoltare? E si può veramente insegnare ad ascoltare?
Considerando l’ascolto una forma di integrazione verbale, si può sostenere che ascoltare vuol dire comprendere in tutti i suoi effetti la parola altrui, ma significa anche che l’ascolto richiede una serie di mediazioni comunicative concrete, come il fare domande, e di prestazioni specifiche, come il prendere appunti, che facilitano la comprensione e che rendono meno opaco il suo significato. Al tempo stesso il ruolo assunto dall’ascoltatore in una specifica situazione comunicativa determina quali variabili gli sono necessarie per capire quello che gli viene detto, in quanto l’ascoltatore richiama le sue risorse di attenzione e di memoria, fa leva sulle sue aspettative, ipotizza le intenzioni del parlante e seleziona quali informazioni sono pertinenti o non pertinenti ai fini della comprensione. [...]
Ciò che risulta interessante sul piano linguistico è la forma organizzativa che assumono le informazioni nella mente dell’ascoltatore la cui grammatica specifica è in parte simile a quella propria del linguaggio interiore. [...]
L’ascolto dunque è un’attività complessa e raffinata che comporta delicate operazioni linguistiche e mentali; in particolare, per quanto riguarda l’attività didattica, se ciò che maggiormente ci interessa è trasformare l’ascolto in apprendimento, cioè in conoscenze salde e consolidate, è necessario assegnare un ruolo centrale all’interesse nel senso che «si impara a costruire il significato di qualcosa che si ascolta se si impara ad attribuirgli interesse. Da questo punto di vista insegnare ad ascoltare è prima di tutto insegnare a provare interesse».
Le competenze del lettore. A partire dagli anni ’60 le problematiche coinvolte nella lettura sono state oggetto di interesse di molte discipline – dalla psicologia sperimentale, alla pedagogia, alla psicologia dell’età evolutiva, alla psicolinguistica, ecc. – che hanno prodotto una quantità impressionante di ricerche delle quali è impossibile rendere conto. Si può solo dire che siamo passati da una concezione sequenziale/lineare della lettura a una basata sul processo di comprensione, in quanto questo approccio è più idoneo a comprendere la complessità e le difficoltà inerenti l’apprendimento di questa attività. In particolare la psicologia cognitivista ha posto l’accento sia sul carattere attivo e costruttivo del processo di comprensione evidenziandone gli stretti legami con le problematiche analizzate dalla linguistica generativa, testuale e pragmatica.
Nel processo di comprensione della lettura, vengono infatti attivati dal soggetto schemi mentali, strategie di controllo e di pianificazione, attività di inferenza tra le informazioni contenute nel testo in rapporto a quelle presupposte, a quelle contenute nel contesto e a quelle che appartengono alle proprie esperienze e conoscenze, che implicano processi mentali e di memorizzazione così complessi che non possono essere risolti solo sul piano tecnico o attraverso la semplice decodificazione.
La lettura è dunque un processo multicomponenziale che riguarda il compito assegnato, lo scopo, la capacità di individuare i diversi tipi di testo, le motivazioni alla lettura, le probabilità di successo, il patrimonio lessicale e, più che altro, le abilità del lettore di compiere inferenze a vari livelli: tra le parti affini del testo, tra le varie interpretazioni operate in base alle parti precedenti e che gli permettono di anticipare quelle successive, contemporaneamente controllando, valutando e modificando i significati attribuiti.
Non è quindi un caso che uno degli obiettivi più importanti dell’educazione linguistica nella scuola dell’obbligo sia proprio il processo di comprensione della lettura, proprio perché le attività di interpretazione, trasformazione e di elaborazione da questo implicate hanno un’influenza rilevante nell’interno sviluppo cognitivo.[...]
La lettura dei testi narrativi. I percorsi didattici sulla lettura possono prendere spunto dalla scelta di quella forma testuale che risponde maggiormente alle esigenze degli allievi e scandire l’attività secondo una sequenza ordinata, finalizzata al raggiungimento di specifici obiettivi di lettura. Va infatti precisato che l’abilità a leggere non è una competenza che si apprende una volta per tutte e valida per tutte le situazioni, ma che ogni tipo di testo da leggere e ogni scopo che ci si propone nel leggere, implica una strategia di lettura differenziata e richiede capacità diverse sia oculo-motorie che cognitive. Le strategie fondamentali di lettura sono cinque: lettura orientativa, lettura globale, lettura per la ricerca di informazioni, lettura analitica e lettura per l’apprendimento.
Le abilità di scrittura. L’abilità a scrivere è la capacità di produrre testi scritti di diverso tipo seguen...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Capitolo primo. Scuola dell’autonomia e rinnovamento dei saperi scolastici
  3. Capitolo secondo. Progettare «curricula» Aspetti operativi
  4. Capitolo terzo. Intorno alla nozione di competenza
  5. Capitolo quarto. La frontiera della riflessività Tra conoscenza, scienza e sapienza
  6. Capitolo quinto. La dimensione epistemologica dei saperi
  7. Capitolo sesto. I saperi storico-linguistico-letterari
  8. Capitolo settimo. I saperi scientifici (e tecnici)
  9. Capitolo ottavo. Saperi estetici e saperi riflessivi
  10. Bibliografia
  11. Appendici. Tra competenze e riflessività: percorsi didattici