Augusto
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Augusto

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Informazioni su questo libro

La straordinaria vicenda umana e politica del 'principe' raccontata da Augusto Fraschetti, lo storico che ha indagato con maggiore profondità e originalità l'età augustea. Questo libro conferma le grandi potenzialità del genere biografico, quando venga affrontato da storici di livello che scrivono bene e sanno trovare il delicato punto di equilibrio tra il singolare e il plurale.Andrea Giardina«A diciotto anni, di mia iniziativa e a mie spese, ho approntato un esercito con cui liberai la repubblica oppressa dal dominio di una fazione»: queste le parole con cui Augusto raccontò nella sua breve autobiografia l'inizio della sua avventura politica.In questo libro, Fraschetti ripercorre le vicende biografiche del più grande imperatore di Roma – dalla nascita all'adozione da parte di Cesare, fino alla morte e ai funerali – e le sue realizzazioni politiche, militari, amministrative, inserendole in una storia più complessiva della tarda repubblica romana e della prima età imperiale.

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Informazioni

Argomento
Storia
Categoria
Storia antica

L’Italia triumvirale e augustea

1. L’Italia e il principe

A partire dall’ingresso degli Italici nella cittadinanza romana e dall’apertura del senato agli esponenti più illustri delle comunità della penisola, la centralità e il ruolo dell’Italia si rivelarono tanto fondamentali quanto risolutori soprattutto in gravi momenti di crisi politica e istituzionale. Già Cicerone nel 57 a.C. aveva detto di essere stato richiamato dall’esilio non solo dal senato e dal popolo romano, ma grazie anche ai «decreti dell’Italia» o addirittura «di tutta l’Italia». Più semplicemente e con minore enfasi doveva trattarsi di una serie di singoli decreti votati da alcune colonie e da alcuni municipi su sollecitazione di Pompeo. Poco dopo tuttavia fu soprattutto Cesare a dimostrare grande sensibilità verso i problemi della penisola e dei suoi abitanti: si deve a lui infatti la proposta di estendere amministrativamente i confini dell’Italia fino a comprendere in essa la Gallia Cisalpina (la Gallia a sud delle Alpi) che prima ne era esclusa ed era governata come una provincia, così come i suoi abitanti, in quanto provinciali, erano esclusi in precedenza dai privilegi di cui godevano gli Italici.
La presenza confortante di tutta l’Italia al suo fianco scandì più tardi il resoconto delle Imprese del divo Augusto. Anzi in quel resoconto già nel 32 a.C. sarebbe stata «spontaneamente tutta l’Italia» a giurare «sul suo nome» e a volerlo «duce» nella guerra contro l’Egitto (RG 25, 2). Doveva essere una rappresentazione di quella campagna molto cara al principe. Essa infatti sarà ripresa anche da Virgilio nella sua descrizione della battaglia di Azio raffigurata nell’Eneide sullo scudo che Venere avrebbe fatto approntare da Vulcano per Enea e dove erano rappresentate contrapposte le flotte di Cesare figlio da un lato e di Antonio e Cleopatra dall’altro (Eneide VIII 675 sgg.):
Al centro si potevano scorgere flotte di bronzo,
la battaglia d’Azio e in schieramento di guerra
ribollire tutto il Leucate e i flutti risplendere d’oro.
Di qui Cesare Augusto che guida gli Italici a battaglia,
con i senatori e il popolo, i Penati e i Grandi Dei,
dritto sull’alta poppa; dalle tempie felici promanano
due fiamme e porta sul capo la stella del padre [...]
Di là con un esercito barbaro e armi diverse Antonio,
vittorioso sui popoli dell’Aurora e sul Mar Rosso,
porta con sé l’Egitto e le forze dell’Oriente e la remota
Battriana, e lo segue (infamia!) la sposa egizia.
Il mantovano Virgilio rappresenta dunque da un lato Cesare Augusto «che guida gli Italici a battaglia», dall’altro Antonio, fiancheggiato da Cleopatra, a capo non solo dell’Egitto ma di tutto l’Oriente. La battaglia di Azio si era risolta nel 31 a.C. con una vittoria grande e definitiva dell’Italia: era un’Italia di cui lo stesso Virgilio, originario della Cisalpina, non mancava di tessere le lodi. Virgilio infatti fu un poeta organico al nuovo ordinamento augusteo: organico non solo perché legato al circolo di poeti che ruotavano intorno a Mecenate, ma anche per lo sviluppo di una sintonia profonda in più campi delle sue idealità con quelle del principe. Il poeta che dopo gli sconvolgimenti seguiti alle espropriazioni triumvirali e alla guerra di Perugia aveva lamentato nella prima Ecloga la perdita irreparabile del suo campicello, dopo la fine delle guerre civili si fece interprete anch’egli dell’aspirazione di Cesare figlio alla rinascita dell’Italia. Doveva essere una rinascita che sulla scia di un sogno lontano avrebbe dovuto portare al ristabilimento della piccola proprietà, quella coltivata amorevolmente – come aveva fatto lo stesso Virgilio con il suo piccolo appezzamento – non da schiavi ma da contadini liberi, attaccati con tenacia alle loro terre.
Così, cedendo alle sollecitazioni di Mecenate, i quattro libri delle Georgiche, compiuti nel 29, rappresentarono un poema didascalico rivolto ai contadini italici, per «insegnare» loro rispettivamente come prendersi cura dei cereali, delle piante arboree, degli animali, infine delle api. La natura didascalica del poema deve essere fatta risalire al genere di appartenenza: basti pensare al modello costituito dalle Opere e i giorni del poeta greco Esiodo, che visse intorno al 700 a.C. A sua volta, però, la varietà degli argomenti distribuiti nei libri corrispondeva bene secondo Virgilio alla stessa varietà della terra Italia, ricca di molte e diverse colture grazie soprattutto al suo clima, esaltato in epoca triumvirale anche da Varrone, che scrisse un apposito trattato Sull’agricoltura, e nell’età di Augusto da Strabone e da Dionisio di Alicarnasso.
Anche Virgilio lodava il clima dell’Italia: un clima che faceva nascere dalle terre brumose della Transpadana fino ai pendii assolati del Meridione prodotti tanto diversi da rendere inutile ogni importazione: l’Italia così sarebbe stata sostanzialmente «autarchica» e autosufficiente, a differenza di altre regioni bisognose invece per la propria sopravvivenza dell’apporto di paesi stranieri e lontani. Alle lodi del clima si aggiungevano le lodi degli abitanti della penisola, popoli antichi, illustri e valorosi, di cui si esaltavano la virtù e la semplicità. Così, rispetto alle altre terre del Mediterraneo, la terra Italia, paese di «primavera eterna», avrebbe presentato caratteristiche autonome e proprie che Virgilio nel suo poema (Georgiche II 136-76) non mancava di evocare con orgoglio:
Ma né le selve dei Medi, ricchissima terra,
né il bel Gange né l’Ermo torbido d’oro1,
gareggiano con le lodi dell’Italia, né la Battriana né gli Indi
e tutta la Pancaia, ricca d’arene che recano incenso2.
Questi luoghi non li sconvolsero tori che spirano
fuoco dalle narici, seminati i denti del drago mostruoso,
né vi sorse una messe d’uomini irta d’elmi e di fitte lance3,
ma la riempirono messi pregne e l’umore Massico
di Bacco4, la occupano uliveti e pingui armenti;
di qui il cavallo bellicoso s’avanza dritto in campo,
di qui, Clitunno, le bianche greggi e il toro, la vittima
più grande, aspersi spesso dal tuo sacro fiume,
guidarono i trionfi romani ai templi degli dei.
Qui è primavera eterna e, in mesi non suoi, estate;
le greggi sono gravide due volte e due volte l’albero dà frutti.
Non vi sono invece tigri feroci né la stirpe selvaggia
dei leoni e l’aconito non inganna i raccoglitori sventurati5,
lo squamoso serpente non trascina volute immense sulla
terra né si raccoglie nelle sue spire con così grande lunghezza.
Aggiungi le tante città illustri e il fervore delle opere,
le tante città costruite dall’uomo su rupi scoscese
e i fiumi che scorrono sotto antiche mura.
Debbo ricordare il mare che la bagna in alto e in basso?
E i laghi vasti? Te, vastissimo Lario, e te,
Benaco6, che sorgi in onde e in fremito di mare?
Debbo ricordare i porti e la diga apposta al Lucrino,
e la distesa del mare che si adira con grandi fragori
là dove l’onda Giulia risuona da lontano del riflusso delle acque
e i flutti del Tirreno penetrano nelle onde dell’Averno?7
Questa stessa terra mostra rivoli d’argento, miniere
di rame ed è ricca di fiumi d’oro.
Essa generò i Marsi, dura stirpe di guerrieri, e i vigorosi
Sabelli e i Liguri abituati alle sventure e i Volsci armati
di spiedi; essa i Deci, i Mari e i grandi Camilli,
gli Scipiadi aspri in guerra e te, grandissimo Cesare,
che ora, già vittorioso nelle più lontane regioni dell’Asia,
tieni lontano l’Indo imbelle dalle rocche romane8.
Salve, grande madre di messi, terra di Saturno,
grande madre di eroi: per te incedo tra antichi
monumenti di gloria e d’arte osando dischiudere le sacre fonti,
e canto il carme di Ascra per le città romane9.
Dopo i difficili rapporti del triumviro Cesare figlio con i ceti possidenti dell’Italia ai tempi delle distribuzioni di terre ai veterani e della guerra di Perugia, Augusto nei decenni successivi dovette preoccuparsi di far dimenticare ogni contrasto. In tal modo, popolosa di colonie e di municipi di cittadini romani, era stata tutta l’Italia nel 32 a.C. a sceglierlo come «duce», prima di muovere contro Cleopatra e contro Antonio, per rivendicare sotto la sua guida il proprio ruolo e la propria egemonia contro l’Egitto. Appunto in quella circostanza fu pronunciato nei suoi confronti il giuramento di fedeltà dell’Italia (coniuratio Italiae), cui Augusto più tardi si premurava di accennare nel resoconto delle sue Imprese. Profondamente grato di quel giuramento e del sostegno allora ricevuto, il principe rimise – come diceva la versione greca del rendiconto delle Imprese (25, 3) – una «corona d’oro» dal peso di 35.000 libbre offertagli dalle colonie e dai municipi della penisola in occasione del triplice trionfo che egli celebrò nel 29. Poiché era stata soprattutto l’Italia a sostenerlo contro l’Egitto e contro Antonio, essa evidentemente aveva già pagato il suo contributo a quella lotta così da essere esentata da ogni offerta ulteriore quando fu conseguita la vittoria.
Pertanto, in segno di gratitudine, il principe rifiutò in seguito i donativi analoghi che le colonie e i municipi d’Italia erano soliti inviare a Roma ogni volta che Augusto era acclamato imperatore dalle truppe dopo una campagna militare vittoriosa. Infine, il consenso unanime, totale e incondizionato di tutta l’Italia nei confronti del suo principe si sarebbe manifestato pienamente, come abbiamo visto, nel 12 a.C., quando si svolsero i comizi per l’elezione di Augusto al pontificato massimo: in quella circostanza confluì a Roma per il voto una «moltitudine così grande quanto mai si tramanda ci fosse stata [...] prima di quel tempo» (RG 10, 2).

2. L’assetto amministrativo

La grande attenzione manifestata da Augusto nei confronti dell’Italia è testimoniata anche dalla circostanza che la fece oggetto di un suo specifico lavoro, la Ripartizione dell’Italia, di cui ci dà notizia Plinio il Vecchio. In quella vera e propria enciclopedia che è la sua Storia naturale, prima di iniziare la descrizione dell’Italia, Plinio il Vecchio infatti precisava (Storia naturale III 46):
Passerò ora in rassegna il circuito e le città dell’Italia; a questo proposito è necessario premettere che seguirò il divo Augusto e la Ripartizione in undici regioni che egli ha fatto dell’Italia, ma procedendo per il tracciato della costa. Poiché è impossibile soprattutto in un discorso affrettato come il mio rispettare i rapporti di vicinanza tra le singole città, per le città dell’interno seguirò l’elenco fatto dallo stesso Augusto, segnalando, come egli fece, le colonie.
Si sono molto discusse le caratteristiche esatte dell’opera redatta da Augusto. Tuttavia, se Plinio citava il principe come uno dei suoi autori (auctores), la Ripartizione dell’Italia corredata da un indice doveva essere un lavoro non solo molto autorevole, ma anche meticoloso e di notevole ampiezza. Gli interessi geografici di Augusto possono confrontarsi del resto con quelli del suo collega Agrippa che espose a Roma nel portico, cui dette il suo nome, «una carta del mondo» in modo tale che fosse «sotto gli occhi» di tutta la città e che tutti i Romani potessero quindi contemplarla. Com’è chiaro, gli interessi geografici di Augusto e di Agrippa non erano certo disinteressati, ma finalizzati piuttosto a fornire ai loro contemporanei una migliore conoscenza dell’Italia e dell’impero, quell’impero che entrambi avevano contribuito ad ampliare. Per...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Gaio Ottavio
  3. Cesare figlio
  4. Il tramonto della repubblica
  5. Il principe
  6. La città di Roma: amministrare sorvegliando
  7. L’Italia triumvirale e augustea
  8. Le province
  9. Il mondo
  10. La morte, i funerali, il culto
  11. Bibliografia
  12. Cronologia
  13. Glossario
  14. I personaggi
  15. I testimoni