1977
Fuori dalle secche?
Tutto ciò che il governo o il ministero della Marina mercantile decisero di fare dal naufragio in poi e che qui racconto, non lo seppi se non con grande ritardo, ricostruendolo in seguito, in parte dai giornali, in parte dai resoconti delle sedute parlamentari. Al tempo in cui avvenivano, io, delle mosse del governo, non sapevo nulla. A volte in via ufficiosa qualche volenteroso o interessato personaggio mi metteva a parte di qualche iniziativa intrapresa. Ma negli ingranaggi messi in moto dall’azione del governo mai le istruttorie condotte né le mie reiterate richieste di intervento furono apparentemente messe in conto o prese in considerazione. A prescindere dalla buona fede con cui il governo agì in quei due anni, prima che io intervenissi con le varie ordinanze di sequestro e di recupero, questo atteggiamento, unito al clima di totale riserbo, di sottovalutazione se non di negazione del pericolo, insinuò anche in me un certo sospetto, che sembrò prendere forza quando cominciarono a trapelare notizie che lasciavano intendere di interessi e scenari internazionali degni di un romanzo di Le Carré. La mancanza di comunicazione genera sempre diffidenza e in questo caso giocò un ruolo non marginale in me come nell’opinione pubblica, fomentata dal clamore dei mezzi di comunicazione e assolutamente non rassicurata dalle risposte che arrivavano dalla politica. Quest’ultima aveva in qualche modo avviato un proprio percorso.
Aula del Senato, 21 ottobre 1976: il ministro della Marina mercantile Francesco Fabbri risponde ad un’interrogazione sul caso Cavtat avanzata da esponenti dell’opposizione e del governo e finalmente fa una cronistoria documentata sull’argomento. Voglio ripercorrerne qui brevemente i passaggi salienti:
il ministero della Marina mercantile venne immediatamente informato [dell’avvenuto naufragio, N.d.R.] dalla Capitaneria di porto di Brindisi e tenuto conto della grave tossicità del prodotto, richiese immediatamente all’istituto di ricerca delle acque del CNR, e al laboratorio centrale di idrobiologia del ministero dell’Agricoltura e Foreste, il parere e i suggerimenti per l’adozione di misure necessarie e urgenti [...] il comandante marittimo di Brindisi [...] provvide ad emettere l’ordinanza di ingiunzione per la rimozione del carico sommerso [...] nei confronti della società iugoslava Atlantska Plovidba [...] immediatamente impugnata davanti al tribunale amministrativo regionale delle Puglie [...]. [In seguito] la società armatrice iugoslava si dichiara disposta ad esaminare in sede ministeriale la possibilità di recupero del carico a proprie spese [...] la stessa società si è impegnata a compiere le indagini necessarie di natura chimica e di natura tecnica preliminari al recupero.
Ecco che compare ufficialmente la società di recupero Brodospass di Spalato, incaricata – a quanto pare – dai proprietari della Cavtat di effettuare alcune prospezioni, compiute, come già sappiamo, nell’ottobre del 1975. Il ministro informa l’aula che
venne fatto anche un film [...] non riuscito perfettamente a causa delle difficoltà incontrate dall’operatore per la presenza di forti correnti sottomarine. [...] Dall’esame di questo film, si può dedurre che almeno uno di questi fusti contenente la miscela antidetonante è deteriorato e si può presumere quindi che il contenuto possa essere fuoriuscito. Ciononostante, si può notare attorno ai barili vicini a quello danneggiato che la flora e la fauna marina non hanno subìto modificazioni [corsivo mio].
La Brodospass, che finalmente in questa sede ci viene «presentata» dal ministro Fabbri, dichiara pericoloso e impossibile il recupero. Il ministero della Marina mercantile, a questo punto, coinvolge il governo perché venga approntato uno strumento legislativo necessario per le operazioni di recupero e inertizzazione del carico e/o del relitto. Nel corso di varie riunioni presso la presidenza del Consiglio, a quanto pare, non ne fu ravvisata l’urgenza, perché tutti gli esperti interpellati non confermavano la sussistenza di pericoli imminenti; si preferì, così, commissionare ulteriori studi e ricerche invece di promuovere un provvedimento legislativo.
L’incarico assegnato all’Istituto superiore di sanità e al Laboratorio centrale di idrobiologia marina del ministero dell’Agricoltura e Foreste, al fine di individuare eventuali contaminazioni dell’ambiente, era di recentissima assegnazione – appena dieci giorni prima – rispetto all’intervento in aula del ministro Fabbri. E infatti egli afferma che, compiute tutte le analisi e le ricerche affidate, solo «successivamente, si potrà avviare la fase di un progetto di recupero o di altra forma di neutralizzazione, con relative ipotesi di spesa, previa una completa verifica dello stato del luogo, del relitto, del carico di stiva, del carico sopra coperta e di quello disperso nelle vicinanze del relitto».
Il ministro aggiunge anche la notizia di passi a livello diplomatico con la Iugoslavia: «Si sta studiando anche la possibilità di portare il caso della Cavtat all’ordine del giorno della prossima riunione della commissione mista italo-iugoslava prevista dall’accordo di cooperazione tra i due paesi per la lotta agli inquinamenti dell’Adriatico».
Al di là della conoscenza di passaggi che fino a quel momento erano rimasti oscuri (anche se di questi ultimi vengono taciuti dettagli, come il sopralluogo dei sommozzatori dei carabinieri, di cui fui informato in via ufficiosa senza averne mai alcuna conferma), salta agli occhi in queste dichiarazioni il continuo, «tranquillizzante» riferimento al parere degli esperti che bollavano come esagerate le dichiarazioni allarmanti sul potenziale distruttivo del carico di piombo. Ma, d’altronde, se le alghe sono rigogliose e i pesci nuotano felici, perché dare retta ai «gufi» che predicono sciagura?
C’è da dire poi che, probabilmente, considerati i tempi della politica e l’elefantiasi della macchina statale, al ministro non dovevano sembrare poi tanti i due anni e tre mesi passati tra riunioni, sopralluoghi, studi e ricerche senza ancora avere un’idea concreta sul da farsi.
In questo clima di placida autoreferenzialità, immagino il fastidio di dover fronteggiare all’improvviso la campagna di boicottaggio del turismo messa in atto dagli altri paesi, l’allarme dei giornali, la richiesta di giustificazioni da parte della società e dell’opinione pubblica. Per non parlare dell’azione di un pretore, che, come un sassolino, si infila nell’ingranaggio e lo inceppa.
Certo, erano anni caratterizzati dalla mancanza di stabilità politica, e questo poteva apparentemente rappresentare un ostacolo allo svolgimento coerente dell’azione di governo; ma non poteva giustificare tempi di intervento così lunghi. Infatti, tutti gli esecutivi che si avvicendavano erano sempre incentrati sulla Democrazia cristiana, con uno scambio di poltrone ministeriali occupate sempre dagli stessi personaggi.
Costrette dalle circostanze, le forze politiche avviarono l’iter per giungere a un disegno di legge o un decreto legge che trattasse finalmente le modalità per il recupero della Cavtat. Peccato però che i tempi della legge, decisa già con due anni di ritardo, fossero strutturalmente in contrasto con l’oggettiva urgenza che il momento richiedeva (e per me «l’oggettiva urgenza» era messa nero su bianco nelle perizie degli esperti di chiara fama incaricati dalla pretura), facendo sì che la dichiarata volontà di giungere ad una rapida risoluzione apparisse in realtà un velleitario gioco a rimpiattino. Si aggiunga, poi, che mentre procedeva il dibattito politico sul come e sul quando, chi aveva il potere di legiferare sembrava ignorare che ci fosse un giudice, il quale di fatto aveva già ordinato l’esecuzione del recupero, individuandone anche i mezzi più idonei.
È questo l’aspetto che più lascia sconcertati: quando, per forza di cose, la legge fu messa in cantiere, io facevo già recuperare il primo bidone, avevo contattato l’ENI-Saipem, e mi accingevo a far eseguire il recupero dell’intero carico di bidoni inquinanti.
È davvero surreale. Mi chiedo che cosa ci fosse di così insuperabile che impedisse il riconoscimento dell’azione del sottoscritto. Poteva essere solo un problema di competenze?
Sappiamo che in quegli anni l’azione dei pretori come me non era vista di buon occhio nelle «stanze del potere». Memorabile rimase il tonante intervento del democristiano Flaminio Piccoli alla Camera dei deputati: non permetteremo che siano i giudici a governare l’Italia!
Ma la manifesta incapacità di leale collaborazione tra poteri dello Stato andava, a mio parere, al di là del semplice timore di ingerenza nei rispettivi ambiti costituzionalmente assegnati.
Qui si trattava di «potere», non inteso in senso generale ma, nello specifico, del potere di influire sulla gestione delle somme di denaro che il governo si accingeva a stanziare. Si poteva consentire che un «pretorino» qualunque impedisse la gestione «politica» del lucroso affare?
A tale proposito, si verificarono alcuni episodi che, a mio avviso, rappresentano la punta emergente del grosso iceberg che mi si parava innanzi a sbarrarmi la strada.
Il primo avvenne quando, per partecipare alla riunione a cui ero stato invitato sulla nave Proteo prima del recupero del primo bidone, fui accolto – ne ho già fatto cenno – da un cordiale ufficiale, che volle darmi un «consiglio» mentre mi accompagnava dal comandante. Tra gioviali sorrisi e cortesi chiacchiere, riferendosi al problema del recupero del piombo, se ne uscì con un suggerimento riguardo a chi avrebbe dovuto occuparsi dell’impresa. Il nome era lì, scritto su un pezzo di carta che teneva in mano, ed era una ditta americana, ma ero talmente stupito dall’approccio che non lo memorizzai. Il mio evidente sconcerto scoraggiò l’ufficiale; come per caso, il foglietto (che a quel punto avrei voluto avere) gli fu strappato di mano da una folata di vento, che quel giorno soffiava impetuoso, e la faccenda finì lì.
Il secondo episodio si verificò circa un paio di mesi dopo. Avevo quasi dimenticato la conversazione a bordo della Proteo e la Edilsub aveva già effettuato il primo recupero quando, inopinatamente, proprio uno dei partecipanti a quell’impresa mi chiese un colloquio, espressamente «da solo e fuori dalla pretura».
Immaginai che volesse insistere sulla richiesta, avanzata in altre occasioni, di ricevere un nuovo incarico, quasi «di diritto» dopo il successo conseguito, per l’esecuzione della più complessa e ghiotta operazione riguardante l’intero carico di fusti. Sarebbe stata indubbiamente la «pesca» della vita! Il mio precedente rifiuto era stato ampiamente giustificato dalla evidente macroscopica sproporzione tra le capacità tecniche di semplici pescatori di corallo e quelle che occorrevano per un recupero di quelle dimensioni a 100 metri di profondità, in assenza peraltro di un qualsiasi analogo precedente nella storia dei mari.
Per farla breve, mi recai all’incontro immaginando che sarebbe tornato sull’argomento insistendo sulla sua disponibilità e forse avrebbe anche riesumato il brutto episodio della strana rottura della cima che teneva legato il bidone, prima del suo recupero.
Ma niente di tutto questo. Senza troppi preamboli mi parlò di una compagnia americana, che era pronta a mettersi a mia disposizione, che «il sottosegretario era d’accordo» e che per me ci sarebbe stato ...