Il cinema europeo
eBook - ePub

Il cinema europeo

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il cinema europeo

Informazioni su questo libro

Il Novecento si è aperto con il paradosso di una cinematografia europea potente ma incapace di garantire il suo futuro. Il Ventunesimo secolo comincia con un nuovo paradosso: gli unici film in grado di unire tutti gli spettatori europei provengono dall'America. Pierre Sorlin Il cinema europeo non può fare a meno di guardare all'America in termini di confronto e di emulazione e tuttavia, dopo centodieci anni di film, ha saputo sviluppare caratteristiche proprie, elementi di riconoscibilità, aspettative condivise, coesione tra gli spettatori. Un affascinante percorso alla ricerca dell'identità del Vecchio Continente, attraverso alcuni concetti chiave come 'realismo', 'scrittura', 'cinema d'autore e autorialità', 'generi autoctoni e d'imitazione'.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il cinema europeo di Mariapia Comand,Roi Menarini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Mezzi di comunicazione e arti performative e Storia e critica del cinema. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

1. L’identità e la tradizione

Tra i film europei di maggior successo degli ultimi anni va senz’altro annoverato Il favoloso mondo di Amélie (2001, Jean-Pierre Jeunet), film che ha unito il pubblico in un consenso incondizionato e diviso la critica (parte della quale impegnata a sottolineare una presunta ipocrisia di fondo di una pellicola pensata per piacere al maggior numero di spettatori possibile) in tutto il mondo. Non è nostra intenzione in queste righe soffermarci sul giudizio di valore da attribuire all’opera di Jean-Pierre Jeunet, né identificare ragioni e torti dei contendenti. Interessa, invece, individuare le caratteristiche che hanno reso famoso questo film.
Da una parte, il merito va certamente alla creazione di un personaggio femminile al tempo stesso tenero e indocile, avventato e romantico, solitario e bisognoso di amore. L’altra caratteristica vincente è senz’altro quella del linguaggio cinematografico con cui è narrata la storia: icastico, rapido, affabulatorio, vivace. Si può dire che Il favoloso mondo di Amélie è stato girato con l’energia e gli effetti speciali di un film hollywoodiano al servizio di una vicenda tipicamente europea. Parigi, infatti, è la coprotagonista del film, e gli spettatori che hanno premiato la pellicola si sono certamente sentiti stimolati e appagati dall’universalità dei sentimenti espressi e dall’imprevedibilità della trama. Ecco perché questo film è forse l’emblema delle pagine che seguono: l’esempio, cioè, di un cinema europeo che non può fare a meno di guardare all’America in termini di confronto ed emulazione, e che tuttavia nel corso di oltre un secolo ha saputo sviluppare caratteristiche proprie, elementi di riconoscibilità, aspettative condivise, coesione tra gli spettatori.
Che il cinema sia un collettore di identità, un mezzo attraverso il quale si sono formati la cultura delle civiltà moderne e un linguaggio con cui esprimere le spinte di un secolo frammentario è argomento di dominio comune. Più difficile è avventurarsi nelle modalità di affermazione identitaria e nella costruzione di saperi intorno al problema del soggetto sociale al cinema.

1.1 Il cinema, l’identità

Nel suo più recente lavoro – intitolato significativamente L’occhio del Novecento – Francesco Casetti studia brillantemente le forme di negoziazione del senso e dell’identità che il cinema ha organizzato durante il secolo scorso. Egli scrive, per esempio, che il cinema «è riuscito a confrontare e far convergere spinte tra loro contrastanti, fornendo così a un’epoca, dilacerata da conflitti e dilemmi, possibili soluzioni, e fornendogliele nella quotidianità, oltre che con leggerezza»1. La convincente categorizzazione dei poli più problematici di questa negoziazione investe in buona parte il cinema americano, e non potrebbe essere altrimenti vista la capacità di costruire un immaginario collettivo da parte di Hollywood.
E in Europa? Nel saggio di apertura della Storia del cinema mondiale da lui curata2, Gian Piero Brunetta va alla ricerca dell’identità e delle radici culturali fondate dal cinema europeo. Egli afferma: «Il cinema ci appare oggi, all’indomani della scadenza del centenario della nascita, come un luogo privilegiato della memoria collettiva europea. Certo si può osservare che il senso di identificazione degli individui sparsi in varie nazioni verrà raggiunto soprattutto col cinema americano [...], è tuttavia possibile che il cinema abbia giocato e possa giocare un ruolo nella costituzione di una identità collettiva europea»3.
D’altra parte, si potrà obiettare che la storia dell’Europa del Novecento è troppo complessa e frantumata per dare vita a una qualsivoglia visione d’insieme. Basti pensare alla contrapposizione dei blocchi politico-ideologici dal dopoguerra fino alla caduta del Muro di Berlino per comprendere come, a differenza degli Stati Uniti, il Vecchio Continente debba fare i conti con decine di diverse origini e differenti processi sociali. E non parliamo del lunghissimo e tuttora accidentato percorso che il sogno dell’Europa unita ha affrontato per sfociare nella Ue di oggi. Tuttavia, questa affermazione – ovvia: il cinema europeo rappresenta prima di tutto identità nazionali e poi identità internazionali – non tiene conto della presenza del cinema stesso. Ovvero non considera il cinema come parte integrante della costruzione di identità che contribuisce a formare.
È al cinema, cioè, più che altrove, che lo spettatore europeo sente proprie la cittadinanza e la soggettività sociale continentale. È al cinema che recupera il suo passato e le precedenti condizioni civili di cui avrebbe altrimenti memoria solo attraverso fonti museificate (pensiamo al ruolo europeista del «film in costume» e del film storico); è al cinema che si costruisce un ruolo storico, sia esso quello di vittima, di testimone oculare o di maggioranza silenziosa (il cinema sulle guerre e sui conflitti); è al cinema che il mondo europeo viene commentato, riletto, espresso e offerto in forma fruibile presso enormi comunità spettatoriali. La gran parte dell’identità del cinema europeo poggia su pratiche estetiche pensate in diretta contrapposizione con l’immaginario americano. Di questo si parla nel capitolo che segue. Tuttavia, specie dopo centodieci anni di film, possiamo affermare a buon diritto che l’identità cinematografica europea contribuisce a fondare, essendone anzi una parte consistente, la civiltà europea nel suo complesso, oltre a sviluppare caratteri autonomi, non esclusivamente interdipendenti dal cinema americano.
Naturalmente, per fare questo, il cinema europeo ha la necessità di legittimarsi, specie durante i primi tempi. «Il cinema europeo cerca e trova [...] le sue radici comuni nella letteratura, nell’arte, nel teatro, nella musica [...], e nella costruzione di un lessico, di una prosodia e di una metrica in cui si dispongono, in uno stesso spazio topologico, modelli temporali comuni e differenti rispetto a quelli del cinema americano»4.
Di qui l’idea che il cinema primitivo in generale sia un mezzo espressivo da studiare in diretta correlazione con le pratiche artistiche cui inizialmente si riferisce per rintracciare modelli, e che spesso sia più utile parlare di «serie culturali» che non di storia del cinema classicamente intesa5. Anche in questo caso, però, la lunga marcia del cinema europeo ci dice che questa affermazione identitaria, questa «legittimazione», figlia di una cultura pre-moderna, è stata comunque conquistata, e che il cinema europeo tradisce nella sua natura, nel suo Dna potremmo dire, forme letterarie e pittoriche, musicali e teatrali espresse in modo più raffinato e artisticamente tradizionale che in quello americano. Il dialogo intermediale e intertestuale con le altre forme artistiche è una condizione di nascita e una scelta elettiva che non sembra tramontare neppure oggi (pensiamo al cinema di Aleksandr Sokurov, di Sharunas Bartas, di Kenneth Branagh, di Peter Greenaway, di Patrice Chéreau ecc.).
Pierre Sorlin, che ha dedicato al concetto di identità europea molti dei suoi studi6, tende a reintrodurre gli aspetti storici a contesto dei fatti culturali e del ruolo del cinema nell’identità europea. Egli ricorda, per esempio, che all’inizio del Novecento il cinema europeo era fortemente internazionale (cfr. 10.1), sia a livello di produzione che di pratica. L’esempio di Segundo de Chomón – collaboratore spagnolo dei Lumière, poi regista in patria, quindi operatore del capolavoro italiano Cabiria (1914, Giovanni Pastrone) – gli serve a dimostrare la mobilità concreta del cinema, dei suoi protagonisti e delle sue maestranze. Come a dire che, nel secolo dell’automobile e del telefono, il cinema è anch’esso in movimento, ma per davvero, nel senso che viaggia con operatori, autori, produttori creando de facto una civiltà artistica europea.
Ma è lo stesso Sorlin a ricordare come le guerre abbiano funzionato da agente disgregatore di questa modernità positiva e ridato forza (e quanta!) ai nazionalismi più esasperati. Si può dire in fondo che il cammino del cinema europeo dal 1945 a oggi sia stato all’insegna della ricomposizione, della ricostruzione di quella esperienza così suggestiva. Film come L’appartamento spagnolo (2002, Cédric Klapisch), che ruota intorno alle disavventure di un gruppo di studenti Erasmus provenienti da tutta Europa, è solo l’ultimo e più plateale esempio di questa tendenza.
Nel corso del Novecento, alcune cinematografie nazionali hanno certamente costruito un’identità. Ciò non significa che una data nazione abbia prodotto molti film sulla propria storia o sulle vicende del proprio popolo, bensì che attraverso un gran numero di pellicole emergono, si affermano, prendono corpo una visione del mondo particolare e al tempo stesso uno spirito culturale. Di questo aspetto si nutre anche la pubblicistica più superficiale, e con questa idea le dinamiche del consumo spettatoriale si avvicinano a certi prodotti. Come non associare il cinema francese alla narrazione sentimentale, al tormento d’amore, al racconto intellettuale o allo sperdimento esistenziale? Tuttavia, pochi tra i non esperti saprebbero stilare una filmografia in grado di giustificare questa impressione. Allo stesso modo, il cinema spagnolo – complici anche le scelte della distribuzione che privilegia gli elementi stereotipici della cultura straniera – viene da noi considerato sinonimo di vitalità, ribalderia, provocazione e sensualità aggressiva, viste le opere di Luis Buñuel, Luis García Berlanga, Pedro Almodóvar, Carlos Saura, Bigas Luna. Come a dire che è difficile pensare a un Truffaut nato a Madrid o a un Almodóvar esponente della Nouvelle vague parigina. La questione delle identità nazionali interroga dunque dal profondo la costituzione culturale e il tessuto dei discorsi sociali.
Secondo gli studiosi, è nella produzione commerciale corrente, piuttosto che nel cinema d’autore, che si mostrano con più limpidezza i segni dell’identità nazionale. Per esempio, la comprensione di un certo spirito farsesco e goldoniano della società italiana è meglio indagabile nei film di Alberto Sordi e nella commedia all’italiana piuttosto che nelle opere di Fellini, che pure affronta l’argomento direttamente. Nel cinema di Sordi, infatti, si avverte la trasformazione dello spirito nazionale negli anni Sessanta, dalla ricostruzione alla nuova industrializzazione. In Sordi si nasconde l’italiano che interpreta la società in chiave utilitaristica e personale, ma anche il cittadino deluso dalle istituzioni, abbandonato ai meccanismi perversi del funzionamento statale e alla microcorruzione quotidiana. Resta il fatto che difficilmente potremmo avere testimonianze più precise della nostra identità nazionale.
Allo stesso modo, il rapporto con la tradizione patriarcale e con il concetto di nazionalismo «trascendente», tipico di certa cultura britannica, si può evincere con un soddisfacente grado di chiarezza nel ciclo degli horror prodotti dalla casa Hammer (cfr. 6.3) invece che concentrarsi sulle numerose opere in costume tratte da classici della letteratura (David Lean, James Ivory), e così via.
Ma andiamo oltre.

1.2 Un cinema tradizionalmente europeo?

Definire un periodo tradizionale o «classico» per il cinema europeo non è semplice come per Hollywood. Non c’è una stagione che identifichi lo spettacolo cinematografico continentale con altrettanta evidenza. Se si pensa alla grande stagione degli anni Venti – non solo alle avanguardie artistiche, ma anche ai movimenti cinematografici come l’espressionismo o la scuola sovietica del montaggio –, ci si rende conto che, al contrario di Hollywood, l’Europa ha sperimentato soluzioni espressive e (di fatto) destini cinematografici diversi da quelli che in seguito si sono affermati grazie al sistema americano. Se c’è classicità nel cinema europeo, essa va dunque ricercata nelle opere e nei generi che hanno potuto diventare rappresentativi per un vasto pubblico continentale, che hanno saputo superare il tradizionale spirito artistico e nobilitante degli autori e delle scuole precedenti, e che sono stati percepiti per lo più come forme cinematografiche intermedie e di facile fruizione.
A questo compito forse assolve il cosiddetto «stile internazionale». Dalla fine degli anni Venti si afferma l’esistenza di un cosmopolitismo molte volte sottovalutato dagli storici e dai critici: cosmopolitismo di guerra, figlio delle emigrazioni forzate, e cosmopolitismo borghese e aristocratico, praticato con dovizia di mezzi personali. Sulla base poi di studi comparati, che hanno dimostrato l’esistenza di tratti comuni fra alcuni autori e generi dello stesso periodo, si è cominciato a parlare di international style riferendosi a un modello simile a quello hollywoodiano, anche se più elaborato da un punto di vista formale. I protagonisti di questo stile internazionale sono cineasti come Marcel L’Herbier (L’argent, 1928; La donna di una notte, 1930), Augusto Genina (Addio giovinezza, 1927; Miss Europa, 1930), Ewald Andreas Dupont (Moulin Rouge, 1928; Atlantis, 1930), Paul Fejós (Primo amore, 1929; Fantômas, 1932), lo stesso Mario Camerini, e molti altri ancora. Secondo alcuni7, anche il cinema di Carl Theodor Dreyer è classico; si tratta di un cinema d’autore (cfr. cap. 8), ma sospeso tra muto e sonoro, rigoroso ma esportabile. I suoi film del periodo muto (Praesidenten, 1919; Pagine dal libro di Satana, 1920; Mikaël, 1924; La passione di Giovanna d’Arco, 1928, per citare i più noti) raccolgono le grandi esperienze coeve, dall’espressionismo alla scuola francese, per farne un esempio unico e mirabile di cinema equilibrato e severo, dove l’esperienza metafisica si mescola allo stupore per le potenzialità del mezzo cinematografico. I capolavori del sonoro, da Il vampiro (1932), straordinaria reinterpretazione del mito fantastico attraverso una simbologia complessa, a Dies Irae (1943), dramma religioso, e Ordet - La parola (1954), test...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Nota degli autori
  3. 1. L’identità e la tradizione
  4. 2. America, «americans» e americanate: Hollywood secondo gli europei
  5. 3. La linea realista: il cinema europeo e la sfida del reale
  6. 4. Dalla forma al concetto: il cinema delle avanguardie
  7. 5. L’onda del nuovo nel Vecchio Continente: «nuovo», cioè «free», «nouvelle», «neuer», «novo», «nová»...
  8. 6. Lo specchio del passato, lo spettro del presente: i generi «autoctoni»
  9. 7. Verso un modello ideale: i generi d’imitazione
  10. 8. Poeta, artista, genio, regista: l’autore nel cinema europeo
  11. 9. Incontri, osmosi, simbiosi: le coppie di autori
  12. 10. Pubblico, industrie e utopie
  13. Bibliografia generale