La cultura: alti e bassi
A ventidue anni sono parecchio snob. Forse è inevitabile esserlo, a quell’età . Ma io risulto infondatamente snob, visto che sono pure abissalmente ignorante. Per dire: quando il Nobel per la letteratura viene assegnato a Gabriel GarcÃa Márquez, la cosa sul momento mi rallegra, visto che si tratta del mio scrittore preferito. C’è qualcosa di letteralmente simpatico quando il tuo scrittore preferito riceve il Nobel per la letteratura. Di simpatico e di antipatico allo stesso tempo. Simpatico nel senso di: «Hai visto, mondo? Te l’avevo detto». Antipatico nel senso di: «Ora però che se ne sono accorti tutti, non c’è più sugo». Per questo quando scopro dell’universale consenso tributato nei confronti di Márquez io sbuffo un po’. Sono talmente ignorante da non essermi reso conto fino ad allora che Cent’anni di solitudine era il romanzo del cuore di un sacco di gente. Gente che lo ha letto anche prima di me. Da qui il mio snobismo, lo snobismo di chi si sottrae alla maggioranza della quale inavvertitamente si è trovato a far parte. E dire che avevo fatto tanto per farmi piacere anche il cerebralismo inutile dell’Autunno del patriarca. È così che Márquez mi cade dal cuore, ancora prima di sapere che persino ai migliori, dopo aver vinto il premio Nobel, capita di ritrovarsi imbalsamati, salire su un piedistallo e non riuscire a scrivere più niente di interessante.
Dovendo rendere conto di tutto quel che di buono ha prodotto l’annata nel campo dell’arte e della letteratura, temo che questo risulterà uno di quei capitoli pieni di elenchi più o meno lunghi. Tanto per cominciare, eccone uno dei principali libri usciti nel mondo:
Isabel Allende, La casa de los espÃritus
Isaac Asimov, Foundation’s edge
Arthur C. Clarke, 2010: odyssey two
Ken Follett, The man from Petersburg
Graham Greene, Monsignor Quixote
Thomas Keneally, Schindler’s Ark (vincitore del Booker Prize)
Judith Krantz, Mistral’s daughter
Robert Ludlum, The Parsifal mosaic
Coleen McCullogh, An indecent obsession
James Michener, Space
Sidney Sheldon, Master of the game
Danielle Steel, Crossing
Più due di Stephen King, il solito prolifico: Different seasons e The running man
Da un punto di vista letterario, così come da quello calcistico, io sono nettamente esterofilo, tutto proiettato verso le letterature del mondo. Dev’essere un effetto collaterale dello snobismo di cui sopra. Però qualche preferenza la mantengo anche in campo nazionale, e quell’anno i miei scrittori preferiti vanno alla grande. In Italia il Premio Strega viene vinto da Goffredo Parise con Sillabario n. 2, mentre il Campiello tocca a Primo Levi per Se non ora, quando?, che si aggiudica anche il Viareggio. Levi ancora no, ma Parise l’ho letto ben prima che vincesse il premio. Leggendolo mi sono fatto anche un piantolino, equamente distribuito fra la malinconia del libro e il pensiero dell’incombente servizio militare. I piantolini letterari danno grandi soddisfazioni.
Altri premi in ordine sparso: in Francia, Umberto Eco vince il Médicis con Il nome della rosa, mentre il Goncourt va a Dominique Fernandez con Dans la main de l’Ange. Negli Stati Uniti, a vincere il Pulitzer sono, nelle rispettive sezioni, Charles Fuller (A soldier’s play), John Updike (Rabbit is rich) e Sylvia Plath (The collected poems).
Il Nobel per la pace viene assegnato all’esponente politica svedese Alva Myrdal e al diplomatico messicano Alfonso GarcÃa Robles. La prima, per il suo impegno a favore del disarmo; il secondo, per essere stato l’artefice del Trattato di Tlatelolco, che trasforma il Sudamerica e i Caraibi in zona denuclearizzata. Posso dire in tutta coscienza, malgrado la fase di acuto pacifismo che sto vivendo, di non averli mai sentiti nominare prima, nessuno dei due. Pure gli altri Nobel vanno a gente che di sicuro se l’è meritato, sebbene io non possa giurarci:
Per la medicina: Sune K. Bergstroem, Bengt I. Samuelsson, e John R. Vane
Per la fisica: Kenneth G. Wilson
Per la chimica: Aaron Klug
Per l’economia: George J. Stigler
In campo cinematografico è un’annata ricca. Il film che negli Stati Uniti ottiene i migliori incassi è E.T. l’extraterrestre, di Spielberg: 750 milioni di dollari. A seguire, nella classifica dei maggiori incassi:
Rocky III, con Sylvester Stallone
Sul lago dorato, con Katharine Hepburn, Henry e Jane Fonda
Porky’s, di Bob Clark
Ufficiale e gentiluomo, con Richard Gere e Debra Winger
Il più bel casino del Texas, con Burt Reynolds e Dolly Parton
Star Trek II. L’ira di Khan, di Nicholas Meyer
Poltergeist, di Tobe Hooper
Annie, di John Huston
Momenti di gloria, di Hugh Hudson
Facendo mente locale, credo di averli visti tutti tranne un paio. Ciò significa che la mia cultura cinematografica, malgrado il servizio militare, continua a sopravvivere. D’altronde, uscendo il pomeriggio dalla caserma, spesso vado a rifugiarmi in un’altra vita scelta a caso, di quelle che si svolgono nel grembo di un cinema. A Orvieto passano poche pellicole, e quasi solo commerciali. Dopo il trasferimento a Roma va decisamente meglio, e malgrado la stagione estiva riesco a recuperare qualche filmetto più cerebrale. Del resto, tanto più in sede di rievocazione, non è con il criterio dei maggiori incassi che si fa la storia. Nemmeno la storia del cinema: qualcuno ricorda la trama del Più bel casino del Texas? Viceversa, sono altri i film che rimangono a futura memoria per un motivo o per un altro:
Frances, con Jessica Lange
Victor Victoria, di Blake Edwards
Un anno vissuto pericolosamente, di Peter Weir, con Mel Gibson e Sigourney Weaver
Tron, della Disney
Il verdetto, di Sidney Lumet, con Paul Newman
La Cosa, di John Carpenter
Querelle de Brest, di Fassbinder, che esce nelle sale quando lui è ormai buonanima
48 ore, con Eddie Murphy e Nick Nolte
Fanny e Alexander, di Ingmar Bergman
Lookin’ to get out, di Hal Ashby
Quest’ultimo soprattutto viene ricordato per la prima apparizione sullo schermo della seienne Angelina Jolie, a fianco del padre Jon Voight. Per la volta successiva bisognerà aspettare altri undici anni, quando lei risulterà un bel po’ più sviluppata.
Al festival di Venezia, Leone d’Oro a Wenders per Lo stato delle cose. La cosa mi lascia indifferente: il mio snobismo mi ha già portato a decidere che Wenders, autore di culto per molti della mia generazione, si trova da tempo in stato di pre-bollitura. A Cannes invece vincono Yol, di Yilmaz Güney e Serif Gören, e Missing di Costa Gavras. Al festival di Berlino, Orso d’Oro a Veronica Voss, di Fassbinder, che nei cinema italiani, per essere morto, continua a imperversare parecchio. Anche con Effi Briest, un fogliettone girato al risparmio, con abuso di voice off e quasi tutto imperniato su primi piani di Hanna Schygulla che indossa un parruccone a boccoli. Lo vedo un pomeriggio di luglio al Capranichetta, e tornare in caserma quel giorno è quasi una consolazione. Per quanto riguarda i premi Oscar, è l’anno di Gandhi: miglior film, miglior regista (Richard Attenborough), e miglior attore (Ben Kingsley), più altri premi di minor conto. Si consolano Meryl Streep, migliore attrice per La scelta di Sophie, Luis Gossett jr., miglior attore non protagonista per Ufficiale e gentiluomo e Jessica Lange, migliore attrice non protagonista per Tootsie. Miglior film in lingua straniera viene designato Volver a empezar, dello spagnolo José Luis Garci.
Sul mercato italiano arrivano con un anno di ritardo Conan il barbaro – subito parodiato da Gunan il guerriero, con Pietro Torrisi e Malisa Longo – e Blade Runner, di Ridley Scott. Anche quest’ultimo lo vedo un pomeriggio dei miei malinconici, a Roma, e ci vado per mancanza di alternative, prevenuto come sono nei confronti del genere fantascientifico. Ma stavolta me ...