Decidere della propria vita
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Decidere della propria vita

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Decidere della propria vita

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A partire dalla seconda metà del XX secolo, grandi trasformazioni scientifiche e tecniche hanno rivoluzionato il modo di trattare la nascita, la morte e la cura delle malattie degli esseri umani. Con quali implicazioni etiche?

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Decidere
della propria vita

Le domande

Chi decide della nostra vita o della nostra morte?

Karen Quinlan era una sana, giovane e normalissima ragazza del New Jersey. All’improvviso, e per cause che non vennero mai chiarite, il suo corpo cessò di respirare per due intervalli di tempo di un quarto d’ora l’uno. Come conseguenza di questo misterioso incidente la ragazza subì danni al cervello così gravi da essere ridotta, per usare le parole dei medici, a «uno stato vegetativo persistente cronico» nel quale «non possedeva più alcuna funzione cognitiva». In altri termini, Karen era caduta in uno stato di totale incoscienza e non rispondeva più a nessuno stimolo.
Non solo: alla famiglia Quinlan venne spiegato che non c’era alcuna speranza di guarigione, e che mai Karen sarebbe uscita dal reparto di terapia intensiva dell’ospedale. Di fronte a questa notizia i genitori della ragazza chiesero al tribunale il permesso di staccare il respiratore che la teneva in vita. La corte suprema del New Jersey acconsentì a eliminare il respiratore, con la motivazione che esso è uno strumento di cura ‘straordinario’ (cioè utilizzato non comunemente ma solo in circostanze eccezionali); impose però di mantenere la flebo che dava nutrimento al corpo di Karen con la spiegazione che l’alimentazione artificiale è – al contrario – un mezzo di cura ‘ordinario’.
Era il 1975. Karen rimase ‘in vita’ per altri dieci anni e morì nel 1985 per una polmonite acuta, che i medici decisero di non curare.
Matthew Donnelly era un medico impegnato nella ricerca: la sua attività scientifica lo aveva portato a effettuare per oltre trent’anni esperimenti sui raggi X. Era ancora nel pieno delle forze quando i medici gli diagnosticarono un cancro alla pelle. Nell’arco di pochi anni la vita divenne per Matthew insostenibile: la malattia lo aveva reso quasi cieco, aveva causato la perdita di una mano, del naso, di parte della mascella. La sofferenza era per lui continua e intollerabile. I suoi colleghi medici gli parlarono con franchezza di una malattia senza speranza di guarigione, e della morte che sarebbe giunta senza dubbio entro un anno. Matthew non volle aspettare e – sapendo che la strada dell’eutanasia era impraticabile in quanto illegale – chiese aiuto al fratello Harold, che lo uccise con un colpo di pistola. Harold venne processato per omicidio volontario e fu riconosciuto colpevole. Tuttavia, i suoi difensori fecero riconoscere la validità delle sue motivazioni, e grazie alle attenuanti non scontò la pena detentiva.

La clonazione è una pratica da cui difendersi?

Dolly può essere definita senza dubbio la pecora più famosa di tutti i tempi: la notizia della sua nascita, nel febbraio 1997, è stata annunciata dai giornali e dalle televisioni di tutto il mondo, scatenando accese polemiche e ampi dibattiti. Dolly è stata infatti ‘prodotta’ attraverso tecniche di clonazione. Essa è un normalissimo ovino di razza Finn Dorset, ma è il primo mammifero clonato dalla cellula di un animale adulto, il suo patrimonio genetico è in tutto identico a quello della madre.
Dolly non è il primo clone animale: il procedimento era stato già realizzato, per lo più su topi e anfibi, partendo dalle cellule embrionali. Queste però, contenendo una mescolanza di geni maschili e femminili, non lasciavano prevedere a priori quali sarebbero state le caratteristiche del clone. La particolarità di Dolly è che si tratta di un clone ‘puro’, ovvero la replica di un singolo individuo adulto.
Per la cronaca, Dolly è morta nel febbraio 2003 per una malattia polmonare.
Judson Sommerville è un medico che, in seguito a un incidente, è rimasto paralizzato. Ha deciso di sottoporsi a un esperimento facendosi prelevare le proprie cellule perché fossero clonate allo scopo di produrre cellule di midollo che potrebbero riparare la sua lesione.
In linea di principio, dalle cellule prelevate si potrebbe ottenere un clone del dottor Sommerville, ma il suo fine è farsi strumento di un esperimento che forse potrà nel futuro aiutare molti malati.

La salute è un diritto?

Nel 1987 lo Stato americano dell’Oregon, con lo scopo di riordinare la spesa sanitaria, decise di incrementare gli investimenti nel settore della diagnostica prenatale e tagliò le risorse pubbliche destinate ai trapianti.
Ai familiari del piccolo Coby Howard, che poche settimane dopo il provvedimento si era ammalato di leucemia, non rimase altra soluzione se non quella di organizzare una colletta per raccogliere i 100.000 dollari necessari al trapianto di midollo. La beneficenza di amici, familiari, insegnanti, ma anche di sconosciuti concittadini, era arrivata a raccogliere i tre quarti della cifra quando il bambino morì.
Tutti i casi riportati sono realmente accaduti.
Di questi e di molti altri, tutti noi abbiamo avuto notizia dalla televisione e dai giornali. Il dibattito che ne è nato ha coinvolto non solo gli specialisti, ma – come è ovvio – ciascuno di noi e la discussione si è incentrata sulle implicazioni etiche poste dall’avere a che fare con la nascita, la morte o la cura degli esseri umani.
Le grandi trasformazioni scientifiche e tecniche che si sono realizzate nella seconda metà del XX secolo hanno rivoluzionato i modi di trattare la nascita, la morte e la cura degli esseri umani, l’ambiente vivente che ci circonda e la vita degli animali non umani. La bioetica, che si costituisce intorno agli anni ’70, ha come suo nucleo essenziale tutte le questioni etiche che si originano da tali mutamenti prodotti dalla ricerca scientifica. Essa, come afferma...

Indice dei contenuti

  1. Decidere della propria vita
  2. L’autore