1960. Il miracolo economico
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1960. Il miracolo economico

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1960. Il miracolo economico

Informazioni su questo libro

Il 'miracolo economico' bussa alle porte di un'Italietta rurale e alla buona. Dalla fine degli anni Cinquanta l'Italia inizia una corsa vorticosa che cambierà composizione sociale, sistema economico, equilibri politici. È appena entrato in vigore il Mercato comune europeo di cui fanno parte anche Belgio, Francia, Lussemburgo, Olanda e Repubblica Federale Tedesca, un ottimo volano per gli scambi internazionali e per la nostra economia. In un triennio l'industria cresce di più del 30%, il terziario aumenta le sue dimensioni, l'occupazione sale a livelli storici. Cresce sempre più il numero di 'tute blu' e di 'colletti bianchi' mentre si assottigliano i ceti rurali. Dal meridione e dalle zone depresse comincia un esodo di tanta gente verso il Nord produttivo: tra il 1955 e il 1971 sono più di 9 milioni gli italiani che si spostano verso le fabbriche e le aree metropolitane del paese. L'Italia gode una prima ventata di benessere. La popolazione si rimescola. Iniziano a cambiare lo stile di vita, il costume, i bisogni e anche i desideri. Le speranze sono tante. Ma non tutto va per il meglio. Il divario fra Nord e Sud aumenta. Le campagne si spopolano perché non offrono proventi adeguati. Lo sviluppo non è omogeneo e ci vorrebbero più investimenti nel settore pubblico. Ma intanto le case cominciano a riempirsi di nuovi oggetti, le strade di automobili e di traffico. Si è votato nel maggio 1958 e, scomparso il rischio di una sbandata di estrema destra con il governo Tambroni, si profila l'avvento di una maggioranza di centro-sinistra. Molto si pensa si può ormai fare, in Italia, per migliorare le cose. In parte sarà così, in parte no.

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Informazioni

Argomento
Storia

1960. Il miracolo economico

di Valerio Castronovo

Un anno cruciale, il 1960. Lo si ricorda in genere per le grandi manifestazioni antifasciste di protesta, che si svolsero in tutta Italia ai primi di luglio, contro il governo Tambroni che aveva autorizzato il Movimento sociale italiano a tenere il suo congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Numerosi furono gli scontri con la polizia e tragico risultò alla fine il loro bilancio, in quanto si contarono una decina di morti e oltre un centinaio di feriti fra i dimostranti.
Ma il 1960 fu un anno cruciale anche perché segnò il tramonto di un’intera stagione politica, quella dei governi centristi. La coalizione fra la Democrazia cristiana, i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici (che dal 1948 s’era avvicendata o ricompattata attraverso vari ministeri alla guida del paese) non sarebbe più resuscitata tale e quale dopo che i liberali avevano ritirato in febbraio il loro appoggio al governo Segni.
Tuttavia, non sembrava per il momento che si fosse alla vigilia di una svolta politica, anche se i socialisti avevano assicurato con la loro astensione l’avvento in agosto di un governo presieduto da Fanfani, costituitosi in una situazione d’emergenza allorché Tambroni aveva dovuto rassegnare le dimissioni dopo i drammatici eventi succedutisi negli ultimi due mesi. Nenni aveva sganciato il Partito socialista dai rapporti collaterali con il Pci, fin da quando, nel novembre 1956, Togliatti non aveva condannato la repressione sovietica della rivolta popolare in Ungheria. Ma nelle elezioni amministrative del novembre 1960 il Psi era regredito e la Dc, in seguito all’epilogo del centrismo, aveva perso un milione di voti a favore dei liberali. D’altro canto, ci si chiedeva quali sarebbero state le ripercussioni sui nostri rapporti con gli Stati Uniti, qualora si fossero aperte le porte del governo ai socialisti, in quanto essi erano rimasti per lo più su posizioni neutraliste o comunque critiche nei confronti del Patto Atlantico. È vero che alla Casa Bianca stava per insediarsi il leader democratico John Kennedy. Ma non si sapeva quali sarebbero stati gli orientamenti della nuova amministrazione americana. Per di più, dal Vaticano si continuava ad ammonire i dirigenti della Dc a non collaborare con il Partito socialista in quanto ispirato ai principi marxisti.
Si era dunque nel mezzo di una situazione politica estremamente fluida, densa di complessi interrogativi e dagli sviluppi imprevedibili.
Ben diverso era lo scenario all’esterno del mondo politico. Il sistema economico marciava a pieno regime, il reddito nazionale stava crescendo e la gente era rinfrancata dall’incremento dell’occupazione e dei consumi. Si erano infine dimenticati gli anni bui del dopoguerra, quando il paese era ridotto in brandelli. È pur vero che tanti erano ancora i problemi sul tappeto, per la carenza di servizi pubblici, di scuole, di ospedali e di altre infrastrutture civili. Ma in complesso prevaleva un clima di ottimismo.
D’altra parte, all’inizio del 1960 l’Italia s’era fregiata di un importante riconoscimento in campo finanziario. Dopo che un giornale inglese aveva definito col termine di «miracolo economico» il processo di sviluppo allora in atto, dalla Gran Bretagna era giunto un altro attestato prestigioso per le credenziali e l’immagine del nostro paese. Una giuria internazionale interpellata dal «Financial Times» aveva infatti attribuito alla lira l’‘Oscar’ della moneta più salda fra quelle del mondo occidentale. Un premio che aveva coronato una lunga e affannosa rincorsa, iniziata nell’immediato dopoguerra, per scongiurare la bancarotta e non naufragare fra i marosi dell’inflazione. Di conseguenza, si era infine potuto stabilizzare il cambio fra la lira e il dollaro, fissato a quota 625, e la rivalutazione delle riserve auree della Banca d’Italia era servita a ridurre l’indebitamento del Tesoro. Di qui anche l’euforia diffusasi in Borsa con i listini in forte rialzo.
Sino a qualche tempo prima, ben pochi avrebbero immaginato che l’Italia potesse conseguire un successo economico dopo l’altro. È vero che, grazie agli aiuti americani del Piano Marshall, l’opera di ricostruzione post-bellica era avvenuta più rapidamente del previsto, ma l’Italia era rimasta pur sempre un paese prevalentemente agricolo, con una gran massa di braccianti e di coloni.
Soltanto nel Nord-Ovest e in qualche località del Nord-Est erano attive alcune grandi fabbriche e si stava assistendo a una diffusione delle ciminiere. Nel resto della penisola si aveva a che fare per lo più con un’economia di sussistenza. Soprattutto molte zone del Sud erano ancora alle prese con una miseria endemica, col degrado sociale e con una marea di analfabetismo. Ma pure al Nord non è che tutto fosse rose e fiori, si viveva fra non pochi stenti e dilemmi. In alcune località del Piemonte e della Liguria, nel Comasco, nel Veneto s’erano appena riparati i gravi danni provocati dalle grandi piogge e dall’alluvione del novembre 1951. Un’autentica tragedia soprattutto per il Polesine, dove quasi 200.000 persone avevano dovuto abbandonare le loro case portandosi dietro qualche povera masserizia che erano riuscite a salvare dalla furia delle acque.
È vero che nel frattempo, tra il maggio e l’agosto 1950, il sesto governo De Gasperi aveva varato una riforma agraria e istituito la Cassa del Mezzogiorno, all’insegna di un intreccio fra istanze solidaristiche e precetti di matrice keynesiana. Ed è anche vero che erano poi seguiti diversi provvedimenti per lo sviluppo dei trasporti ferroviari e dei metanodotti, della cantieristica e delle telecomunicazioni, nonché per il credito a tassi agevolati alle piccole imprese che stavano moltiplicandosi e specializzandosi soprattutto in varie lavorazioni ausiliarie per i più grossi stabilimenti. Queste e altre misure avevano contribuito a ridurre la disoccupazione, ad ampliare la base produttiva e l’area dei servizi e a rendere più consistente la domanda interna.
Tuttavia, non si pensava che l’economia italiana potesse volare molto in alto. Il nostro era pur sempre un paese privo di materie prime sufficienti al fabbisogno, con scarse risorse energetiche, senza molti capitali di rischio, e quanto esportava consisteva per lo più in derrate agricole e in prodotti semilavorati. Si spiega perciò come ancora nel 1954 il Piano Vanoni (dal nome del ministro delle Finanze che l’aveva concepito) facesse affidamento soprattutto sull’espansione dell’edilizia e delle opere pubbliche, nonché sull’incremento delle rimesse degli emigranti, per assicurare nel corso di un decennio un posto di lavoro a tutti, ridurre il dualismo fra Nord e Sud e pareggiare la bilancia dei pagamenti.
D’altro canto, se già allora si era orientati ad aderire al progetto, lanciato da Jean Monnet e Robert Schuman, per la costituzione di un Mercato comune europeo, non mancavano tuttavia forti riserve a questo riguardo da parte di vari esponenti industriali, non solo del settore siderurgico, ma anche di quello metalmeccanico, preoccupati di non farcela a reggere l’urto della concorrenza estera. Del resto, erano stati scarsi sino a quel momento i benefici concreti della nostra partecipazione alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, istituita nel 1951. A trarne i maggiori vantagg...

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  1. 1960. Il miracolo economico