Carissimo Tullio...
Da noi fu ridotto recentemente ad un terzo il programma d’algebra
e di geometria nel Liceo, e gli sviluppi matematici furono sostituiti
con una serie di lezioni su la cultura ellenica. Se il corso è fatto con coscienza
i giovinetti retori della terza Italia vi impareranno almeno che certi ministri
della pubblica istruzione non avrebbero potuto entrare nella scuola di Platone Ateniese.
Antonio Garbasso, Fisica d’oggi e filosofia di domani (1910)
Carissimo Tullio,
non ne posso più. Altro che «progresso»: è diventata una parolaccia, assai peggiore di quelle che smerciano impunemente Alberto Arbasino o Vittorio Sgarbi: se dici «progresso» ti guardano come una patetica anticaglia, un archeoparlante, come chi dice «fanciullo» o «preopinante». Ma certo, forse cento anni fa si riponevano speranze eccessive in ciò che la scienza avrebbe fatto; ma non dico quelle, nemmeno ben più modeste pretese hanno avuto spazio. Non c’è emittente televisiva, pubblica o privata, né rete telematica e persino telefonica (niente rende omogeneo come le perversioni), che non abbia il suo oroscopo; non c’è uomo di scienza che sia onorato quanto un improbabile guaritore; non c’è notizia che occupi schermi o gazzette quanto un presunto miracolo; non c’è stupidaggine scientifica che possa essere tempestivamente smentita, nemmeno che l’attrazione lunare sarebbe più forte al plenilunio (sic!)1. Come non dare la colpa di tutto ciò a una intrinseca debolezza del pensiero umanista? E già , non è come ti aspetti: non do la colpa solo alla denutrizione scientifica (che, grazie ai buoni uffici di ministresse a te succedute, peggiorerà vieppiù), ma soprattutto alla corriva tolleranza umanista verso l’irrazionale. Questo «vostro» (ma forse è ingiusto che io ti metta nel mucchio...) pensiero che bada solo a essere erudito ed elegante e non si preoccupa minimamente del rigore semantico, può avere responsabilità enormi nella formazione dell’uomo contemporaneo. Tu hai avuto la bontà e la cortesia di discutere a volte con me, ma certamente anche con altri, dei linguaggi della scienza: ne voglio approfittare per riversare su di te il mio disappunto, sperando che questo ti converta in un cavallo di Troia se mai ti venisse voglia di portare il problema nella cittadella dei letterati di cui condividi la sacralità ma non il birignao. Io, pirsonalmente di pirsona, come dice il telefonista di Camilleri, non ci riuscii mai essendo immediatamente accantonato come un particolare, un alieno, un cafone. Tuoi colleghi rinomati mi bacchettarono pubblicamente per avere rifiutato che latino e greco servissero minimamente a capire il pensiero scientifico fornendo gli etimi, o per avere negato, pur con tutto il rispetto per il martire, che Giordano Bruno fosse il prototipo dello scienziato moderno, o per avere insinuato che Henri Bergson fosse un chiacchierone, per non dire di Martin Heidegger (che, effettivamente, non riesco mai a finire di leggere). Molti di questi rinomati colleghi, poi, sono gli stessi che mi indottrinano con le loro opinioni forti sulle scorie nucleari, sull’origine antropica del riscaldamento della Terra, sui rischi degli organismi geneticamente modificati: e, credimi, a quel punto il loro parlare non mi appare più elegante, non è più sofisticato: mi sembra solo banalmente «ideologico» (che ogni ideologia tragga forza dal fatto che supplisce a una incompetenza?). Certo è che le affermazioni scientifiche implicano una responsabilità e questa sembra una circostanza che ogni umanista ha in orrore: molto di ciò che gli opinionisti non-scienziati dicono sembra avere la sola funzione di assolverli da qualche riprovazione sociale. Mi viene da ridere, pensando alla naturale attitudine dei burocrati, che inventano regole per mettersi al riparo da ogni errore...
Anche le «due culture», come il «progresso», sono bandite dal discorso colto: è stato detto che si tratta di dibattito sorpassato, che Charles P. Snow parlava in «altre» circostanze: ma quando mai? Che cosa è cambiato? Cito questi esempi perché, come vedi, «progresso», «due culture» (ma anche, mi hanno detto, visto che io l’uso ancora, «anticlericale», che mi sembra attualissimo) possono scomparire dal vocabolario corrente per decreto, per rintanarsi in un De Mauro non di base; ben più insensate parole invece permangono in significati e fraintendimenti persistenti, mentre le parole della scienza restano conservate nella rocca fortificata del Gradit2 che, con tutto il rispetto per la tua impareggiabile opera, non cambia un’acca dell’apprezzamento di ciò che è «complessivamente» un linguaggio scientifico. Ecco, vuoi avere ancora una volta la bontà di stare a sentire ciò che non mi stanco di ripetere? Non mi illudo che così si possa generare un diverso modo di vedere, ma se le tue controdeduzioni (si dice così nei ricorsi, non è vero? Beh, sto facendo ricorso, al Tullio e non al Tar, come usa spesso invece vergognosamente nelle controversie del nostro mondo accademico) saranno convincenti, qualcuno se ne gioverà . Ecco, ti considero una «istanza superiore». So benissimo che tutto ciò che dirò da questo momento sarà considerato prova a mio carico; da qui in poi, non mi perderò in piccole lamentele contro occasionali malvezzi della tua parte umanistica. No, dirò quello che penso si debba dire, comprese le umane responsabilità della mia parte scientifica. Lasciamo la retorica autogiustificativa ai religiosi, che ci campano. A noi, quel poco di vero che si riesce a intravedere può essere molto più utile e interessante.
Ma lasciami aggiungere qualche osservazione. Non fu un caso se Benedetto Croce, don Benedetto, si lasciò andare a dire alcune incredibili volgarità sul conto della scienza e degli scienziati: perché nasconderlo? Don Benedetto, di scienza, non capiva niente. Altrimenti, volendo proprio essere offensivo, non avrebbe usato espressioni improprie (il meccanicismo stava morendo con innovazioni concettuali a dir poco prodigiose!) come «vili meccanici». Ma lasciamo perdere queste antiche piaghe che generarono conflitti d’altri tempi, come quello che oppose Croce e Giovanni Gentile a Federigo Enriques e, con lui, ai fondatori della rivista «Scientia», che avevano tutta l’aria di voler «rubare la filosofia». Ci vuole un modo nuovo di impostare il discorso, la controversia. Già ci sono problemi enormi che vengono dalla scadente qualità dei governanti con i quali abbiamo a che fare, problemi che ci vedono più che uniti. Mancherebbe solo che questo ci distogliesse dall’impegno culturale; di cui fa parte, secondo me, una più intelligente percezione del ruolo della scienza nel pensiero umano. Il fatto è che, avendo io una folta schiera di figli e nipoti molto amati, ma anche, oltre te, tanti amici filosofi e letterati al cui elegante dissenso tengo, nonostante tutto quanto anticipato, come alle ragioni del vivere, non voglio lasciarli come «caciocavalle appise» in balia del solo e onnivoro integralismo umanista. Il che mi obbliga a distrarmi dalle mie formule e dai miei calcoli e calcoletti per tramutarmi in retore e parlare anche della bellezza della sfera mentale in cui ho avuto la ventura di entrare e vivere. Voglio tirarne qualcuno dalla mia parte ma, per evitare l’accusa di essere uno «scientista trionfalista» – che mi viene da letterati e ambientalisti (il mio amico Bruno Touschek mi insegnò il bracketing, «accomunare due tipi o persone mettendole nella stessa parentesi per sfruttare la loro eventuale e probabile reciproca antipatia a scopo ironico») – dichiaro qui subito che la verità , per me, è solo «la mia versione dei fatti», come diceva Leo Szilard3, un fisico ungherese amico di Einstein: e cercherò di non insistere su superiorità o inferiorità improponibili, pur non nascondendo che alcune virtù del modo scientifico di «parlare» mi sembrano eccezionali.
E, tanto per incominciare, ribadisco che se un problema di incomunicabilità c’è, questo è dovuto soprattutto ai linguaggi, che diventano divergenti là dove il linguaggio scientifico si prende la sua autonomia e lascia in soffitta il linguaggio di tutti i giorni. L’antica e consolidata dimestichezza e amicizia mi consente di dibattere con te, caro Tullio, senza bersagliarti direttamente ma anche senza tacerti che ti terrò d’occhio, tante volte avessi l’idea di prevaricare con l’eleganza del tuo sterminato vocabolario. Non voglio alcun conflitto tra le due culture, voglio solo che quei testoni dei letterati e dei filosofi smettano di parlare come funzionari di una «cultura dominante» e, riconoscendo che noi scienziati siamo perfino in grado di vedere i nostri limiti, ci diano almeno «l’onore delle armi». In parole povere, che non ci considerino pregiudizialmente barbari. Certo, se dobbiamo fare una galleria di fisici, matematici o biologi spocchiosi, arroganti, rozzi e non so che più, posso fornire un nutrito elenco. Ma che? Forse, questo elenco, non avrebbe il suo compagno speculare nelle file dei latinisti, degli hegeliani, dei critici d’arte o degli slavisti? È un caso di mirror-simmetry, come direbbe una mia collega patita di gruppi di trasformazioni. E chesto sta pe’ chello, direbbe invece Salvatore Di Giacomo. Il napoletano è più facile della teoria dei gruppi? Ebbene, solo chi non conosce né l’uno né l’altra può dirlo.
1. Einstein ci sta sempre bene
Probabilmente, è un’esigenza della mente umana avere una visione del mondo unificata e coerente. Se manca, compare l’ansia e la schizofrenia.
François Jacob
Il gioco dei possibili (1983)
Lasciami raccontare una storia curiosa. Nel 1919, una spedizione inglese di cui faceva parte un fisico molto brillante (tanto da esser stato fatto baronetto), sir Arthur Stanley Eddington, andò in Sud Africa per osservare un effetto che Albert Einstein aveva appena previsto: si trattava, nientemeno, del fatto che il raggio di luce emesso da una stella, passando in prossimità del bordo del Sole, sarebbe stato deviato dall’attrazione solare, né più né meno che se la luce fosse stata un meteorite o una cometa molto veloci che sfiorassero l’astro. Per poter vedere il fenomeno «previsto» da Einstein, bisognava «spegnere» il Sole, altrimenti addio stella: impossibile vederla, riceverne appunto un raggio di luce, nel mare della luce solare, enormemente più intensa; per fortuna, però, abbiamo la Luna che provvede a fare le ...