"Il Sud vive sulle spalle dell'Italia che produce" Falso!
eBook - ePub

"Il Sud vive sulle spalle dell'Italia che produce" Falso!

  1. 112 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

"Il Sud vive sulle spalle dell'Italia che produce" Falso!

Informazioni su questo libro

Senza il Sud, l'Italia sarebbe più ricca, e crescerebbe di più.Le regioni del Sud inghiottono senza frutto un fiume di risorse pubbliche.Sono soldi sprecati, sottratti all'Italia che produce ed è costretta a mantenere i meridionali. Sono soldi che finiscono nelle mani di politici corrotti e organizzazioni criminali.D'altronde i meridionali sono diversi dagli altri italiani: non hanno senso civico, sono familisti, hanno storia e cultura a sé.Questi sono gli argomenti del teorema meridionale. Che ha una sua logica. Ma è falso. Questo libro dimostra perché.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a "Il Sud vive sulle spalle dell'Italia che produce" Falso! di Gianfranco Viesti in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Economia e Politica economica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Argomento
Economia

1. Senza il Sud l’Italia sarebbe più ricca

Senza il Sud, l’Italia sarebbe più ricca. Su questo non c’è dubbio: è una ovvietà statistica. Se si sottraggono dal conto le regioni a reddito più basso, la media cresce. Ma questo non vale solo per il Sud: ognuno può disegnare i suoi confini ideali per ottenere le medie più alte. Nelle città può escludere i quartieri dove risiedono i poveri: senza le fastidiose periferie il centro di Milano sarebbe più ricco di Londra e New York. Sono calcoli che hanno senso? Nessuno: i confini non sono un fai-da-te, modificabile a comando. Soprattutto, il livello di reddito e di ricchezza di un territorio non è un dato immanente, ma il frutto di un processo storico nel quale i confini, e i loro cambiamenti, hanno un ruolo molto importante. Senza il Sud, l’Italia non sarebbe l’Italia: anche questa è un’ovvietà, storica.
Più senso avrebbe chiedersi quale sarebbe la situazione di oggi se la storia fosse stata diversa, se l’Italia sin dall’inizio fosse stata un’altra. Domanda impervia, perché è impossibile scrivere la storia con i «se». Vi sono comunque molti motivi per pensare che se l’Italia fin dall’inizio fosse stata più piccola, magari limitata solo al Centro-Nord senza il Sud, se Garibaldi avesse fallito, se fossero rimasti alcuni confini fra Stati diversi all’interno della penisola, il suo benessere attuale sarebbe minore. Gli argomenti a sostegno di questa tesi sono forti.
Ci aiuta la teoria economica. I confini – specie quelli più difficilmente valicabili del passato – rallentano lo sviluppo. Sin da Adam Smith sappiamo che la divisione del lavoro fra le imprese (e quindi la loro possibilità di crescere e innovare) è limitata dalla dimensione del mercato; sin da David Ricardo sappiamo che piccole economie autarchiche hanno livelli di benessere più bassi di economie immerse in mercati più ampi, con tante possibilità di scambio e specializzazione. Certo, si può commerciare con l’estero come hanno sempre fatto paesi piccoli e avanzati, dalla Svezia alla Svizzera. Ma un grande mercato all’interno dei confini nazionali aiuta moltissimo, come sappiamo dalla storia americana. L’Europa, oggi, cerca di ottenere gli stessi risultati in modo originale, creando un mercato unico fra Stati sovrani ma integrati.
Le città e i territori del Centro-Nord, ricchi di storia, culture e tradizioni, sono stati per secoli la periferia povera dell’Europa. Per trecento anni, dopo i fasti del Rinascimento, Firenze, Venezia e Milano sono rimaste assai più indietro rispetto all’Europa che cresce; ancora nella prima metà dell’Ottocento la Lombardia è una regione povera. Per le dinamiche della geografia e dell’economia internazionale, ma anche perché il Nord è composto da entità statuali piccole e deboli, soggette a dominazioni straniere. Non a caso, la rivoluzione industriale nasce assai lontano, e i suoi effetti diffusivi impiegano circa un secolo per varcare le Alpi.
Ci aiuta la ricostruzione storica delle vicende italiane. Per capire quanto tutte le parti del paese abbiano contribuito al suo sviluppo, basta ricordarne alcuni passaggi fondamentali. È stato il gettito fiscale dell’intero paese, relativamente ampio e di provenienza prevalentemente agraria, a farsi carico prima del debito che il Piemonte portò in dote all’Unità, e poi dello sviluppo infrastrutturale, delle ferrovie, delle scuole, dei telegrafi. Sono state le rimesse dei tantissimi emigrati – prima dal Nord-Est e poi massicciamente dal Sud – a finanziare il saldo della bilancia commerciale, e a permettere, soprattutto a quelle regioni che si industrializzarono prima, di importare beni capitali e tecnologie. È stato il sacrificio dell’intero paese, e in particolare dei più poveri, del Sud agricolo, a sostenere le spese per i grandi salvataggi industriali, e poi, dopo la Grande Recessione, per la nascita dell’Iri e la sopravvivenza di gran parte del settore bancario e dell’industria pesante nazionale. Negli anni della ricostruzione e del boom economico il ruolo del mercato interno è decisivo: prima di spiccare il balzo verso i mercati europei, sull’onda dell’integrazione comunitaria, l’industria italiana cresce e si rafforza servendo i consumatori domestici, fornendo loro scarpe e vestiti, frigoriferi e motociclette. E sviluppando i macchinari necessari per tutte le industrie produttrici. Negli stessi anni la grande riserva di manodopera nazionale, anche attraverso le massicce e dolorose migrazioni interne dal Sud al Nord-Ovest, consente alle imprese di crescere senza tensioni sul fronte salariale, di evitare a lungo i conflitti distributivi che emergeranno dalla fine degli anni Sessanta.
Sono le grandi scelte politiche nazionali, di un paese che già da fine Ottocento è nel club dei più avanzati, che accompagnano e per molti versi favoriscono i fenomeni di sviluppo delle città e delle regioni, differenziati nel tempo e nello spazio. C’è da dubitare che lo sviluppo di Parma o di Modena sarebbe lo stesso se ci fossero ancora i Ducati. E a questa storia hanno dato un contributo fondamentale tutti gli italiani.
Piuttosto, sarebbe importante valutare quanto, nel corso del tempo, queste scelte abbiano favorito gli uni piuttosto che gli altri, lo sviluppo di alcune aree piuttosto che di altre. Quanto siano state importanti le scelte di politica doganale, di politica industriale; le scelte relative ai grandi interventi di infrastrutturazione; di definizione di regole e modalità sui servizi pubblici, dall’istruzione alla sanità, al welfare. Lo sviluppo italiano ha favorito il Nord più che il Sud; il Sud più che il Nord? È un quesito serio – e ancora in parte inesplorato – per la ricerca storica; per meglio comprendere le radici profonde del presente. Tema da affrontare con grande attenzione e misura, tenendo a bada i facili rivendicazionismi. Per capire.
Recuperando lo spirito di Nitti. Il lucano Francesco Saverio Nitti, uno dei grandi della nostra vita nazionale, scrisse all’inizio del XX secolo un famoso saggio su «Nord e Sud», sugli effetti territoriali dell’unità e delle politiche unitarie e sul contributo delle diverse aree alla crescita del paese. Mostrò analiticamente e con chiarezza come nel primo quarantennio unitario il ruolo del Mezzogiorno fosse stato decisivo per la nuova Italia. Ma non lo fece per protestare o per rivendicare. Il suo scopo era mostrare i fatti ad un’opinione pubblica e a classi dirigenti nelle quali allora come oggi serpeggiavano pulsioni antimeridionali. Sollecitare l’orgoglio di quanti, ciascuno nel suo ruolo, avevano contribuito allo sviluppo.
Quale che ne sia stata la ripartizione interna, il benessere degli italiani è così fortemente cresciuto nei 150 anni anche perché siamo stati cittadini di un paese di rilevante dimensione; pur con tutte le sue difficoltà e contraddizioni, di una delle principali economie del mondo; di un grande caso di successo internazionale, almeno fino al «declino» dell’ultimo ventennio.
E siamo solo sul terreno dell’economia e della politica economica. A queste riflessioni se ne possono aggiungere altre, fondamentali, sull’importanza del sentimento nazionale e di cittadinanza; sul riconoscersi in un destino comune che influenza valori e scelte individuali: quel sentimento identitario che tanto ruolo ha avuto – anche sul terreno economico – nella storia passata della Francia, o nelle vicende attuali di paesi che stanno diventando grandi protagonisti dell’economia mondiale, dal Brasile alla Turchia.
Anche riconoscendo quel che la storia ha prodotto, è però forte la tentazione, da un po’ di tempo a questa parte, di decretare la fine degli Stati nazionali. Disegnare un’Europa di regioni indipendenti. Il tema è complesso, interessante. La ridefinizione di poteri e responsabilità su più livelli, fra Europa, nazioni e regioni è una delle trasformazioni che l’Europa e l’Italia stanno vivendo; anche alla luce del principio di sussidiarietà: è bene portare alcune importanti scelte più vicine ai cittadini. Autonomie territoriali forti, in Stati membri uniti in una costruzione europea con poteri sempre più rilevanti. È un processo per molti versi auspicabile, positivo. A ciascuno il suo: alle città e alle regioni il governo del proprio territorio, per tener conto di diversità nelle realtà, nelle preferenze, nelle possibilità; all’Europa la moneta, il cambio e le grandi scelte di politica economica; e, auspicabilmente, sempre più la difesa e la politica estera. Fra di loro un livello statale; fondamentale, per le grandi politiche e le istituzioni nazionali che restano diverse anche nell’Unione: dall’istruzione alla cultura, dal welfare alla sanità.
Un processo assai diverso dalle secessioni serpeggianti, in Italia come in altri paesi europei. Dietro l’indipendentismo catalano, o fiammingo, o padano, non ci sono grandi disegni, ma calcoli di convenienza contabile. Dopo tutti i vantaggi dell’essere stati spagnoli, belgi, italiani, conviene uscire dagli Stati nazionali, per cancellare destini comuni e vincoli nazionali di solidarietà; ma al tempo stesso restare in Europa per mantenere e rafforzare gli stessi vincoli, a proprio vantaggio, con i più ricchi. Conviene creare un’Europa a due livelli, con una serie A e una serie B, autopromuovendosi nella massima serie e lasciando indietro gli altri; sognando così, pur di mantenere quattro soldi in più nel portafoglio, un futuro da piccolo staterello satellite della Germania.
Nelle grandi incertezze e preoccupazioni che circondano il futuro dell’Europa, c’è da giocare una partita grande: quella di riannodare i fili dell’intesa e della collaborazione fra il Nord e il Sud del continente. E c’è chi invece vuole giocare una partita piccola piccola. Non è questa la strada, di successo, seguita sinora in Europa. L’allargamento ai mediterranei negli anni Ottanta, e poi il grande allargamento ad Est sono andati in direzione opposta. Con una valenza politica: per riportare in Europa quanti se ne erano allontanati a causa di feroci dittature fasciste (Spagna, Portogallo e Grecia) o del comunismo. Con una valenza economica: la vecchia Europa si è integrata – e questo è il punto – con economie assai più deboli, ma creando così mercati più ampi in cui crescere insieme.
Certo, il Nord senza il Sud sarebbe contabilmente più ricco, così come lo sarebbe la Germania senza il resto dell’Europa. Ma le loro storie, politiche ed economiche, sarebbero state in passato, e sarebbero in futuro, completamente diverse.
Guardiamo proprio alla Germania; caduto il Muro di Berlino, si è realizzato ciò che era ritenuto impossibile, fuori dalla storia, solo fino a poche settimane prima: la riunificazione. Pur di ottenerla, classi dirigenti di ben altro spessore rispetto a quelle di oggi, hanno accettato una profonda ridefinizione degli assetti europei, hanno visto sparire la propria moneta. Hanno riunito un paese dolorosamente diviso dalla Guerra fredda, e hanno accettato di pagarne i costi, esterni e interni. Hanno incluso territori assai più poveri; in parte con antiche tradizioni scientifiche e industriali, ma con assetti produttivi distorti dalla pianificazione comunista. Hanno sostenuto da subito il potere d’acquisto di quei cittadini con un cambio irrealistico, di 1:1 fra il vecchio marco ovest e il vecchio marco est. Hanno prodotto una sforzo poderoso di inclusione sociale (con l’estensione immediata di un welfare ricco per anziani e disoccupati) e di modernizzazione del territorio; hanno investito ingenti fondi, pubblici e privati. Curiosamente, molti in Italia sono convinti che sia stata raggiunta una piena convergenza di reddito fra le due Germanie: è uno degli argomenti usati in comparazione alla situazione italiana, per mostrare l’irredimibile diversità del Sud. Non è così; anche in Germania i divari regionali restano ampi. Con l’unificazione i tedeschi sono diventati statisticamente più poveri; così come lo sono diventati gli europei del primo nucleo comunitario con i successivi allargamenti. Ma nessuno ha sollevato questo argomento contabile. Perché, stando insieme, i tedeschi come gli europei sono diventati, come documentano con precisione i numeri dell’economia e i dati della politica internazionale, più forti.

2. Il Sud rallenta lo sviluppo dell’intero paese

Va bene. Ma in Italia è diverso: il Sud rallenta lo sviluppo dell’intero paese, perché cresce sempre meno del Nord. E così il divario fra le due Italie non fa che allargarsi. Questo è sempre stato grave, ma è insopportabile oggi, che lo sviluppo italiano è così modesto.
Anche di questo sono convinti molti italiani; ma complessivamente queste affermazioni sono molto più false che vere. Guardiamo un momento all’indietro. All’Unità, le differenze di reddito fra Sud e Nord erano assai modeste (come frutto della storia precedente, erano più rilevanti quelle fra Ovest, più ricco, e Est); così sono rimaste per i primi venti-trenta anni. Poi con l’industrializzazione il Nord-Ovest ha staccato il resto del paese. Nel periodo fascista e nell’immediato secondo dopoguerra, il Sud è diventato assai più povero rispetto a tutto il Centro-Nord. Al 1951 le distanze fra le diverse regioni erano dra...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Senza il Sud l’Italia sarebbe più ricca
  3. 2. Il Sud rallenta lo sviluppo dell’intero paese
  4. 3. Un fiume di denaro senza fine
  5. 4. Il Sud è la terra dello spreco
  6. 5. Una terra dominata dallo statalismo
  7. 6. L’assistenzialismo è la vera piaga del Sud
  8. 7. Un euro al Sud produce molto meno che nel resto del paese
  9. 8. È il Nord che lavora che mantiene il Sud parassita
  10. 9. Le classi dirigenti del Sud sono inette, incapaci, corrotte
  11. 10. I meridionali non hanno cultura, senso civico, capitale sociale
  12. 11. Si è provato di tutto, e senza risultati
  13. Nota bibliografica
  14. L’Autore