Introduzione alla pedagogia generale
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Introduzione alla pedagogia generale

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Introduzione alla pedagogia generale

Informazioni su questo libro

L'Introduzione alla pedagogia generale intende fornire un quadro di riferimento articolato della scienza pedagogica che viene analizzata nella varietà e nella molteplicità dei suoi elementi costitutivi, rappresentati dai soggetti, dagli oggetti, dai contesti e dai tempi della formazione.

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Informazioni

1. La pedagogia fra scienza e utopia

Premessa. Dissenso e istanze critico-ricostruttive

L’attuale assetto del sapere-discorso pedagogico è l’esito di una lunga storia di riflessione che si è sviluppata nei secoli attraverso l’avvicendarsi e l’intrecciarsi di correnti di pensiero diverse, ciascuna delle quali (con la sua propria concezione dell’uomo e della donna, della natura e della società, dell’immanente e del trascendente) ha influenzato i vari modelli di educazione-istruzione-formazione e, pertanto, i relativi modelli di scuola.
A loro volta, le differenti concezioni della conoscenza, del mondo e della cultura sono fortemente debitrici nei confronti di particolari modelli pedagogici, cioè di particolari «teorie della modificabilità umana». In altre parole, molte rivoluzioni concettuali (scientifiche e artistiche) sono l’esito di determinati «progetti di formazione» e della specifica valorizzazione da questi promosse rispetto a determinate dimensioni euristiche e critiche, divergenti e creative del pensiero e dell’azione umana.
Alla luce di queste considerazioni, risulta evidente la stretta connessione tra l’attuale riflessione sull’apparato teorico della pedagogia e la più complessiva storia di tale riflessione.
Volendo tuttavia circoscrivere l’analisi alla realtà a noi più prossima, un significativo punto di riferimento può essere individuato nel dibattito sviluppatosi a partire dalla seconda metà del Novecento.
È intorno a questi anni cruciali, infatti, che si fanno evidenti le contraddizioni di determinati modelli economici e sociali ma soprattutto culturali ed educativi e che emergono, con forza, istanze di radicale ridefinizione dell’intero sistema formativo.
Le devastazioni della guerra e della Shoah, gli orrori dello sterminio, le immagini apocalittiche di Hiroshima e Nagasaki avviano un ampio processo di riflessione su quel «naufragio della ragione» a cui collegare l’assurdità e il non senso di tanta crudeltà.
In questo clima irrequieto si avviano e moltiplicano, al contempo, progetti e programmi di ricostruzione materiale, culturale e morale di un mondo che si presenta in frantumi.
Si torna a discutere sulla questione dei diritti umani (il diritto alla vita, alla salute, alla cultura, alla scuola, alla creatività) e soprattutto sulla necessità di garantire tali diritti a quanti ne sono ancora privi: a quei popoli, gruppi, persone, vittime di discriminazioni sociali e culturali, costretti a vivere in condizione di pesante povertà, dipendenza e sfruttamento. È in tal modo che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l’intero Occidente è attraversato da un ampio e articolato movimento di dissenso e di contestazione che, partendo dagli Stati Uniti d’America, raggiunge in breve l’Europa.
Tale dissenso si ispira ai manifesti di critica e di trasformazione sociale proposti dalle avanguardie artistico-letterarie di quegli anni. Queste ultime interpretano ed esprimono il senso della profonda sfiducia dei giovani americani del dopoguerra (la beat generation) nei confronti di ogni forma di partecipazione sociale e politica.
Nelle opere di scrittori come Jack Kerouac, William Burroughs, Allen Ginsberg e Gregory Corso, trova trascrizione letteraria l’idea di una ribellione totale al consumismo e al vuoto spirituale di una società di massa, alienata a se stessa dal benessere materiale. In tale prospettiva, i beats scelgono la fuga dalla società americana (e dalla società tout court), riconoscendo nella estraneità al sistema l’unica possibile alternativa esistenziale ed artistica alla tragica sofferenza indotta dall’opacità e dall’incomunicabilità della società industriale1.
Successivamente, si apre in America una nuova fase di dissenso e contestazione, più impegnata a livello sociale e politico rispetto al decennio beat. In un primo tempo, la profonda istanza di rinnovamento dei giovani si traduce in forme inedite di «controcultura»: alcune frange giovanili – gli hippies – manifestano la propria opposizione al sistema adottando uno stile di vita ispirato agli ideali comunitari, anarchici e libertari, di fratellanza pacifista e umanitaria.
È, tuttavia, col movimento studentesco, partito dall’Università californiana di Berkeley e diffusosi velocemente in tutti gli Stati Uniti e in Europa occidentale, che il fenomeno della contestazione giovanile assume un rilievo davvero inaspettato. I giovani attivisti che iniziarono ad agitarsi contro il rischio della guerra nucleare, contro l’indifferenza e il conformismo dei poteri istituzionali, seppero tradurre la condanna della società industriale e la scelta «esistenziale» di estraneità al sistema (già impersonata dai beats e formalizzata da Marcuse in L’uomo ad una dimensione, del 1967) in una precisa scelta «politica» e partecipativa. Tale forza oppositiva, a differenza di quanto successo nel decennio precedente, trova la strada per trasformarsi in ampio movimento politico e sociale che opera e si diffonde all’esterno dei tradizionali luoghi della politica. La campagna per il disarmo nucleare, la battaglia per i diritti civili delle minoranze etniche (i neri, gli immigrati latinoamericani), la contestazione della guerra nel Vietnam e la difesa dell’ambiente sono alcuni dei temi attorno a cui si aggrega la denuncia degli studenti.
In pochi anni, la ribellione giovanile contro la società borghese trova modo di associarsi alle istanze di riscatto di tutte le minoranze oltreché alla lotta dei movimenti terzomondisti e anti-imperialisti dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina, confluendo in una mobilitazione ideale e politica composita e stratificata. In questo senso, il movimento giovanile si trova spesso ad affiancare, in quegli anni, la lotta del movimento nero, guidato da Martin Luther King e Malcolm X. I due leader neri, per strade diverse, portarono all’evidenza dell’opinione pubblica i bisogni e le aspirazioni di milioni di persone discriminate e oppresse, andando incontro a violentissime ritorsioni razziste: Malcolm X fu assassinato nel 1965 e Martin Luther King nel 1968.
A tutto questo si aggiunge il vasto movimento di autotrasformazione che vede protagonista il mondo cattolico e la sua stessa Chiesa. È papa Giovanni XXIII che segna la grande svolta: con il Concilio Vaticano II (1962-1965) e con le encicliche Mater magistra (1961) e Pacem in terris (1963), la fondazione di una Chiesa più moderna si annuncia legata al rinnovamento della tradizione e all’apertura e al dialogo con tutte le menti illuminate dalla ragione e dall’onestà. Questa istanza si tradusse nella intensa opera portata avanti da papa Paolo VI oltreché in quella realizzata dai gruppi dei cosiddetti «cattolici del dissenso»2.
In questo quadro ricco e composito, la contestazione degli anni Sessanta e Settanta investiva in pieno la pedagogia, l’educazione e la scuola, denunciandone il carattere ideologico, ossia la funzione che esse assolvevano di riproduzione e di rafforzamento di una precisa ideologia: quella capitalistica e borghese. La pedagogia, pertanto, è coinvolta in pieno in un generale processo critico-ricostruttivo. Un processo che la vede impegnata nella revisione del proprio progetto formativo ma, soprattutto, del proprio statuto di scienza che «pensa» e «progetta» la formazione.
L’intento di queste pagine è quello di ripercorrere questo itinerario di autocritica e di progressiva autonomizzazione: un itinerario che, da una parte, ha visto la pedagogia impegnata a svincolarsi dalla sua storica subordinazione ai saperi filosofici e, dall’altra, a rifondarsi su base scientifica anche grazie all’intreccio e agli scambi costruttivi con altri saperi.
Tutto questo viene ricostruito alla luce di alcune categorie-chiave: pluralità e differenza, creatività e cambiamento. Categorie che ci consentono di riconoscere e collegare dialetticamente tra loro dimensioni pedagogiche spesso disgiunte e contrapposte. Di interconnettere razionalità e irrazionalità, logica e immaginazione, ragione e desiderio, ma anche mito e scienza, natura e tecnica, individuo e contesto, memoria e progetto.

1. La via della scienza

1.1. Alla ricerca di una propria autonomia scientifica

La seconda metà del Novecento vede, dunque, l’avvio, per la pedagogia, di un difficile percorso di riflessione alla ricerca della propria autonomia scientifica e alla ricerca, anche, di una ridefinizione dei propri rapporti con la filosofia e con le altre scienze.
Nell’ambito di tale percorso, la funzione critica e riflessiva della pedagogia ha investito, oltre che le condizioni, i contesti e gli orientamenti regolativi oggetto del «pensare» e dell’«agire» pedagogico, anche e soprattutto il suo stesso apparato teoretico (la propria struttura concettuale, i propri linguaggi, i propri metodi, la propria specifica connotazione sociale e politica e la propria funzione trasformativa e ricostruttiva). La pedagogia, in altre parole, riconoscendo la molteplicità delle istanze che concorrono a costituirla, si è resa disponibile a ridescriversi continuamente, a stabilire, con una nuova descrizione di sé, un ulteriore approfondimento del proprio sapere inquieto e complesso, come complessa è la «formazione», oggetto della sua riflessione.
In questo itinerario mai definitivamente concluso, la pedagogia si è mossa e si muove tuttora tra ricerca di autonomia ed esigenza di interdisciplinarità. Essa, in altre parole, si è andata configurando come sapere segnato da attraversamenti, collegamenti e intrecci con altri saperi.
In tal senso, la pedagogia può essere interpretata come scienza di confine laddove il concetto di confine va inteso non come rigida barriera che delimita e separa ma, al contrario, come area di comune sconfinamento, in cui costruire e condividere conoscenza «tra» saperi differenti che, da punti di vista diversi (e con apparati teorici e metodologici diversi), osservano, riflettono e progettano intorno a comuni oggetti di indagine.
La ricerca di identità da parte della pedagogia si presenta, quindi, come un processo aperto e in continuo divenire, in cui la pedagogia appare contraddistinta da una naturale disponibilità a lasciarsi «contaminare» da altri saperi ma, allo stesso tempo, impegnata a elaborare propri autonomi punti di vista. Tutto questo, utilizzando conoscenze talora rivenienti dai saperi extrapedagogici, ma interpretandoli e ri-orientandoli alla luce di quello che è l’oggetto costitutivo della ricerca pedagogica, ossia la relazione transattiva istruzione-educazione-formazione.
La formazione, più in particolare, viene proposta come la «categoria comprendente» del sapere pedagogico, spazio problematico di differenziazione e raccordo tra istanze etiche, relative all’acquisizione di valori e comportamenti, e istanze cognitive ed affettive, relative all’acquisizione di saperi e competenze. La formazione, altresì, si esplica in una duplice dimensione: una prima, relativa al «dar-forma» (e al «prendere forma»), ossia ai processi attraverso i quali le istituzioni formative si occupano di conservare e trasmettere alle giovani generazioni la conoscenza e la cultura di un gruppo sociale, e una seconda dimensione relativa al «formar-si», ossia ai processi auto-costruttivi attraverso i quali il singolo soggetto elabora e trasfigura tale cultura con l’apporto della propria specifica individualità.
In tal senso, la pedagogia conferma la sua natura di sapere generale e riflessivo, critico ed emancipativo, impegnato a definire la propria identità articolandola fondamentalmente in due direzioni:
– nella direzione della ricerca teorica che, attraverso differenti punti di vista (da quello empirico e sperimentale a quello fenomenologico, da quello critico-ermeneutico a quello metateorico), ha focalizzato l’attenzione in modo particolare sull’analisi dei fini e dei mezzi dell’istruzione-educazione-formazione (e sulle condizioni della loro pensabilità e realizzabilità), per arrivare poi ad approfondire meglio l’analisi del discorso pedagogico relativamente alle sue strutture formali, ai suoi linguaggi e alle sue logiche, nonché ai nessi transattivi che collegano contingenza e futuro, realtà e utopia;
– nella direzione della prassi pedagogica, cioè nella progettazione-realizzazion...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. L’identità della pedagogia
  3. 1. La pedagogia fra scienza e utopia
  4. 2. L’assetto epistemologico della pedagogia
  5. Parte seconda. La pedagogia tra le scienze
  6. 1. Complessità e pedagogia della ragione
  7. 2. La pedagogia tra natura e tecnica
  8. 3. La pedagogia tra soggetto, società, cultura
  9. Parte terza. I luoghi e i tempi dell’educazione
  10. 1. Il sistema formativo in una società del cambiamento
  11. 2. Verso un sistema formativo integrato
  12. 3. Le agenzie educative
  13. 4. Le stagioni dell’educazione
  14. Bibliografia