L'estetica italiana del Novecento
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L'estetica italiana del Novecento

Dal neoidealismo a oggi

  1. 328 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'estetica italiana del Novecento

Dal neoidealismo a oggi

Informazioni su questo libro

Da Croce a Eco, da Gentile a Garroni, da Pareyson a Vattimo, Paolo D'Angelo ricostruisce l'intera storia dell'estetica italiana dai primissimi anni del Novecento a oggi, seguendo l'intreccio che lega la riflessione filosofica sull'arte alla critica letteraria, a quella delle arti figurative e musicali, ai movimenti artistici.

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Informazioni

Capitolo primo. L’estetica di Benedetto Croce

Quando si comincia a trattare un tema di storia letteraria, culturale o politica seguendo una divisione per secoli si è quasi sempre costretti a iniziare con una serie di precisazioni che servono a mostrare come il periodo scandito dalla successione cronologica corrisponda solo approssimativamente a quello che occorre ricostruire per avere una visione chiara dei fatti. Spesso si è obbligati a spostare all’indietro o in avanti la data di inizio del secolo di cui si vuole fare la storia, perché i problemi di cui ci si vuole occupare affondano le loro radici in un’epoca precedente o perché la svolta del secolo non produsse nessuna reale novità. Una storia politica dell’Ottocento può cominciare con la Rivoluzione francese e terminare con il 1914, e spostamenti analoghi saranno concessi senza difficoltà alle storie delle arti o della filosofia, che sono non meno della storia politica un cammino le cui svolte possono non coincidere, e anzi quasi mai coincidono, con quelle preordinate dal calendario. Ma chi comincia a percorrere la storia dell’estetica italiana del Novecento può evitare una volta tanto queste precisazioni e questi spostamenti di date, perché l’estetica italiana del nostro secolo nasce davvero nell’anno 1900, nel senso che in quell’anno si produce un avvenimento che segna con la massima nettezza una trasformazione profonda, una frattura con il passato e l’avvio di una stagione culturale nuova.
Nella primavera del 1900 Benedetto Croce legge all’Accademia Pontaniana di Napoli le sue Tesi fondamentali di un’estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, che vengono stampate nel maggio dello stesso anno. Accompagnate da un’ampia Parte storica, la prima storia generale dell’estetica scritta in lingua italiana, e profondamente rimaneggiate, le Tesi diventeranno due anni dopo l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale pubblicata dall’editore Sandron di Palermo. Il volume andrà incontro a una fortuna rapida e durevole; attraverso di esso passerà, in grandissima parte, la penetrazione della filosofia crociana nella cultura italiana del primo quindicennio del secolo, e anche quando la figura di Croce verrà ad assumere il ruolo di punto di riferimento etico-politico, dopo l’avvento del fascismo, l’estetica continuerà a essere il lato della sua filosofia più familiare al grande pubblico, più seguito nelle scuole, più ripetuto e inevitabilmente anche più banalizzato. L’estetica crociana fu in Italia, per lungo tempo, l’estetica per antonomasia; il volume del 1902, passato nel 1908 a Laterza, conobbe una serie ininterrotta di riedizioni per un cinquantennio; prontamente recensito in Italia e all’estero, tradotto quasi subito in francese e tedesco, poco dopo in inglese e spagnolo, e poi in moltissime altre lingue, ebbe una risonanza internazionale superiore a quella di qualsiasi altra opera della moderna filosofia italiana. Inoltre l’estetica crociana non ha agito, in Italia e all’estero, soltanto sul piano filosofico, nel qual caso la sua diffusione sarebbe stata più circoscritta; essa ha operato anche attraverso la critica letteraria di Croce stesso: la rapida affermazione dell’estetica crociana nei primi anni del secolo fu propiziata più dal consenso che essa incontrò presso i critici letterari che da quello suscitato presso i filosofi, e anche successivamente rimase vero che, nel complesso, la cultura artistico-letteraria fu più crociana di quanto lo fosse, comparativamente, quella filosofica. Qualcosa di simile avvenne del resto anche in campo internazionale, perché è sì vero che l’estetica crociana influì direttamente su filosofi e teorici come Collingwood e Carritt, ma è anche vero che l’azione più costante e duratura, oltre che più immediata, la ebbe attraverso l’opera di critici della letteratura, come Spingarn negli Stati Uniti e Vossler in Germania, o figurativi, come von Schlosser in Austria.
Se la rapidità con la quale la prima estetica crociana si diffuse nella cultura italiana di inizio secolo costituisce già da sola un buon motivo per far coincidere l’avvio della nostra esposizione con la prima uscita a stampa delle Tesi, che di lì a poco diventeranno l’Estetica, la fortuna internazionale subito arrisa a quell’opera consente di notare fin da ora qualcosa circa l’altra delimitazione, questa volta non cronologica ma geografica, che la caratterizza: il suo essere, cioè, una storia dell’estetica italiana. È fin troppo ovvio che le partizioni per nazionalità o per lingua hanno, nella cultura filosofica, ancor meno significato di quello, già opinabile, che rivestono in altri campi della cultura; anche perché la circolazione delle idee è così intensa nella filosofia europea che veramente ricercare in essa dei caratteri nazionali è, oltre che sviante, difficile. Nessun dubbio, insomma, che l’estetica italiana non sia più italiana di quanto sia, di volta in volta, tedesca, francese, inglese, e che dunque l’aggettivo ‘italiana’ serva qui come mero indice pratico, atto a segnalare al lettore che in questa storia si parlerà di autori nati o vissuti in Italia, e che in lingua italiana hanno scritto le loro opere, salvo poi mostrare, tutte le volte che sarà necessario, come essi abbiano utilizzato apporti provenienti da altre tradizioni filosofiche. Ma detto questo, non ne segue affatto l’impossibilità di notare che proprio attraverso la circolazione internazionale della filosofia crociana è accaduto che un’estetica elaborata in Italia avesse, caso assai raro nella storia del pensiero moderno, un forte impatto anche fuori dai nostri confini; o che la tradizione degli studi filosofici di estetica si è mantenuta in Italia, dopo Croce, più ricca e più intensamente coltivata rispetto a quanto può essere accaduto in altre tradizioni di ricerca. Da questo punto di vista diventa possibile affermare che una storia dell’estetica italiana del Novecento si annuncia più significativa e più organica di quanto sarebbe un’analoga indagine portata, mettiamo, sul secolo precedente e perfino sul Settecento.
Si potrebbe ancora osservare che la scelta di cominciare dall’inizio del secolo rappresenta una presa di posizione troppo secca, che la fortuna travolgente dell’estetica crociana può suggerire ma non giustificare del tutto; di più: si può dire che, così facendo, ci si uniforma proprio al canone storiografico messo in circolazione dalla nuova filosofia dell’idealismo, che svalutando i precedenti del tardo Ottocento, e liquidando la tradizione positivistica, metteva in risalto la propria funzione innovatrice. Ed effettivamente quel canone interpretativo è stato più volte revocato in dubbio, facendo notare come non tutto nella filosofia italiana del secondo Ottocento fosse stanca ripetizione o meccanica applicazione. Senonché, quello che è stato tentato per altri settori della ricerca filosofica si rivela impresa difficile e pressoché disperata nel campo dell’estetica. È molto improbabile che l’hegelismo immaginoso di Antonio Tari (che tenne la cattedra di estetica all’Università di Napoli dopo l’Unità) o quello esangue di Niccolò Gallo (autore del volume La scienza dell’arte, 1887), che il positivismo facile e divulgativo di Paolo Mantegazza (il cui Epicuro. Saggio di una fisiologia del Bello usciva nel 1891) o quello professorale e verboso di Mario Pilo (L’estetica psicologica, 1892; Estetica, 1894) si rivelino anche al più benevolo indagatore per più di quello che sono, ossia episodi epigonali, ripetizioni talora estrose, come in Tari, ma prive di ogni funzione propositiva, o che si possa rintracciare vera serietà speculativa nell’estetismo misticheggiante di Angelo Conti (La Beata Riva, 1900). Perfino l’episodio più rilevante su di un piano europeo, la metodica per la storia dell’arte teorizzata da Giovanni Morelli (Della pittura italiana, 1897), al di là del significato importante che essa riveste nella storia dell’attribuzionismo, non è, sul piano delle tematiche più strettamente teoriche, altro che una ripresa schematica dell’idea, corrente in tutto il positivismo, del condizionamento etnico-geografico delle produzioni artistiche. In ogni caso, e quale che sia il valore intrinseco di questi tentativi, resta il fatto, decisivo nei riguardi presenti, che l’estetica crociana non sentì il bisogno di definirsi rispetto a questi predecessori, e che anche il confronto della nuova filosofia con il positivismo passò per altre strade, che furono, a conferma di quanto abbiamo appena detto circa il significato tutto relativo delle delimitazioni nazionali in questa materia, piuttosto europee (soprattutto tedesche) che italiane.

1.1. La genesi dell’estetica crociana

Attraverso gli scritti autobiografici di Croce possiamo ricostruire con molta precisione le date della composizione dell’Estetica. Nel Curriculum Vitae vergato nell’aprile del 1902 si legge: «Da novembre 1898, con pochi intervalli e con lunghi periodi di attività continua, nell’inverno 1898-1899, dall’autunno 1899 fino all’estate 1900, e poi di nuovo dal giugno 1901 al dicembre dello stesso anno ho lavorato alla mia opera sull’Estetica, ora prossima ad uscire in luce». Gli epistolari crociani, in particolare il carteggio con Giovanni Gentile, offrono ulteriori testimonianze. Il 10 agosto 1899 Croce scriveva: «mi trovo ora tutto immerso nel mettere insieme l’ossatura del mio libro di Estetica»; nel marzo dell’anno seguente comunicava di stare dando «l’ultima mano alla parte teorica» per farne la memoria letta alla Pontaniana; nell’ottobre del 1901 avvertiva di aver redatto quasi tutta la Parte storica: «Ma vedete un po’ cosa vuol dire la vita tranquilla: dal 17 Agosto al 3 Ottobre mi è stato possibile scrivere 700 pagine»1. Esaustive sul piano della genesi materiale dell’opera, le date della stesura non riguardano, va da sé, la formazione del pensiero crociano sull’estetica, per intendere la quale è necessario spostarsi alquanto più indietro, fino a risalire per lo meno alla memoria del 1893 La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte2.
Gli inizi di Croce furono, come noto, di erudito cultore di storia locale. Negli anni dal 1886 al 1892, egli compose gran parte dei saggi successivamente raccolti nei volumi sulla Rivoluzione napoletana del 1799, sui Teatri di Napoli, sulle Storie e leggende napoletane, su La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza. È Croce per primo, nel Contributo alla critica di me stesso, a spiegare chiaramente come dall’insoddisfazione per la mera erudizione e dai dubbi nati in seno a quelle ricerche egli fosse spinto a studiare questioni di metodo e di teoria storiografica, e a ricollegarle con l’interesse per la teoria dell’arte, manifestato precocemente ma senza che gli fosse riuscito di svilupparlo in modo organico. Ed è ancora Croce a dirci come la soluzione raggiunta nella memoria del 1893 circa il nesso della storia con l’arte gli si manifestasse quasi come un’illuminazione improvvisa, come la sensazione di aver raggiunto per la prima volta una veduta feconda e carica di implicazioni per la sua futura attività: «Dopo lunghe titubanze e una serie di soluzioni provvisorie [...], meditando intensamente un giorno intero, alla sera abbozzai una memoria col titolo: La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, che fu come una rivelazione di me a me stesso»3. Il ricongiungimento del problema della storia a quello dell’arte prendeva la forma, che anche in seguito sarebbe spesso riaffiorata in snodi essenziali del pensiero crociano, della ‘riduzione’ (la Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia, del 1907, o la ‘riduzione’ della linguistica generale all’estetica operata nell’Estetica). Croce fissava la forma di un’attività spirituale, l’arte, per mostrare poi come un’attività solitamente considerata diversa e autonoma, la storia, si svelasse, nella sua più intima natura, nei principi che la rendevano possibile, non essenzialmente distinta da quella. Ma – e questo si sarebbe rivelato decisivo per tutti gli sviluppi successivi dell’estetica crociana – la storia veniva ricondotta all’arte, veniva mostrata l’identità dei principi a cui entrambe si riportano, in quanto innanzi tutto l’arte veniva pensata come conoscenza. L’arte è un conoscere: questa consapevolezza, che sarà ribadita proprio nell’incipit dell’Estetica del 1902 – e che resterà ferma lungo tutto l’arco della speculazione crociana, anche se alcuni degli sviluppi successivi tenderanno a metterla in ombra –, va sottolineata subito come uno dei tratti più caratteristici dell’estetica crociana, e questo sia perché è solo tenendola presente che si potranno capire molte delle critiche che verranno rivolte a quell’estetica, sia perché essa è veramente un punto di orientamento decisivo per la nascita della filosofia crociana. Affermando il carattere conoscitivo dell’arte Croce si trovava ad afferrare il bandolo che non solo gli permetteva di riunire l’arte alla storia («l’arte è rappresentazione della realtà»4, e rappresentazione della realtà è anche la storia), ma, quel che più importa, gli consentiva di prendere posizione contro le concezioni del fenomeno artistico dominanti nella seconda metà dell’Ottocento, e di segnare immediatamente la sua distanza dal positivismo. Che l’arte sia conoscenza significa infatti, e anche questo processo di esclusioni successive è un tratto che resterà caratteristico del procedimento crociano, che essa non è mero piacere sensibile, non è riducibile a puri rapporti formali, e non è nemmeno interpretabile come esposizione di verità morali o metafisiche5. Per intendere quest’ultimo punto è necessario tenere presente che il conoscere di cui Croce parla a proposito dell’arte è nettamente diverso, e anche questa distinzione risulterà decisiva nell’Estetica, dal conoscere scientifico. La scienza è elaborazione di concetti, costruzione di classi, ordinamento dei fatti; l’arte – ed ecco aperta la strada per collegarla alla storia – è apprensione del fatto nella sua individualità. Non ogni conoscere è conoscere scientifico: non ogni Wissen, ogni sapere, scriverà Croce sforzandosi di sintetizzare la sua posizione, è Wissenschaft, scienza6.
A suo agio nel fissare la coincidenza essenziale della storia e dell’arte, mercé la loro riconduzione alla stessa «forma della mente umana»7, e già per nulla titubante nel segnare confini netti alle singole attività spirituali («O si fa scienza, dunque, o si fa arte. Sempre che si assume il particolare sotto il generale, si fa scienza; sempre che si rappresenta il particolare come tale, si fa arte»8), la memoria giovanile di Croce si mostrava assai meno sicura quando, una volta operata la riduzione sul piano della fondazione filosofica, si trattava di indicare la differenza relativa di storia e arte. Poiché la distinzione non poteva collocarsi sul piano delle forme, diventava necessario recuperarla su quello dei contenuti, opponendo il conoscere di quel che è meramente possibile (l’arte) al conoscere di quel che è realmente accaduto (la storia). Per questa via Croce si imbatteva in un altro dei problemi di fondo dalla cui elaborazione nacque la sua estetica, quello della relazione di forma e contenuto nell’arte, ma né arrivava a una soluzione soddisfacente nel caso dell’arte (sarà questo uno dei punti su cui più dibatteranno, negli anni successivi, Croce e Gentile), né riusciva a spiegare in modo convincente perché la storia avesse a che fare con il reale piuttosto che con il possibile, dato che questa distinzione non poteva prendere corpo nel conoscere puramente rappresentativo dell’arte. Le relazioni tra storia e arte avrebbero occupato a lungo Croce, che ancora nell’Estetica offriva una soluzione provvisoria, e che solo con la Logica del 1909 riterrà di essere giunto a una posizione soddisfacente.
I problemi che la memoria del 1893 lasciava aperti, tuttavia, erano certo importanti per l’evoluzione s...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Parte prima. L’età dell’idealismo
  3. Capitolo primo. L’estetica di Benedetto Croce
  4. Capitolo secondo. L’estetica di Giovanni Gentile
  5. Capitolo terzo. Al di fuori dell’idealismo
  6. Parte seconda. Dopo l’idealismo
  7. Capitolo quarto. Le vie del rinnovamento post-crociano
  8. Capitolo quinto. La crisi dell’estetica filosofica
  9. Capitolo sesto. Il ritorno dell’estetica come filosofia
  10. Bibliografia