La psicologia sociale
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La psicologia sociale

Processi mentali, comunicazione e cultura

  1. 272 pagine
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La psicologia sociale

Processi mentali, comunicazione e cultura

Informazioni su questo libro

La psicologia sociale è lo studio delle dimensioni sociali della mente umana, ossia le modalità di articolazione tra gli aspetti individuali della vita psicologica e il livello della vita sociale, inteso in termini di interazioni tra le persone, ma anche in termini più ampi di contesto socio-culturale: «scegliere come ambito della disciplina non uno dei livelli, bensì l'intersezione tra essi, significa non limitare la scelta degli oggetti di studio ad alcuni temi, ma piuttosto sforzarsi di elaborare un modello di interpretazione che, proprio in quanto tiene conto di entrambi i livelli, risulta applicabile ai fenomeni più diversi. Può così essere impostata in modo più produttivo anche la relazione tra le diverse discipline che si occupano del comportamento umano e in particolare tra psicologia generale, psicologia sociale e sociologia; la distinzione tra esse, infatti, non si pone in relazione ai temi trattati ma al tipo di approccio scelto per interpretare i fenomeni. Ad esempio, tematiche come la percezione, la memoria o le emozioni si possono considerare argomenti di stretta pertinenza della psicologia generale ma diventano oggetto della psicologia sociale quando se ne evidenzi il legame con i processi di interazione e con il contesto socio-culturale. Allo stesso modo, un fenomeno come le dinamiche di gruppo costituisce un tema di evidente interesse sociologico per tutto ciò che riguarda aspetti come l'interdipendenza e la differenziazione, i rapporti di potere, i sistemi di norme, la stratificazione sociale ecc.; mentre diventa oggetto di studio della psicologia sociale laddove si considerino i correlati psicologici delle appartenenze, facendo riferimento a temi come l'identità sociale, gli stereotipi, o le cognizioni condivise».

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Informazioni

VII. Pregiudizi, stereotipi e relazioni tra gruppi

Le dinamiche psicologiche sono profondamente influenzate dal fatto che le persone appartengano a gruppi sociali e dal tipo di relazione che esiste tra i gruppi di cui le persone fanno parte. In relazione alle proprie appartenenze di gruppo, infatti, l’individuo sviluppa un forte senso di identità sociale, che lo porta a sopravvalutare tutto ciò che riguarda i gruppi di cui fa parte e a svalutare ciò che riguarda i gruppi diversi dal proprio. Sullo sfondo, campeggia il grande tema del pregiudizio e degli stereotipi, che ci accompagnano nella vita quotidiana e che acquistano una rilevanza particolare quando implicano le nostre appartenenze di gruppo. Alla luce di questi fatti, si può esaminare con maggiore efficacia la questione, sempre più rilevante sul versante sociale, dell’incontro fra gruppi e culture diverse. In generale, nello studio di questi temi, si possono mettere a confronto le prospettive di tipo individualistico, che puntano a spiegare i fenomeni in relazione alle caratteristiche e alle disposizioni delle persone, con le prospettive di tipo costruzionista e culturalista, che ne sottolineano la dimensione genuinamente e irriducibilmente sociale.
Nei capitoli precedenti abbiamo avuto modo di presentare da diversi punti di vista quello che si può considerare come l’aspetto costitutivo della psicologia sociale, vale a dire l’idea che la vita mentale delle persone sia profondamente influenzata, e per certi aspetti di fatto costituita, dalle relazioni sociali. Nel capitolo 1 abbiamo visto che questa idea, comune a tutte le differenti versioni della psicologia sociale, e secondo alcuni estensibile a tutta la psicologia in quanto tale, viene esaltata nella specifica versione della disciplina che qui si propone, basata su una profonda valorizzazione del radicamento culturale delle persone. Secondo tale visione, la mente ha una sua intrinseca natura socio-culturale, nel senso che funziona secondo modalità e attraverso processi e strumenti che sono in larga misura prodotti culturali, e questo è dovuto soprattutto al fatto che lo stesso processo di conoscenza consiste in una costante operazione di assegnazione di significato, basata sullo scambio comunicativo nell’ambito di un ambiente simbolico condiviso. Negli altri capitoli abbiamo visto come tale dimensione sociale della mente si esprima in tutte le sue manifestazioni, anche quelle che potrebbero a prima vista considerarsi più private e individuali: dal Sé alle emozioni, alla memoria, alle rappresentazioni. In particolare, nel capitolo 4, abbiamo visto come il confronto costante con l’altro costituisca uno dei tratti distintivi dell’essere umano, risultando fondamentale per lo sviluppo cognitivo e avendo per questo rappresentato un importante vantaggio evolutivo per la nostra specie.
In questo capitolo vedremo come questa importante dinamica sia profondamente marcata dalla dimensione di gruppo. Vedremo, in altri termini, come il confronto con l’altro assuma connotazioni speciali e una forza particolare allorché il confronto stesso avvenga non tra due persone singole, bensì tra due gruppi; e ciò sia nel caso di un effettivo incontro tra gruppi, magari in competizione, sia nel caso (molto più frequente, e di fatto praticamente costante nella nostra vita quotidiana) di un incontro anche tra singoli nel quale però ciascuno vede se stesso e l’altro in quanto appartenente a gruppi e/o categorie sociali. In un certo senso, si può dire che anche la relazione che ciascuno ha con se stesso sia strutturalmente caratterizzata dalle proprie appartenenze: ciascuno si vede in quanto membro di una serie di gruppi o categorie sociali, percepisce la propria situazione, coltiva progetti, ambizioni e motivazioni, e in definitiva investe energie vitali in relazione a tali appartenenze. Alla luce di queste considerazioni esploreremo alcuni dei territori più affascinanti della psicologia sociale: innanzitutto il tema della «identità sociale», con tutte le sue importanti implicazioni in termini cognitivi, affettivi e motivazionali; quindi gli stereotipi e il pregiudizio basato sulle appartenenze; infine le modalità dell’incontro tra i gruppi e le culture, con riferimento ai possibili effetti sia positivi che negativi, e con attenzione alle possibilità di ridurne gli aspetti di conflittualità (per approfondimenti, cfr. Mazzara 1996; Chryssochoou 2004).

La forza dell’identità sociale

Il tema dell’identità sociale è uno degli ambiti di studio più importanti della psicologia sociale, sia perché esprime bene quell’intersezione tra processi individuali e dinamiche sociali che abbiamo descritto come il territorio specifico della disciplina, sia per le ricadute applicative che esso può avere su importanti tematiche quali le relazioni intergruppi e la convivenza tra diversi. Sviluppatosi grazie al fondamentale impulso di Henri Tajfel e dei suoi allievi, questo filone ha costituito, a partire dagli anni ’70 del Novecento, uno degli aspetti qualificanti della reazione «europea» alla versione troppo individualistica della disciplina soprattutto negli Stati Uniti. Attualmente, dopo alcuni decenni di intenso lavoro scientifico teso a validare e raffinare i modelli teorici attraverso una straordinaria mole di ricerche empiriche nei più diversi contesti culturali, questo filone si può considerare a ragione come uno dei più interessanti e produttivi.

La categorizzazione come sistema di ordinamento del mondo

Una delle modalità fondamentali con le quali il nostro sistema cognitivo fa fronte alla complessità del mondo e all’enorme quantità di stimoli che deve trattare è la categorizzazione, vale a dire la tendenza a raggruppare gli oggetti della nostra conoscenza in insiemi che vengono percepiti come equivalenti. Tali oggetti di conoscenza possono essere oggetti fisici, ma anche concetti, eventi, idee, e ovviamente le altre persone, che sono per noi uno degli oggetti di conoscenza più complessi e affascinanti. Lo scopo di questa operazione è quello di economizzare le risorse del sistema cognitivo, rendendo più efficace e rapido il processo. Con la categorizzazione, infatti, si ottiene di non dover ripetere per ciascun singolo oggetto il faticoso percorso di raccolta e valutazione delle informazioni, dal momento che ciò può essere fatto (e molte volte è già stato fatto in precedenza) con riferimento all’intera categoria. Ad esempio, se ho un giudizio positivo nei confronti della pittura impressionista o del cinema neorealista, tenderò ad applicare tale giudizio alle singole opere o ai singoli artisti che fossero riconducibili a quella categoria, riducendo di molto, o annullando del tutto, la valutazione accurata del singolo caso.
Questo processo, a fronte dei suoi vantaggi in termini di rapidità ed economia di risorse cognitive, ha tuttavia alcune conseguenze importanti e potenzialmente rischiose: unificando gli oggetti, inevitabilmente si tende a perdere di vista le specificità dei casi singoli, i quali di fatto si confondono nella categoria di cui fanno parte; ciò avviene già a livello percettivo, prima ancora dunque che abbia inizio la valutazione dell’oggetto. Si verifica in pratica un fenomeno che si definisce accentuazione percettiva, che si può enunciare nel modo seguente: data una categorizzazione, si tenderà a considerare più omogenei di quanto non siano in realtà gli oggetti inclusi nella medesima categoria e più differenti di quanto non siano effettivamente gli oggetti inclusi in categorie diverse. Oltre a ciò, occorre poi considerare un altro fatto importantissimo, specie dal punto di vista costruzionista e culturalista: il giudizio che diamo di una determinata categoria di oggetti, e più in generale la stessa operazione di definizione dei confini categoriali – che possono essere più o meno ampi e inclusivi, più o meno rigidi o permeabili – solo in minima parte sono il frutto di un’esperienza diretta che ciascuno di noi ha individualmente con tali oggetti. In larga misura, invece, la definizione stessa della categoria e il giudizio che ne diamo risentono fortemente di processi di tipo sociale e culturale, continuamente rilanciati sul piano comunicativo.
La categorizzazione come processo di costruzione sociale Con riferimento all’esempio precedente, si può osservare che l’idea stessa di una corrente «impressionista» in pittura è tutt’altro che un dato oggettivo e incontrovertibile, considerato che vi vengono ricompresi artisti e stili che hanno anche poco in comune, e che su questo tema l’opinione degli esperti (come peraltro, all’epoca, degli stessi protagonisti) non è affatto univoca. Più che come dato oggettivo, la categoria in questione si presenta dunque come una costruzione sociale, utile allo scopo di semplificare l’interpretazione, ma che rappresenta l’esito sintetico di un complesso dibattito storico: è connessa con l’evoluzione dei gusti e della critica artistica, ed è comunque espressione di una rete di relazioni sociali. Ricordiamo, in proposito, che l’etichetta con cui la corrente artistica è nota fu adottata, in chiave polemica, allorché i pittori riuniti nella celebre esposizione «dei rifiutati» (cioè coloro che erano stati respinti dal circuito ufficiale della pittura francese della fine dell’Ottocento) fecero propria un’espressione che era stata usata nei loro confronti in tono dispregiativo. E non c’è dubbio, d’altro canto, che il mio modo di considerare i pittori impressionisti non potrà non risentire anche del modo in cui di questa corrente si è parlato negli ultimi tempi, nonché delle mostre che sono state organizzate e della risonanza che esse hanno avuto. Comunque, quale che sia l’origine delle categorie e anche, e forse soprattutto, in quanto esse risultano cariche di un significativo bagaglio di costruzione e di condivisione sociale, sta di fatto che una volta che una categorizzazione si è costituita, essa orienta la nostra conoscenza, a partire dalla percezione degli oggetti; sicché tenderò ad esempio a considerare Renoir e Monet più simili tra loro di quanto in realtà non siano, e a ritenere più grande di quanto in effetti non sia, ad esempio, la differenza tra gli impressionisti e gli espressionisti.
Se tutto questo è vero per gli oggetti fisici, a maggior ragione varrà per quegli speciali oggetti di conoscenza che per ciascuno di noi sono le altre persone. Rispetto alle altre persone noi sentiamo fortissimo il bisogno di avere elementi di giudizio rapidi ed efficaci, data l’importanza che ha per noi la relazione sociale. D’altro canto, però, le persone sono un oggetto di conoscenza molto complesso, fatto di innumerevoli elementi e fortemente connotato sul versante affettivo; è per questo che, nel rapportarci agli altri, tendiamo ad utilizzare massicciamente il processo di categorizzazione, e dunque a percepire le persone innanzitutto in quanto appartenenti a gruppi e categorie, i quali costituiscono un importante criterio di ordinamento e orientamento della nostra vita sociale. Il mondo sociale, in altri termini, ci appare articolato in insiemi omogenei di persone unificate da un qualche tratto. Alcune di queste suddivisioni sono più importanti e cariche di significato, come l’appartenenza etnico-culturale, la lingua, la religione, la famiglia, le ideologie, l’orientamento politico; ma anche il genere, l’età, l’orientamento sessuale, l’occupazione, la zona di residenza, e perfino aspetti molto più marginali come gli hobby, gli stili di consumo o la preferenza per una squadra di calcio, sono in grado di diventare potenti elementi di identificazione collettiva.
Identità sociale e autocategorizzazione Queste considerazioni non sono un patrimonio recente né esclusivo della psicologia sociale, dal momento che tanto le modalità di funzionamento della conoscenza quanto il ruolo potente della dimensione collettiva nella strutturazione del nostro sguardo sul mondo sono stati ampiamente esplorati nell’ambito delle altre discipline con le quali la psicologia condivide il compito di interpretare il comportamento umano. A partire dalla filosofia, e passando per la sociologia e l’antropologia, l’idea che noi guardiamo alla realtà organizzandola in insiemi dotati di senso ha accompagnato l’intero sviluppo delle scienze umane e sociali. Il contributo specifico che la psicologia sociale ha potuto dare a questa linea di pensiero è rappresentato dall’innesto fra le consapevolezze raggiunte circa il funzionamento dei processi cognitivi e una delle tematiche in cui è più evidente l’intersezione tra dinamiche individuali e dinamiche sociali, vale a dire i processi di formazione, mantenimento e cambiamento dell’immagine di sé.
Il concetto di identità sociale costituisce il nucleo più importante di tale contributo, intorno al quale si è sviluppato un ricco filone di studi, denominato appunto Teoria dell’identità sociale (Tajfel 1982; Abrams, Hogg 1990; Worchel et al. 1998; Ellemers et al. 1999; Capozza, Brown 2000). Seguendo Tajfel, possiamo definire l’identità sociale come quella parte dell’immagine di sé che ciascuno ricava dalla consapevolezza delle proprie appartenenze. Ciascuno di noi, infatti, pensa a se stesso in parte considerando le proprie specificità, vale a dire ciò che lo caratterizza e lo differenzia dagli altri, in termini di preferenze, abilità, abitudini, sensibilità, le quali traggono origine dalla propria storia e dalla propria irripetibile individualità. In parte, invece, ciascuno pensa a se stesso considerando le proprie appartenenze, vale a dire trasferendo su di sé le caratteristiche dei molteplici gruppi e categorie sociali ai quali partecipa, ma anche dei ruoli che ricopre, e dunque strutturando la propria autopercezione in relazione a quelle che sono le immagini e le aspettative che a tali appartenenze sono connesse.
In questo senso si può parlare di autocategorizzazione (Turner et al. 1987): ciascuno di noi tenderà a individuare, in ogni momento della propria esistenza, il livello di categorizzazione più idoneo a descrivere se stesso, facendo riferimento a differenti livelli di inclusività, da quello più personale a quello dei sottogruppi e dei gruppi, fino a quello più generale e sovraordinato dell’essere umano in quanto tale. Il passaggio dall’uno all’altro livello avviene sulla base della potenzialità che ciascun livello ha, in uno specifico momento, di adattarsi in modo accurato alla specifica situazione, il che si traduce in una maggiore o minore salienza di un particolare livello. Il tutto con una sorta di «antagonismo funzionale» fra i diversi livelli, nel senso che nella misura in cui uno dei livelli diventa più saliente, gli altri tendono ad affievolirsi. Centrale, in questo tipo di analisi, è il concetto di depersonalizzazione: nella misura in cui una determinata categoria diviene saliente, si tenderà a vedere sé stessi e gli altri come esemplari intercambiabili della stessa categoria, tutti in qualche modo assimilabili al prototipo della categoria stessa.
Una delle conseguenze del ruolo che le appartenenze svolgono nella definizione dell’identità è il fatto che noi tendiamo a estendere ai gruppi e alle categorie di cui facciamo parte l’intensa coloritura affettiva con la quale ciascuno di noi pensa a se stesso. Come sappiamo, ciascuno di noi fa un grosso investimento emozionale su se stesso, mettendo in atto strategie di innalzamento e salvaguardia della propria autostima (cfr. il capitolo 2). Dal momento che la dimensione sociale è così importante nella strutturazione della propria identità, ne consegue che tenderemo ad applicare anche ai gruppi che sentiamo nostri le strategie di protezione del Sé e di innalzamento dell’autostima che abitualmente utilizziamo per noi stessi, sviluppando nei confronti di tali gruppi un atteggiamento complessivamente più favorevole. Si realizza, in pratica, un deciso favoritismo per il gruppo di appartenenza, definito spesso, seguendo una tradizione sociologica, come ingroup, ...

Indice dei contenuti

  1. I. Natura e obiettivi della psicologia sociale
  2. II. Dalla percezione del mondo alla comprensione di sé
  3. III. Dagli atteggiamenti alle rappresentazioni sociali
  4. IV. L’incontro tra le persone
  5. V. La comunicazione interpersonale
  6. VI. Le relazioni nei gruppi
  7. VII. Pregiudizi, stereotipi e relazioni tra gruppi
  8. VIII. La dimensione storica e culturale dei processi psicologici
  9. Riferimenti bibliografici