Salento fuoco e fumo
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Salento fuoco e fumo

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Salento fuoco e fumo

Informazioni su questo libro

Strade antiche costrette da muretti a secco. Strade volute dalle vigne e dagli ulivi. Strade colorate dal rosso della terra arsa e dal bianco delle rocce calcaree.Ne ho visti di ulivi strani in vita mia, ma quelli di queste parti hanno forme fuori da qualsiasi logica progettuale, come se la natura li avesse affidati a un artista strambo che con le sue sculture vuole esprimere solo stupore. Gli ulivi sembrano listantanea di un movimento convulsivo. Alberi autolesionisti che si squarciano il ventre per creare caverne in cui vivono animali, insetti e folletti dai cappelli rossi. Alberi che annodano i propri rami per ingannare le simmetrie, e che anche quando il vento è assente e sono immobili appaiono fluidi e impetuosi come dervisci roteanti. Gli ulivi di queste brulle e arse pianure posano come divi esibizionisti che ostentano le proprie forme sicuri di essere unici.

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Informazioni

Lu sound system ete la BBC delli poveri

Ieu me recordu cce beddra ca era ’sta terra
quannu cieddri se curava de nui,
ncera menu denaru e puru menu miseria
e dru Salentu ca osce ieu nu troi chiui.
Casa mia
Vedere il mondo dalla sella di una bici è diverso. Vi rivelo un segreto: pedalare è come volare. La bici dopo alcuni istanti scompare. Sparisce pure il mio dialogo interno. Scompaiono i suoni della campagna, scompare il rumore delle mie pedalate, il fruscio dei copertoni che mordono il terreno.
È a questo punto, quando tutto intorno è silente, quando anche la bici scompare sotto le mie gambe, che mi sembra di volare. Sì, volare. Dolcemente volare. Chissà se Modugno andava in bici...
Da quando faccio le gare di cross country ho iniziato ad alimentarmi con criterio, riscoprendo la dieta dei miei nonni. Credetemi, per un atleta è il massimo. Non mangio più cadaveri rossi (carne rossa), tutt’al più un po’ di pollo due volte al mese, e mi perdoni il formaggio se oramai i suoi grassi raggiungono solo di rado i miei vasi sanguigni. Oggi mi nutro in modo sano, con verdure, cereali e legumi, e la mattina mi accontento di una colazione a base di caffè, banane, kiwi, arance e un cornetto.
E poi, essendo ciclista, mi dopo! Nel senso che uso sostanze dopanti che alterano le mie prestazioni. Il mio doping è assolutamente legale, e funziona bene ugualmente: io mi faccio di alga spirulina, un’alga che contiene un mucchio di vitamine B che, a quanto pare, annullano la stanchezza.
Che i pensieri ci danneggiano, l’ho capito in bici. Ho già detto che la sensazione più gratificante che si prova su una bicicletta è l’interruzione del dialogo interno: tradotto in parole, significa smettere di pensare, smettere di ascoltare quella voce dentro di te che parla, si arrabbia, simula discussioni talvolta improbabili, prevede, profetizza assurdità, ricorda, dimentica, sfida, si nasconde e chissà di cos’altro è capace. Pensiamo sempre, ininterrottamente. Bene, talvolta questi pensieri crescono di volume, diventano assordanti e insignificanti. E più si fanno assordanti, più sono insignificanti. Bisogna smettere di pensare per un momento, in un mondo con troppi pensieri e pochi pensatori – ripete sempre zio Maurizio.
Gianluca, il mio compagno di squadra, è un ottimo biker, dalla pedalata potente e continua, un passista insomma, mentre io sono uno scattista e vivo di soli agguati.
Lo conosco da quando eravamo piccoli. Vive a San Pietro Vernotico, un paese distante una decina di chilometri dal mio, e insieme a lui faccio parte di un team di bikers. La nostra squadra ha due obiettivi: le escursioni infrasettimanali, che giovano tanto all’umore quanto alle gambe, e poi le gare che ci permettono di passare intere domeniche in giro per il Sud Italia.
Il team è composto da trentaquattro bikers, quattordici hanno meno di quindici anni e sono la nostra speranza: durante le gare li “carichiamo” per spingerli a dare il massimo, durante la settimana cerchiamo di fargli usare il cervello, perché lo sport è inutile se non riesci a dargli una ragione. Molti di loro vivono nella 167, un quartiere degradato di San Pietro Vernotico, che in passato è stato uno dei centri di comando della Sacra Corona Unita.
Capirete anche voi che in questi casi la mountain bike diventa una sorta di prevenzione per i minori a rischio. Le gare permettono loro di conoscere altre storie, altre situazioni, altri coetanei che non parlano di compari, lupare bianche, rapine e borsoni da spostare da un punto all’altro del paese. E noi speriamo che li spingano a uscire, a tirarsi fuori dai quartieri violenti.
Noi gli insegniamo a pedalare, a rispettare le regole in gara, a imparare le tecniche e le discipline che consentono alle nostre bici di essere pedalate. Non è una scuola e non riceveranno alcun titolo, ma tornano a casa stanchi e con qualche idea in più.
Gianluca è uno di quei bikers dotati d’infinita pazienza, capace di portarsi in giro per gli sterrati tutti quei ragazzini chiassosi e brufolosi. Dovreste vederlo all’opera: è capace di gestirli con un solo sguardo, manco fosse un sergente di ferro. Però così i ragazzi crescono disciplinati.
Ma è un ruolo che si è ritagliato solo quando allena, perché Gianluca è soprattutto una persona gioviale e corretta, e se si comporta in modo inflessibile è solo perché conosce i quartieri degradati e sa bene che finché questi piccoli bikers avranno timore di arrivare in ritardo ai suoi allenamenti avremo la possibilità di sottrarli alla criminalità.
Quella mattina avevamo appuntamento per le 8 in punto sulla SS 16, all’uscita di Squinzano, dove di solito decidiamo se pedalare verso la costa o chiuderci nel circuito del Castello di Villa Elvira.
“Mare o Castello?”, domanda Gianluca.
“Ieri mare, oggi Castello”.
“Vada per il Castello. Però lo facciamo con i rapporti duri, guai a scendere sul trentadue, faremo tutto il circuito con il quarantaquattro!”.
“Ci sto! Però ti blocco il cambio e blocco anche il mio, così siamo sicuri di non imbrogliare”.
A questo punto molti di voi si staranno interrogando sul significato di ‘rapporti duri’, ‘trentadue’, ‘quarantaquattro’ ecc. ecc. Tranquilli, non stavamo dando i numeri e il ‘rapporto duro’ non è una performance pornosex tra ciclisti.
Qualcuno di voi disporrà di una bici dotata del cambio di velocità, quel meccanismo che permette di spostare la catena migliorando la pedalata. Persino le comuni bici da passeggio lo possiedono, serve per affrontare senza sforzi sia i tratti in pianura che quelli in salita.
Se avete presente una mountain bike o una bici da corsa, avrete intuito che essa si muove grazie alle vostre pedalate. Avrete anche notato che i vostri piedi poggiano sui pedali, che a loro volta fanno ruotare una ruota dentata, la guarnitura, che noialtri ciclisti chiamiamo ‘corona’. Per mezzo della catena la corona (le mountain bike di solito dispongono di tre corone dotate di 44, 32 e 22 denti) trasmette il moto rotatorio alla ruota posteriore, anch’essa dotata di una serie di piccole corone dentate raggruppate su un unico pezzo chiamato ‘pacco pignoni’, visibile al centro della ruota posteriore.
Detto questo, quando ci si appresta a scalare una salita, per farlo agevolmente e con il minimo dispendio di energie si usano rapporti leggeri: basta agire sulla leva del cambio e la catena si sposta sulla corona più piccola; al contrario, quando si affrontano discese e lunghi tratti in pianura, innestando la corona più grande si raggiungono velocità ragguardevoli usando un rapporto duro; se ne deduce che nei tratti misti è utile servirsi della corona intermedia. Semplice, vero?
Arrivati al Castello decidiamo di fare dieci giri a tutta velocità. Ogni giro dura oltre sei minuti e il nostro obiettivo è terminare i dieci giri in meno di un’ora.
Il Castello è situato sul ciglio di quella collinetta quasi impercettibile che ospita il mio paese. Si affaccia a ovest su una specie di depressione chiamata Valle della Cupa, che cupa non è affatto, anzi comprende la parte a nord-ovest del Salento – dove celebri vigneti si contendono ebbri primati – che a me pare il giardino di Dioniso, il fondatore del mio paese. E forse non è un caso che questo oceano di vigne si trovi a ovest di Trepuzzi, il luogo di Tripudio preferito dal nostro dio. Mi piace pensare che Dioniso avesse disposto di piantare le vigne in quei campi dalla terra scura per godere al tramonto del divino privilegio di paragonare il rossore del sole fuggente a quei grappoli di rubino a lui tanto cari, scorgendo in essi sacre analogie da tramandare a noialtri rincoglioniti di stronzate.
Il giardino intorno al Castello è stato progettato con cura. Io non capisco nulla di giardinaggio, ma Amadeus mi ha parlato spesso di questo posto: “Si respira un’aria fresca in ogni periodo dell’anno, le aiuole sono disseminate di rosmarino, mentre in alto le chiome dei pini e degli eucalipti profumano e irrorano di ossigeno l’aria circostante. I cipressi a sud assicurano frescura in ogni momento, mentre le rose selvatiche, d’accordo con i fiori di lavanda, donano ai viali profumi dolcissimi. E poi pini di Aleppo, enormi agavi dalle foglie insolitamente larghe, quasi preistoriche, cespugli di asparago, corbezzoli, rovi di more: è tutto un ben di Dio! Passeggiare per i viali del Castello di Villa Elvira equivale a riprendersi la salute, altro che beauty farm! Vai a pedalare in quei viali, così depuri i polmoni dalla diossina che ci fanno respirare in questo schifo di Salento! Se tutti i parchi fossero come Villa Elvira, la gente camperebbe fino a cent’anni!”.
Mi sento carico come un bisonte, se ne è accorto anche Gianluca, che di solito alla fine dei dieci giri mi stacca sempre di mezzo giro. E infatti lo precedo. Lui oltrepassa la linea di arrivo, raccoglie il fiato e fa: “Hai cambiato doping?”.
Mens sana in corpore sano! Merito di Paco Ignacio Taibo II. Ho appena finito di leggere un suo libro sulla rivoluzione messicana. Grande Taibo, racconta fatti realmente accaduti e per renderli più vivi e drammatici li condisce con sentenze di tribunali, comunicati stampa, messaggi di spie e agenti segreti, i pizzini dei rivoluzionari, e tante, tantissime puttane. D’altronde, s’è mai vista una guerra senza puttane? A proposito di libri, devo ancora leggere quello su Trieste-Istanbul in bici. Sarebbe magnifico avventurarsi in un viaggio come quello di Paolo Rumiz e Altan”.
“Senti, c’è qualcos’altro che vorrei farti leggere. Si tratta di documenti. Documenti che nessuno conosce. Su imbrogli, occultamento di materiale tossico in mare, tangenti per appalti di pulizia, smaltimento illecito di rifiuti tossici in Calabria. Hai saputo, no?”.
“Ho letto qualcosa sui giornali, e me ne ha parlato pure mio zio. Ora lavora per un altro quotidiano e so che sta facendo delle indagini”.
“Ascolta, questa roba tu la devi far leggere a tuo zio”.
“Ma insomma, che roba è?”.
“Imbrogli tra politici e mafiosi, un centinaio di pagine con le analisi dei terreni e delle falde circostanti alla Centrale, analisi su carciofi, uva, olive e poi carne, latte, formaggi. Ci trovi elenchi di nomi, luoghi, cifre di denaro in entrata e in uscita. Queste carte le deve vedere gente esperta, e con le palle”.
“Ma come hai avuto questo materiale?”.
“Da mio fratello Michele. Lavora per una ditta che ha appalti alla Centrale elettrica. Sono già due anni che sta lì. Lui e i suoi colleghi si lamentano spesso con i loro capi perché non sanno cosa trasportano. Hanno provato a mettere in mezzo i sindacati, ma quelli hanno fatto capire che è meglio lavorare e stare zitti. Mio fratello ultimamente fa tre viaggi in Calabria ogni settimana: parte carico e torna scarico. Dice che sembra gesso, ma quando lo scaricano nelle cave si sente un puzzo asfissiante. Molti suoi colleghi tornano a casa con il sangue che cola dal naso, altri con i capillari degli occhi che scoppiano mentre sono alla guida di quei bisonti. Un giorno mio fratello stava facendo manovra nel parcheggio della ditta quando il figlio del capo lo ferma e gli chiede un passaggio col camion per farsi portare in un altro punto del cantiere. Era carico di fogli, cartelle, planimetrie. Non s’è nemmeno accorto che una cartellina era scivolata sotto il sedile. Mio fratello l’ha trovata un paio di giorni dopo, mentre lavava ’dhru cazzu de camion. Ha capito subito che si trattava di documenti compromettenti: ci sono tutte le commesse di viaggio del materiale tossico in Calabria. Se n’è fatto una copia, e ha rimesso i fogli originali sotto il sedile del camion, non si sa mai”.
Zio Maurizio apre il browser e inizia a consultare siti dei ministeri, della Provincia, della Regione, Camera di Commercio, elenco fornitori, elenco finanziamenti pubblici o comunitari, legge 488. Gli ho portato il materiale, gli ho raccontato tutto. Improvvisamente impallidisce. Mi invita a seguire il suo sguardo: sul monitor c’è il sito ufficiale della Regione, tra i vari bandi ce n’è uno che riguarda i servizi alla Centrale elettrica. Scorro i nomi dei segretari e sottosegretari con mansione di controllo sulle attività di smaltimento della Centrale. Impallidisco pure io. Perché in quell’elenco c’è Lucio, Lo Spaccacoglioni.
Zio Maurizio si attacca al cellulare, contatta amici e colleghi. “Alla Centrale stanno facendo imbrogli. I controllori dormono, coprono illeciti. C’è di mezzo Lucio. D’altra parte solo un politico come lui è in grado di aggirare le leggi in materia”.
Cazzo! Adesso mi spiego l’Hummer di suo figlio, la villona a Porto Cesareo c...

Indice dei contenuti

  1. Il mondo cambia a San Cataldo
  2. A Trepuzzi ci la ’rizza, la ’ntizza
  3. Tratturi e masserie dell’Appia Antica
  4. Tutti gli ulivi di Otranto
  5. Cirri blu e magenta al largo di Sant’Isidoro
  6. Lu sound system ete la BBC delli poveri
  7. Gli hacker di Santu Paulu
  8. Revolución a Cerano
  9. Ringraziamenti