La comprensione come problema
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La comprensione come problema

Il punto di vista cognitivo

  1. 176 pagine
  2. Italian
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La comprensione come problema

Il punto di vista cognitivo

Informazioni su questo libro

Anni di ricerca sul campo e uso degli strumenti teorici della psicologia cognitiva: con queste premesse il volume indaga il complesso ambito della comprensione dei testi, dell'interazione fra chi scrive e chi legge e dell'empatia come componente importante nel processo educativo.

«L'apporto primo di quest'opera e, del resto, dell'intero percorso intellettuale e scientifico dell'Autrice è farci intendere che la comprensione della lettura, il capire ciò che si legge, va capito e compreso a tutto tondo, dunque sfruttando quanto proviene da ambiti di ricerca che gli assetti accademici tengono separati: teorie degli psicologi cognitivisti, ricerche e riflessioni della pedagogia, tecniche di verifica degli apprendimenti e della comprensione, analisi della comprensione dei testi letterari, teorie semiotiche e non semiotiche della letteratura, linguistica teorica e sociolinguistica, esperienze di redazione di testi altamente leggibili. Di qui la grande apertura pluridisciplinare del suo lavoro.»

Dalla Prefazione di Tullio De Mauro

Domande frequenti

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Informazioni

IV. Dall’automatismo alla consapevolezza e ritorno: prospettive educative

Dalle puntualizzazioni che precedono possono essere tratti alcuni principi regolativi ai quali dovrebbe ispirarsi un intervento educativo che avesse come obiettivo quel controllo delle integrazioni inferenziali che è risultato così cruciale nella comprensione dei testi di ogni genere. Tale obiettivo viene considerato condizione imprescindibile anche rispetto all’obiettivo, legato solo al genere letterario, che corrisponde alla capacità di apprezzare le modalità espressive più originali e creative. Infatti quest’ultima capacità ha come condizione necessaria il possesso di un’abilità di comprensione che sia tale da garantire un’elaborazione automaticamente corretta delle informazioni ricavabili dal testo, e quindi anche un’esecuzione automatica delle inferenze connettive necessarie alla sua coerenza locale.
Solo il possesso di una buona expertise di lettore di testi in generale rende possibili le impressioni di piacevole stupore di fronte a modalità espressive che si staccano dalla comunicazione comune, più o meno stereotipata, o semplicemente orientata dagli schemi preesistenti. Solo la preesistenza di determinate premesse cognitive rende possibile, da parte del lettore, una risposta che sia anche apprezzamento di quegli stacchi dal prevedibile che caratterizzano i testi di valore poetico-letterario.
Sarebbe assurdo pretendere di fornire quelle premesse cognitive a chi ne è privo nel momento stesso in cui lo si pone a contatto con il testo letterario, nel momento in cui il lettore vive il primo impatto con la comprensione del testo. Spiegargli perché un testo è originale e inaspettato sarebbe come spiegare una barzelletta a chi non l’abbia capita, e quindi non l’abbia apprezzata in prima battuta, e pensare così di aiutarlo a divertirsi. Non si intende pertanto proporre alcun paradigma esemplare di lettura di testi letterari: la ricostruzione delle condizioni cognitive della libera e piacevole fruizione del testo poetico-letterario, tentata nel capitolo precedente, può essere considerata un’ulteriore argomentazione a favore della libertà del lettore rivendicata da Enzensberger e Berardinelli (2006).
Che fare quindi per rendere più accessibile al lettore, mediante il miglioramento della sua abilità di comprensione della lettura, il piacere del testo creativo, la capacità di trarre dalla libera lettura di testi creativi un piacere che si aggiunga a quello più comune e condiviso legato al contenuto, all’intreccio e ai personaggi, e che sia intrinsecamente connesso con le qualità espressive del testo stesso?
La direzione in cui muoversi è quella che nella ricerca sul pensiero produttivo è stata chiamata détour o Umweg, una direzione che diverge rispetto alla meta che si vuol raggiungere e che proprio per questo rappresenta una soluzione difficile del problema. L’obiettivo che può essere perseguito direttamente – apparentemente deviante rispetto a quello di educare al piacere del testo letterario – è la già anticipata abilità di comprensione che è condizione cognitiva della capacità di trarre divertimento dal carattere inaspettato di certe forme di espressività.
Formare lettori esperti nella comprensione di testi in generale è l’obiettivo che va perseguito direttamente e può avere benevole ripercussioni anche sulla capacità stessa di provare piacere nel leggere un originale testo letterario.
Ovviamente, sostenendo che certe premesse cognitive sono una condizione necessaria perché il lettore possa divertirsi con la lettura di quel tipo di testi, non si intende affatto escludere che tale lettura possa essere arricchita grazie al contatto con la critica letteraria o la semiologia dei testi, con conoscenze storico-letterarie, storico-linguistiche, con contributi critico-interpretativi. Quanto qui si intende sottolineare è che queste forme di comunicazione culturale hanno senso solo qualora siano rivolte a un lettore che abbia in sé le premesse cognitive per un libero e autonomo apprezzamento del testo nei suoi caratteri peculiari di originalità e novità. Altrimenti quella comunicazione – avvenga tramite saggi e articoli di giornale o tramite testi e lezioni scolastiche – rischia di essere una noiosa imposizione di punti di vista che non trova nel destinatario le premesse di esperienza cognitiva ed emozionale necessarie per una libera rielaborazione personale.

1. Dall’errore di comprensione all’autocorrezione come problem-solving

Una volta stabilito che la capacità di apprezzare le forme di espressione letteraria non possa essere un obiettivo da perseguire direttamente, ma solo una volta che sia stata acquisita la capacità di comprensione di testi in generale, si tratta di ricavare dalla ricerca psicocognitiva passata in rassegna nei capitoli precedenti alcuni principi regolativi che garantiscano un processo di acquisizione di questa capacità tale da favorire e non indebolire ulteriormente la motivazione alla lettura, ivi compresa quella di testi letterari.
Il processo di stimolazione dell’abilità di comprensione della lettura viene definito anzitutto in base a un principio fondamentale: va incoraggiata la motivazione autonoma dell’allievo e vanno pertanto accuratamente esclusi momenti di esercitazione imposta dall’esterno. L’intervento di stimolazione deve puntare su quell’affinità tra certi processi di elaborazione dei testi e le situazioni di problem-solving in cui, secondo Kintsch (1998), rientra la categoria di inferenze che richiederebbe un impegno cognitivo consapevole da parte del lettore. Il processo che ha un carattere consapevole, strategico, intenzionale, non può essere stimolato se non mediante compiti che abbiano lo stesso carattere. Questo nesso ha un rilievo che va al di là della definizione data da Kintsch (1998) della quarta categoria di inferenze.
Infatti, non può non essere consapevole il processo attraverso il quale ci si proponga di stimolare l’intero complesso dei processi di integrazione inferenziale coinvolti nella comprensione del testo al livello cruciale in cui le informazioni testuali interagiscono con le conoscenze pregresse. Un livello di elaborazione al quale ogni successivo prodotto dell’elaborazione stessa possa essere confrontato con la superficie linguistica del testo, in cui la correttezza delle integrazioni cognitive possa essere verificata mediante ripetuti riscontri nei ‘dati’ linguistici. L’assunzione basilare dell’intervento di stimolazione di questa abilità è che il coinvolgimento dell’allievo in un’impresa formativa che interessi i processi cognitivi funzionali alla coerenza delle rappresentazioni mentali ricavate dal testo si può ottenere solo a condizione di puntare sulla sua iniziativa attiva e consapevole in tutto il corso di quell’impresa.
Per l’apprendimento di corrette strategie di comprensione dei testi devono essere fatte valere le condizioni che Kintsch (1998) assume, dichiarandosi d’accordo con Dewey (1897), come indispensabili per l’apprendimento in generale: «studenti che hanno i loro propri obiettivi di apprendimento, che si pongono i loro personali interrogativi e non si limitano a rispondere passivamente a quelli che percepiscono come interrogativi dell’insegnante irrilevanti e arbitrari, tendono ad essere studenti attivi che non si accontentano di capire superficialmente [...] ogni apprendimento dovrebbe essere parte di un’attività significativa in cui lo studente si coinvolge» (Kintsch, 1998, p. 329).
Sulla base di altre considerazioni di Kintsch (1998), si possono anticipare alcune componenti di questo ruolo attivo dello studente in termini di processi cognitivi: esso consisterebbe, primo, nell’avere disponibili e attive nella mente quelle conoscenze pregresse che possano operare come «ganci» esistenti nella memoria a lungo termine ai quali possano essere «appese» le informazioni nuove da apprendere (ivi, p. 328); secondo, nel «fare inferenze, riempire lacune, generare macrostrutture e fare altre elaborazioni» (ivi, p. 330). Ma «sono necessarie ulteriori ricerche per determinare con maggior precisione le condizioni più avanzate dell’efficacia delle strategie destinate ad indurre apprendimento attivo». E si tratterebbe di «un’area di ricerca che sembra pronta per passare dal laboratorio alla prassi» (ibid.).
La fattibilità di questo passo fuori dal laboratorio sarebbe dimostrata dalla ricerca con cui E. Kintsch e W. Kintsch (1995) hanno segnalato la possibilità di ovviare all’inconveniente incontrato dalla ricerca di McNamara, E. Kintsch, Songer e W. Kintsch (1996). Come si è già visto, in quella ricerca era risultato tra l’altro che i testi più facili, nel senso di più esplicitamente coerenti, avevano favorito l’apprendimento di studenti con scarse conoscenze pregresse, mentre gli studenti con buone conoscenze pregresse avevano ottenuto un migliore apprendimento con i testi più difficili (perché meno esplicitamente coerenti) in quanto richiedevano da parte del lettore processi di integrazione per la costruzione di una rappresentazione coerente e quindi una maggiore attivazione mentale. La difficoltà del processo di comprensione avrebbe reso i lettori più attivi e quindi più disponibili le loro conoscenze pregresse o «ganci» a interagire con le informazioni via via ricavate dal testo.
È una strategia molto semplice quella con cui E. Kintsch e W. Kintsch (1995) sono riusciti a rendere più attivo il ruolo di studenti che possedevano buone conoscenze cui «agganciare» le informazioni del testo che stavano leggendo, ma tendevano a non usarle nel corso della lettura dei testi più facili. La strategia consisteva nell’invitare gli studenti a «commentare la loro comprensione via via che leggevano ogni singola frase»: «così costringemmo i lettori a essere elaboratori attivi e non consentimmo ai lettori con buone conoscenze di assumere strategie di elaborazione superficiale. In queste condizioni [...] il testo più facile (con alta coerenza) funzionò altrettanto bene, o anche meglio, di quello più difficile (con bassa coerenza) nel caso di tutti i lettori» (ivi, p. 320).
L’attivazione mentale che nell’esperimento di McNamara, E. Kintsch, Songer e W. Kintsch (1996), in assenza di compiti ulteriori, era garantita dalla difficoltà del compito di leggere il testo, nella nuova condizione era assicurata dal semplice invito a «commentare» il prodotto dei propri processi di elaborazione dopo ogni singola frase. Grazie a questo invito, e all’attivazione che ne conseguiva, non c’era più bisogno di intralciare in qualche modo il processo di lettura perché esso assumesse la necessaria profondità.
La direzione di ricerca tracciata da Kintsch trova significative integrazioni soprattutto da parte del filone di ricerca che ha il merito di aver dimostrato sperimentalmente l’esistenza di una motivazione intrinseca ai processi cognitivi, importante motivazione che conferisce all’apprendimento un’efficacia che non è comparabile con quella ottenuta con forme di apprendimento motivate estrinsecamente (Deci e Ryan, 1985; Ryan e Deci, 2000).
Secondo tale orientamento, l’autonomia sarebbe uno dei bisogni umani fondamentali e per questa ragione incoraggiare l’autonomia degli studenti nel processo di apprendimento avrebbe come effetto l’aumento del loro sforzo mentale, del loro livello di attenzione e di persistenza nel corso dello studio. Viceversa, l’uso tradizionale di premi e punizioni, in quanto mette gli studenti sotto il controllo del desiderio di evitare le punizioni e di ottenere i premi, comporta la frustrazione del bisogno di autonomia e il sacrificio della motivazione intrinseca, con conseguenze negative in termini di impegno mentale attivo.
La fondamentale assunzione del nesso tra motivazione intrinseca ed efficacia del processo di apprendimento trova riscontro anche nelle analisi di chi preferisce utilizzare il concetto di interesse (Boekaerts e Boscolo, 2002). Gli studenti dotati di un alto grado di interesse in un determinato dominio «si impegnano in quel dominio per il piacere di farlo», «la qualità della loro interazione con il materiale è più elevata» e tutto questo fa sì che essi «usino meno ripetizioni e più strategie di elaborazione, cercando nuove informazioni e riflettendo di più sul materiale» (ivi, p. 377).
Il nesso tra ruolo della motivazione intrinseca e definizione della relazione del docente con lo studente è stato messo in luce anche da chi (Assor e Kaplan, 2001; Assor, Kaplan, Kanat-Maymon e Roth, 2005) ha distinto tra insegnanti che controllano direttamente e insegnanti che invece controllano in modo indiretto l’apprendimento dei propri studenti. Questi ultimi insegnanti sono caratterizzati da «comportamenti che sostengono l’autonomia, fornendo opportunità di scelta e proclamando l’importanza e l’accettabilità delle critiche da parte degli studenti stessi» (Assor et al., 2005, p. 398) e hanno così maggiore probabilità di sollecitare la motivazione intrinseca e il conseguente impegno intensivo nello studio da parte degli studenti. Questo tipo di comportamento è decisamente contrapposto al controllo diretto che consiste nel «non permettere agli studenti di procedere con il ritmo preferito, impartendo continuamente direttive o non consentendo loro di esprimere opinioni diverse da quelle espresse dal docente» (ibid.).
Se esistono dissensi circa l’assunto che la motivazione estrinseca sollecitata dal sistema di premi e punizioni interferisca con l’azione della motivazione intrinseca (Hidi, 2006), c’è comunque consenso circa la definizione della motivazione intrinseca come risorsa motivazionale potente per un apprendimento efficace, in quanto mette a disposizione dell’apprendimento un grado particolarmente elevato di attenzione e sforzo mentale e quindi comporta un tasso minore di fatica nel processo di apprendimento.
Se un primo modo per favorire l’attivazione auspicata da Kintsch riguarda il ruolo che deve assumere l’istruttore nella situazione di apprendimento, e precisamente un comportamento che incoraggi l’autonomia dello studente, la sua libera scelta del ritmo e della strategia nell’affrontare un determinato compito di apprendimento, un secondo modo va cercato nelle caratteristiche del compito stesso: per garantire un ruolo attivo, di iniziativa, da parte dello studente, questo compito dovrebbe, come già accennato, assomigliare il più possibile a una situazione di problem-solving e non comportare invece esercizi che richiedano di rispondere a domande poste da altri.
Non si intende negare che altri interessanti progetti di stimolazione dell’abilità di comprensione della lettura (De Beni e Pazzaglia, 1991, 1995; Pazzaglia, Moè, Friso e Rizzato, 2002; De Beni, Cornoldi, Carretti e Meneghetti, 2003) abbiano l’efficacia che del resto hanno dimostrato di avere; non si intende negare la loro funzionalità nei confronti di certi obiettivi di apprendimento. Quella che è in discussione è la loro conciliabilità con l’esigenza di promuovere la massima attivazione da parte dello studente che apprende e quindi quella massima autonomia che è resa possibile dalla motivazione intrinseca. Se per molti allievi tale autonomia è facilmente realizzabile in situazioni collettive di classe scolastica, le condizioni per la sua realizzazione diventano ben più impegnative qualora si intenda garantire effettivamente la motivazione intrinseca di allievi svantaggiati per deprivazione socioculturale, a proposito dei quali il problema della motivazione all’apprendimento acquista una drammaticità che è al centro di queste note. Tale drammaticità diventa particolarmente evidente solo qualora si adotti quell’osservazione fenomenologica dei processi di lettura di questo tipo di allievi di cui si cercherà qui di dare qualche documentazione. Nelle considerazioni che seguono si terrà presente un tipo pa...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Introduzione
  3. I. Seguendo la mente che legge un testo
  4. II. Prevedere (e risolvere) problemi di comprensibilità
  5. III. Condizioni cognitive del piacere del testo
  6. IV. Dall’automatismo alla consapevolezza e ritorno: prospettive educative
  7. Epilogo. Condizioni cognitive della percettibilità dell’empatia
  8. Riferimenti bibliografici