Paradigmi dell'uguaglianza
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Paradigmi dell'uguaglianza

  1. 182 pagine
  2. Italian
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Paradigmi dell'uguaglianza

Informazioni su questo libro

L'evoluzione del concetto di uguaglianza nell'analisi filosofica sulla natura degli Stati sovrani, a partire dalle teorie seicentesche fino alle moderne formulazioni del welfare State.

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Informazioni

Capitalismo, classi e democrazia

Progresso economico e nuove ineguaglianze

Se ci spostiamo dalla Francia in Inghilterra la visione ottimistica del progresso e della sua azione sulle ineguaglianze risulta oscurata da non poche ombre, qui le nuove forme di organizzazione della produzione hanno prodotto una situazione caratterizzata da una marcata polarizzazione sociale e da nuove forme di dipendenza e di pauperismo: i fenomeni che sono oggetto delle riflessioni teoriche più significative degli autori inglesi sono la progressiva dequalificazione di una serie di attività lavorative, gli effetti demografici del progresso economico e gli effetti evolutivi della concorrenza.
Da un lato la divisione del lavoro, che rappresenta la molla fondamentale del progresso, riduce l’attività lavorativa all’indefinita ripetizione di un numero assai limitato di operazioni1, provocando un declino delle capacità professionali (e al limite delle stesse capacità intellettuali), dall’altro la superiorità competitiva delle produzioni industriali mette fuori mercato una serie di piccoli produttori indipendenti, depositari di capacità e di conoscenze superiori a quelle degli operai che ne prendono il posto, ma non trasferibili in altri impieghi, e determina quindi quella che, usando una terminologia moderna, potremmo chiamare una perdita di capitale umano.
Processi demografici e ineguaglianze. L’opinione prevalente fra gli autori della prima parte del XIX secolo è che l’impoverimento delle classi lavoratrici non sia un fenomeno transitorio, ma la risultante quasi necessaria della combinazione di una serie di fattori economici e demografici che trova espressione in una ‘legge della popolazione’ la cui formulazione più nota si deve a Malthus2.
Tale legge combina l’ipotesi di rendimenti decrescenti, e quindi di salari che sono una funzione decrescente del livello della popolazione (in particolare della numerosità delle classi lavoratrici), con l’idea che, per effetto congiunto dell’allungamento della vita e dell’incremento delle nascite (o delle sopravvivenze alla nascita), un aumento del livello dei salari reali porterebbe a un incremento della popolazione. Dall’interazione di questi due fattori risulterebbe, tanto per i salari come per la popolazione, un livello di equilibrio che tende a mantenersi sostanzialmente stabile nel tempo: un aumento dei salari oltre tale livello o una loro diminuzione al di sotto di esso produrrebbe rispettivamente una tendenza all’incremento o al decremento della popolazione che si arresterebbe solo quando i salari fossero tornati al livello di partenza.
Tale equilibrio non sarebbe alterato dallo sviluppo delle forze produttive, in quanto gli effetti di innovazioni tecnologiche o dell’accumulazione di capitale si tradurrebbero in incrementi demografici senza durevoli conseguenze positive per i salari e le condizioni di vita delle classi lavoratrici: il solo mezzo per ottenere un miglioramento di queste ultime starebbe quindi in una riduzione del tasso di natalità (che Malthus riteneva possibile attraverso mutamenti dei costumi che portassero a ritardare di qualche anno i matrimoni) in seguito al quale la popolazione e i salari verrebbero a stabilizzarsi a un livello rispettivamente più basso e più alto di quelli che si verificherebbero altrimenti.
La relazione che la teoria di Malthus stabiliva fra progresso economico e andamenti demografici ha ricevuto nel corso del tempo sia conferme sia smentite3 e continua a essere oggetto di vivaci dibattiti, soprattutto con riferimento ai paesi sottosviluppati e al nesso fra crescita economica e risorse naturali limitate. Caduca si è rivelata l’idea, accettata dalla maggior parte degli economisti (soprattutto inglesi) contemporanei di Malthus, secondo la quale i salari reali erano destinati, a causa dei meccanismi demografici, a oscillare intorno a un livello costante, definito dalle condizioni di sussistenza, e cioè tale da assicurare la riproduzione dei lavoratori non solo come individui, ma anche come gruppo, attraverso le generazioni. Di questo fenomeno – più immaginario che reale – Marx ha dato una spiegazione diversa, riconducibile alla presenza permanente di una massa di lavoratori disoccupati (un «esercito industriale di riserva») continuamente alimentata dalla progressiva sostituzione di macchine a lavoro umano e dal meccanismo delle crisi, in forza del quale aumenti dei salari, comprimendo i profitti, avrebbero arrestato temporaneamente l’accumulazione, generando una carenza di domanda (di investimenti) e quindi un calo della produzione e dell’occupazione.
Processi selettivi ed accentuazione delle ineguaglianze. La teoria della popolazione di Malthus ha influenzato Darwin, la cui teoria dell’evoluzione della specie ha a sua volta esercitato un notevole influsso sul pensiero sociale del XIX secolo (soprattutto in Inghilterra, ma in misura significativa anche in Italia), dando vita addirittura a una corrente che va sotto il nome di darwinismo sociale.
Rispetto alle teorie settecentesche che avevano messo in evidenza soprattutto gli aspetti diffusivi del progresso, di generalizzazione dei benefici e di attenuazione delle ineguaglianze, i paradigmi di tipo evolutivo sottolineavano il ruolo di meccanismi di selezione che operavano in senso cumulativo dando vita a forme di polarizzazione tanto nella sfera economica e dei mercati quanto a livello individuale.
1) Nel primo caso la diffusione e la generalizzazione dei risultati e delle pratiche migliori poteva determinare effetti di tipo concentrativo più che diffusivo: la competizione delle imprese fa sì che sui mercati a parità di prezzo rimangano solo i prodotti qualitativamente migliori e a parità di qualità solo quelli realizzati a costi più bassi; come risultato di ciò le imprese più efficienti allargano la loro quota di mercato, e possono in molti casi trasformarsi in monopolisti (o in membri di un ristretto gruppo di oligopolisti).
2) A livello individuale un successo iniziale allarga la gamma delle possibilità e delle occasioni dei soggetti più fortunati e crea le premesse per ulteriori successi, mentre una partenza infelice può immettere in un circolo vizioso di ulteriori insuccessi o di declino relativo o assoluto. Tali vantaggi tendono non solo a cumularsi per i soggetti che ne godono, ma a trasmettersi a nuovi soggetti, per via ereditaria – attraverso meccanismi che sono in parte biologici e in parte sociali. Nel mondo animale, e in una certa misura anche nelle società primitive, la selezione opera in modo più elementare, i meno capaci o meno forti semplicemente muoiono e vengono esclusi dai processi riproduttivi, solo i più adatti sopravvivono e si riproducono e si hanno quindi un progressivo rafforzamento della specie e un innalzamento del livello medio delle capacità (finché l’espansione non urta qualche barriera esterna che ne arresta lo sviluppo o scatena addirittura un processo involutivo); nelle società più sviluppate e relativamente pacifiche i processi selettivi di eliminazione dei più deboli vengono in gran parte meno, i membri dei gruppi più svantaggiati non solo rimangono in circolo, ma manifestano spesso, come appunto aveva sostenuto Malthus, tassi di riproduzione più elevati, aumenta quindi il numero di quanti nascono in condizioni sfavorevoli e si forma un’ampia massa di individui che vivono in situazioni di privazione (assoluta o relativa) e che si sentono esclusi e manifestano ostilità nei confronti dei gruppi che occupano le posizioni socialmente preminenti e delle istituzioni che consentono loro di mantenere ed espandere i loro privilegi.
Nuove forme di nazionalismo. Un ulteriore colpo alla visione ottimistica dei primi liberali venne nel corso del XIX secolo dal fatto che la liberalizzazione del commercio internazionale, da essi auspicata e considerata insieme sicura fonte di progresso e premessa materiale per lo sviluppo di relazioni pacifiche tra le nazioni4, stentava a realizzarsi e che alle screditate politiche mercantiliste dei secoli precedenti non faceva seguito l’adozione del liberoscambismo bensì una nuova forma di protezionismo, mirante non più all’avanzo commerciale e all’accumulo di metalli preziosi, ma alla promozione di industrie nazionali.
In vista di questo obiettivo le politiche commerciali venivano sempre più assumendo, seppure in forme diverse da paese a paese, la forma non della semplice imposizione di dazi, ma del diretto intervento dello Stato, come fornitore di servizi, acquirente di beni, promotore e finanziatore di grandi progetti d’investimento (ferrovie, strade, canali, porti... e, sempre più nel corso del secolo, armi) e in alcuni casi come diretto produttore industriale.
Con il passare del tempo e con la presa di coscienza del carattere durevole, o addirittura permanente, dei fenomeni di polarizzazione o di impoverimento cui abbiamo accennato le risposte alle minacce derivanti dalle tensioni sociali sempre più diffuse e acute venivano cercate non più nel progetto originario di uno Stato minimo e di una estensione delle libertà individuali, ma in una progressiva espansione dei compiti dello Stato nella sfera della produzione5, in quella sociale e in quella della politica di potenza, vista come sbocco necessario delle potenzialità e delle tensioni interne.

Democrazia e uguaglianza: Tocqueville

La fama di Tocqueville è legata soprattutto alle sue analisi delle istituzioni politiche e della democrazia, in particolare di quella americana, meno noto è il fatto che nel suo pensiero il tema della democrazia si intreccia strettamente con quello dell’uguaglianza e che per lui i due termini designano in fondo solo due aspetti di un medesimo fenomeno.
Per Tocqueville l’uguaglianza costituisce un fenomeno unitario anche se multiforme, una sorta di destino provvidenziale che rappresenta «insieme il passato e l’avvenire della nostra storia»6. La sua opera più celebre può essere letta come una sorta di fenomenologia dell’uguaglianza scritta «sotto l’impressione di un terrore quasi religioso, sorto [...] alla vista di questa irresistibile rivoluzione che ha avanzato per tanti secoli attraverso ogni ostacolo e oggi ancora procede in mezzo alle rovine da essa stessa prod...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. L’epoca della formazione degli Stati nazionali.Hobbes, Spinoza, Locke
  3. L’epoca della Rivoluzione francese
  4. Capitalismo, classi e democrazia
  5. Un nuovo contesto storico e teorico
  6. Bibliografia
  7. L’autore