Domani nella battaglia pensa a me
(maggio)
Per anni, quando in occasioni pubbliche, interviste, presentazioni, conferenze mi hanno chiesto di raccontare la storia della mia casa editrice, l’ho fatto iniziando con una battuta: «Nella primavera del 1994 anche minimum fax decise di scendere in campo».
Ciò che voglio lasciar intendere citando la famigerata espressione con cui Silvio Berlusconi annunciò il suo debutto in politica è che se verso la metà degli anni Novanta c’è stato in Italia un fermento editoriale di enorme rilevanza, personalmente intravedo fra le cause che hanno scatenato l’esplosione dell’editoria indipendente – oltre a motivazioni da ricercare all’interno del mercato editoriale stesso – anche una forte pulsione esterna, di matrice politica.
Ora per esempio mi trovo, come ogni maggio, fra gli stand della Fiera del libro di Torino e, come ogni maggio, faccio la piacevole scoperta di decine e decine, forse centinaia di nuove case editrici. Marchi, progetti, libri, autori che solo un anno prima, alla precedente fiera, non esistevano. E allora penso a quando anche noi abbiamo cominciato. Come eravamo? Avevamo la stessa faccia rilassata, lo stesso entusiasmo? Eravamo anche noi un po’ spaesati, con così pochi libri, e con uno stand così piccolo? Eravamo chiari oppure confusi circa il nostro progetto editoriale? Sgomitavamo per farci notare da un giornalista o uno scrittore famoso che passava davanti al nostro stand? E dovevamo spiegare a tutti i visitatori chi eravamo, cosa facevamo, e perché? Lo facevamo solo per amore dei libri o per altre ragioni? E che anni erano quelli?
Be’, quelli intorno alla metà dei Novanta erano anni in cui le concentrazioni editoriali catapultavano l’Italia in coda alle graduatorie sulla libertà di stampa e di opinione. L’informazione veniva consegnata alle mani di pochi, pochissimi soggetti, e il panorama già così fortemente caratterizzato dal duopolio televisivo Rai-Mediaset si complicò ulteriormente quando, alle lottizzazioni della tv pubblica a cui siamo stati abituati per decenni, si aggiunse l’ulteriore paradosso dell’accentramento dei grandi network televisivi nazionali nel portafoglio di un solo uomo, che per di più, appunto nella primavera del ’94, scende nell’arena politica.
Questo solo basta, per me, a dare necessariamente una connotazione (anche) politica al gesto di un minuscolo imprenditore con pochi mezzi che sceglie la strada dell’editoria indipendente nelle stesse settimane in cui l’Italia diventa, sotto il profilo della libertà di stampa e di opinione, terzo mondo.
Erano tempi duri per il settore editoriale: come ricorda Giovanni Peresson nel suo intervento incluso in Tirature ’94, nel triennio 1990-93 il mercato librario italiano aveva «presentato un saldo negativo globale del 6,95%. In una parola: crisi». Era in crisi il mercato, certo, ma erano in crisi proprio i modelli di editoria culturale: gli anni Ottanta erano stati attraversati dai fallimenti (in senso finanziario o progettuale) di marchi-faro come Feltrinelli, Einaudi, Editori Riuniti. L’acquisizione di Einaudi (forse l’editore indipendente per antonomasia) da parte di Mondadori, oltre a costituire uno shock culturale, era solo il segno più evidente di un processo di concentrazione: al giro di boa degli anni Novanta ben più di metà dell’intero mercato librario era appannaggio di pochissimi gruppi editoriali. Insomma, si vendeva ancora meno in un Paese già tradizionalmente agli ultimi posti nelle classifiche europee della lettura, e come se non bastasse il gioco si faceva ancora più difficile perché c’era sempre meno spazio per emergere.
Come si spiega allora quel proliferare di tanti nuovi marchi, che Gian Carlo Ferretti nella sua Storia dell’editoria letteraria in Italia definisce «un processo che è iniziato già negli anni Settanta, e che è continuato nei successivi decenni, fino a costituire negli anni Novanta un panorama per molti versi eccezionale»?
Come si giustifica il fatto che, in quel 1994, ovunque mi voltassi c’era una casa editrice che stava nascendo? Nell’arco di pochi mesi, gli stessi in cui minimum fax pubblicò i suoi primi libretti, partiva l’avventura di editori come Castelvecchi, Fazi, Donzelli, Voland, Instar, Meltemi, Pequod e moltissimi altri.
Come si può interpretare, alla luce di quella premessa («in una parola: crisi»), il fenomeno di massa secondo cui, stando alle cifre fornite dall’Istat, nella stagione 1993-94 nascono circa 300 nuovi marchi editoriali e, successivamente, in maniera esponenziale, dalle 2754 case editrici di quello stesso ’94, con un processo in crescendo si arriverà in soli sei anni alla cifra record di 4322? Proseguendo in questa direzione si arriva fino all’ultimo dato attualmente disponibile, di circa 8000 marchi attivi oggi in Italia. In pratica, dal giorno in cui ho deciso di fare l’editore, il numero già altissimo di «concorrenti» si è addirittura più che triplicato.
Peraltro, di tutte queste migliaia e migliaia di nuovi marchi nessuno è entrato a far parte di quella élite di grandi o grandissimi editori, che restano sempre gli stessi: la quota di mercato destinata ai «piccoli» è in pratica più o meno costante, ma va divisa fra un numero sempre crescente di soggetti. L’ultimo dato disponibile ci dice che l’86% dei libri distribuiti in Italia è prodotto dal 10% degli editori.
Sta di fatto che il mercato sembra «bloccato», pieno di soggetti che scalpitano e con un «tappo» impossibile da far saltare. Eppure ogni anno, che l’osservatorio sia fornito da dati statistici o da un giro fra i padiglioni della Fiera del libro, non si può fare a meno di notare quanti nuovi editori iniziano la loro avventura.
Non so se, per spiegare il fenomeno, può bastare la massiccia diffusione dei personal computer avvenuta a partire dalla fine degli anni Ottanta, che ha reso idealmente possibile contenere un’intera casa editrice in un laptop di poche centinaia di grammi, dalle dimensioni non più grandi di un foglio A4 e dal prezzo assai accessibile. Un piccolo computer adeguatamente attrezzato con due o tre software essenziali fa andare avanti il lavoro del grafico, del redattore, dell’editor, del traduttore, dell’ufficio stampa, dell’amministrazione, del magazzino e così via. Una «microstruttura» composta idealmente anche di una sola persona che abbia a disposizione anche un solo computer (e, certo, il suo inestimabile patrimonio di idee...) può mandare avanti una piccola casa editrice.
Del resto, per la sua conformazione, l’impresa editoriale è già naturalmente destinata a realizzare gran parte delle fasi del lavoro esternamente alla sua struttura. A partire dalla materia prima, i testi, che vengono scritti dagli autori che non fanno parte dell’organico della casa editrice (e i traduttori nel caso di libri scritti originariamente in altre lingue; e così anche curatori, prefatori e via di seguito). La realizzazione del prodotto finito (cioè la stampa e l’allestimento dei volumi) è fatta presso una tipografia che nella quasi totalità dei casi, e cioè con l’eccezione di quei pochi colossi editoriali che possono permettersi di possedere macchinari di stampa propri, è anch’essa esterna alla casa editrice, come pure tutta la commercializzazione dei libri, attraverso la rete di agenti di vendita, i distributori, fino ai singoli librai e bibliotecari. Pertanto una conformazione ultraleggera sia in termini di «hardware» che di «risorse umane» rende oggi decisamente più bassa che nel passato la soglia economica di accesso al mercato (come dimostra appunto il nostro caso, di un’azienda nata, letteralmente, senza alcun capitale iniziale: anzi siamo partiti contraendo un debito con la tipografia...).
Allo stesso modo, non so dire se sia sufficiente, per darci una ragione di questo boom editoriale, la rivoluzione di internet (e dell’email), che ha reso molto più fluidi certi processi di ricerca e di comunicazione, abbattendo anche buona parte delle gerarchie e rendendo accessibili informazioni, dati, contatti non necessariamente al più «ricco» o al più «forte» ma al più veloce, al più intuitivo, al più «sveglio». E spesso, appunto, un meccanismo meno complesso e senza troppi ingranaggi procede in maniera più spedita.
Di fronte a queste possibili motivazioni pratiche, resta valida l’idea di una sempre più forte necessità e voglia di libertà di espressione: la stessa che in questi anni ha fatto fiorire migliaia di nuove riviste fatte di una sola persona e il suo dominio internet, nuove compagnie teatrali fatte di una sola persona e la sua voce, nuove società di produzione cinematografica fatte di una sola persona e la sua videocamera...
È per questa medesima ragione che, non appena se ne sono realizzate le condizioni (maggior consapevolezza professionale da parte nostra, maggior riconoscibilità e attendibilità del marchio, ma anche un ufficio nuovo con una stanza in più dove ospitare gli «allievi»), abbiamo cominciato a organizzare continuativamente, con impegno e senza sosta, una serie di seminari, workshop e laboratori per trasmettere il know-how appreso nei primi anni di attività a chi abbia intenzione di avviare una piccola impresa editoriale: con l’obiettivo di dare al maggior numero possibile di persone quelle poche chiavi pratiche necessarie a contribuire a mettere in moto nuovi nuclei di pensiero «resistente» e propositivo. Circa quindici case editrici in soli cinque anni sono nate finora da questa attività seminariale, e siamo orgogliosi di aver dato loro una mano, vedendole in alcuni casi diventare subito più efficienti di noi. Spesse volte ci è stato chiesto se non temiamo di far nascere così possibili concorrenti, ma la pensiamo in maniera diversa: crediamo di non aver fatto altro che dare una piccola spinta ad altri appassionati di libri come noi, e con questa spinta speriamo di aver contribuito, seppur in minima parte, a una consapevole e festosa condivisione dell’articolo 21 della nostra Costituzione. Come dice Umberto Eco: «Per una casa piccola che diventa media, e perde la propria libertà, una nuova piccola casa nasce, e questa dinamica assicura all’universo librario un rinnovo continuo di energie, l’esistenza costante di piccoli editori che fanno le loro scelte in uno stato di ragionevole indipendenza dalle leggi del mercato».